Matrimonio archiviato
19 Aprile 2012Armi italiane nel mondo
20 Aprile 2012In Val di Susa non c’è un problema solo di ordine pubblico. È un problema politico perché quando una Comunità locale si mobilita per anni contro un’opera pubblica e quando una battaglia diventa la battaglia simbolica contro un modello di sviluppo, non si può liquidare la cosa censurando i comportamenti violenti di chi vuole trasformare la protesta in uno scontro.
Guardando al Trentino Alto Adige e al raddoppio della ferrovia del Brennero mi domando se almeno qui si eviterà quanto è successo in Val di Susa o se sarà inevitabile, oltre alla prevedibile opposizione di chi non vuole cantieri e opere sul proprio terreno, lo scontro tra due visioni opposte ed estreme. Sono parecchi anni che se ne discute e che qualcuno decide, «siamo arrivati ad un punto di non ritorno» afferma il coordinatore europeo, ma siamo ancora in una fase dove non si tocca per mano l’opera né si attivano espropri e cantieri, salvo il tunnel esplorativo. Ma anche non ci fossero oppositori occorre porsi il problema rispetto a una grande opera che lascerebbe un segno indelebile nel nostro sistema alpino, oltre ad usare una quantità enorme di risorse pubbliche.
Non mi piace che la madre di tutte le battaglie sia quella contro la ferrovia mentre decine di cantieri per nuove strade non suscitano analoga preoccupazione, ma non basta nemmeno dire che la rotaia non si può fermare perché è alternativa alla gomma o, come dice Valente, perché occorre superare i confini o perché, come dice Napolitano, lo sviluppo non si può fermare. Non in Italia dove le ferrovie, fatta eccezione per le tratte ad alta velocità, vengono lasciate al degrado o tagliate come rami secchi, dove i pendolari sono in balia dell’inefficienza, dove le merci rimangono su strada in assenza di una minima rete logistica e di intermodalità.
Non si può dare per scontato che un’opera se decisa altrove debba andare bene anche a noi, non basta la scelta europea e nemmeno l’avvallo dei governi, ci vuole di più, ci vuole l’evidenza della valenza strategica di un’opera per la mobilità sostenibile e ci vuole oltre al protagonismo delle Autonomie locali un’ampia partecipazione e condivisione. Nel 2009 Dellai e Pacher, presidente e vicepresidente della Provincia di Trento, hanno affermato che «il raddoppio della ferrovia non è solo un’opera decisa altrove ma nasce da una filosofia condivisa e dalla volontà del Trentino di essere interconnesso con le reti europee e di essere protagonista delle scelte che incideranno sul proprio territorio e ai cittadini bisognerà spiegarlo».
In questo momento l’opera registra ritardi e incertezze nel finanziamento, sicuramente per le tratte di accesso al tunnel di base, ma ciò permette ancora di più di informare e di confrontarci. Anche se siamo nel tempo della sfiducia e della diffidenza l’Autonomia ha le risorse per coinvolgere e assicurare la partecipazione. Non per decidere come suggerisce Valente se siamo per la decrescita o per lo sviluppo, ma per affrontare i punti più deboli e controversi, quali: 1) l’assenza di una strategia del trasporto merci da parte del governo e delle ferrovie italiane, che non si preoccupa della rete e della logistica necessaria per rendere competitiva la ferrovia e per permettere di caricare le merci su treno e di scaricarle a destinazione, il rischio insomma di un’arteria senza sistema vascolare; 2) la pressione dei gruppi di interesse che indirizzano le soluzioni progettuali, ad esempio obbligando al trasporto misto, invece del solo trasporto merci lasciando alla ferrovia di superficie il trasporto delle persone; 3) la criticità geologica e delle falde acquifere che non è stata considerata, data la facilità con la quale si sono spostati i tracciati; 4) la trasparenza, il ruolo delle comunità locali, e il controllo ulla legalità e sul costo dell’opera; 5) la valutazione attendibile delle stime del traffico previsto e dei consumi energetici.
Se ci sono buone ragioni per questa opera, quali lo spostare le merci dalla strada alla rotaia ma considerando la difficoltà di farlo sulla linea esistente che attraversa le città, vanno rese pubbliche evitando, da una parte, di parlare solo di sviluppo sì-sviluppo no e di tempi di percorrenza, e dall’altra, di parlare solo di mafie e dì impatto ambientale. Non ci sono solo sassi e barricate, i No-Tav usano dati e argomentazioni, è troppo chiedere di rispondere con dati e argomentazioni invece che invocare la locomotiva dello sviluppo?