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Il referendum ha portato un doppio danno, un danno alle casse pubbliche per una consultazione che poteva e doveva essere evitata e un grave danno d’immagine per le Comunità di valle che sono state associate dalla propaganda leghista, ma anche dalla superficialità di molti commentatori, agli sprechi e viste come enti inutili.

Se il lavoro di costruzione delle Comunità e di riconoscibilità da parte dei cittadini – e che era agli inizi – era già difficile, oggi lo sarà ancora di più, perché non si tratterà solo di superare la disinformazione ma anche i pregiudizi. Comunque è un lavoro che va fatto perché il futuro della Autonomia non può essere il ritorno al centralismo provinciale e alla dispersione delle risorse sul territorio, ma la costruzione di enti locali partecipati, responsabili, efficienti e capaci di scegliere il loro futuro.

Se molti cittadini sono arrabbiati e ce l’hanno con le istituzioni e soprattutto con chi le governa, non è questo un buon motivo per bruciare la casa nella quale abitano. Sarebbe stato paradossale che per punire la politica si fosse bruciata una istituzione che è nata per dare più potere ai territori e per assicurare più partecipazione. Il paradosso è che l’iniziativa della Lega voleva colpire il vecchio abbattendo il nuovo, ma forse non è un paradosso per una Lega conservatrice. I costi della politica è giusto ridurli ma perché partire da un ente che è nato per ridurre i costi della pubblica amministrazione e non partire dai grandi sprechi e dai grandi privilegi? Forse perché anche alla Lega vanno bene?

Chi aveva votato di più alle elezioni di Comunità ha votato in proporzione di più anche questa volta, ma le scarse differenze tra territori privi di Comunità e territori con le Comunità è significativa del fatto che questo voto non aveva come oggetto un giudizio sulle Comunità ma piuttosto  i costi e gli sprechi, anche se solo presunti. E lo conferma  il fatto che anche i Comuni dove si registra più tensione nel rapporto con le Comunità non si sono distinti nel voto.

Importante era uscire indenni dalla consultazione referendaria, nel senso di non usare le Comunità come agnello sacrificale. Mi ha colpito il fatto che il preside di Sociologia, facoltà che peraltro si propone di lavorare per le Comunità, abbia citato un giornalista, Stella, per dire che ci sono troppi enti, come se si dovesse essere pro o contro sulla base di un  principio o di una propaganda e non per una precisa valutazione.

 

Ora si tratta di fare quello che all’inizio non è stato fatto bene, cioè costruire Comunità e il loro senso comune, e dare l’idea che in ballo c’è il trasferimento di poteri provinciali, superando le ambiguità che lasciano ancora troppa discrezionalità nelle mani della Provincia, e far capire che non sono un doppione ma lo strumento per garantire l’esercizio associato delle funzioni comunali. Occorre però garantire i trasferimenti di funzioni per una piena assunzione di responsabilità e le risorse e il personale necessari, ma serve anche la flessibilità organizzativa che tenga conto delle diversità territoriali. Inoltre occorrerà mettere mano alla legge per riconoscere i poteri delle Comunità e per modificare il sistema elettorale e il rapporto tra  Comuni e Comunità.

Roberto Pinter è responsabile enti locali del PD del Trentino

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