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Ma valeva la pena fare questo referendum?

Va bene, ogni sentenza ha la sua storia! Però attenzione: non viene messo in discussione "il principio della necessità o opportunità che determinate funzioni siano allocate – anche obbligatoriamente – ad un livello sovracomunale" ma si ripete che l’oggetto del referendum è l’attuale "disciplina organizzativa dell’ente cui sono attribuite le funzioni sovracomunali". Sicché se sarà abolita tale disciplina, resterebbe sempre aperto il problema di dover "allocare" determinate funzioni  ad un livello tra Comuni e Provincia: un problema, questo – concludono i Commissari – a cui dovrà "porre rimedio il legislatore che sarà chiamato a intervenire nell’ambito del suo potere di scelta in ordine alla disciplina organizzativa da riservare all’esercizio di funzioni di carattere sovracomunale".

Insomma, "far e desfar l’è tut en laorar": all’ente Comunità potrà essere sostituito un altro ente o un’altra disciplina organizzativa, visto che le plurimenzionate funzioni sovracomunali per "principio" possono essere ritenute non solo "opportune" ma anche "necessarie"!  Ma allora valeva la pena fare questo referendum?  Spendere invano 2 milioni di euro, su proposta di un partito che pretende la sobrietà altrui sorvolando sulla propria? E mobilitare per un voto di tal genere – che alcuni soloni pretenderebbero obbligatorio – tutti i trentini?

No, proprio no, per decenza.

E per principio. Resterà infatti sempre in campo questo discorso sovracomunale, un problema che a detta del prof. Annibale Salsa – già presidente del CAI – è proprio delle "terre alte", delle regioni alpine e prealpine che non sono "omologabili alle contigue pianure padane". C’è da noi l’esigenza di una governance diversa: se le caratteristiche territoriali e storiche hanno portato alla presenza di tantissimi Comuni medio-piccoli, resta allora l’esigenza di ottimizzare l’amministrazione per favorire servizi più razionali, meno dispersivi e dispendiosi che solo un ambito sovracomunale, sovrastante i singoli campanili, può offrire. E’ una esigenza storica che nella nostra Regione è stata dapprima affrontata nel 1800 con i Bezirke  dell’amministrazione austriaca (organi che continuano a ben funzionare ancor oggi nel vicino Tirolo), poi nel Trentino si è pensato ai Comprensori mentre in Alto Adige alle Comunità comprensoriali. Ora ai Comprensori si sono sostituite le Comunità, ritenendo di qualificarle maggiormente con più poteri, con l’elezione popolare del presidente e di larga parte dell’Assemblea e con un certo snellimento che ha portato a sostituire i precedenti 830 consiglieri comprensoriali con i 533 attuali delle Comunità.

Comunque, taluni ritengono che sia sempre meglio accorpare i numerosi Comuni, piuttosto che dar credito alle Comunità. Ma le due cose non sono contrastanti: si può ben procedere ad accorpare i 217 Comuni trentini, con una necessaria procedura democratico-partecipativa, senza imporre dall’alto unificazioni forzate che solo la dittatura fascista riuscì a praticare; via via si potrà giungere ad una situazione simile a quella dell’Alto Adige, dove i Comuni sono 116, circa la metà di quelli trentini. Ma anche quando giungeremo fantasticamente a ciò, resterà sempre il problema di gestire le "funzioni sovracomunali": non a caso in Alto Adige, accanto ai 116 Comuni, operano senza affanno 8 Comunità comprensoriali…

* con tesi di laurea in Diritto pubblico degli Enti locali

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