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“Propongo che noi tutti … ora si rida”””

La gente si dirigeva verso piazza San Venceslao. E poco prima delle 13.00 al balcone del palazzo dove aveva sede il Forum si affacciò Vaclav Havel. Sulla piazza echeggiano le sue parole: «Cari amici, qualche istante fa, dal parlamento, sono stato eletto all’unanimità presidente della nostra repubblica. Vi ringrazio tutti, boemi, slovacchi e membri delle altre nazionalità, per il vostro aiuto. Vi prometto che non deluderò la vostra fiducia e porterò questo paese alle elezioni libere. Questo obiettivo deve essere realizzato in modo pacifico per non sporcare la faccia pulita della nostra rivoluzione. E’ un compito di tutti noi. Vi ringrazio».

La rivoluzione di velluto, iniziata il 17 novembre con una manifestazione studentesca, che ricordava il cinquantesimo anniversario del martirio di Jan Opletal, studente ceco ucciso dai nazisti, si concluse sei settimane più tardi, con l’elezione alla massima carica dello Stato di un uomo, Vaclav Havel, che aveva scelto di smettere i panni del drammaturgo per diventare il protagonista del secondo atto della Primavera di Praga.

Havel accettava la candidatura a Presidente a seguito di una dura trattativa fra il Forum Civico e il Partito comunista ancora al potere, a patto che Alexander Dubček, ex leader della prima Primavera di Praga, venisse nominato Presidente del Parlamento. Il ritorno di Dubček, riapparso nella capitale boema il 24 novembre, a vent’anni di distanza dall’espulsione dal Partito, dopo un lungo periodo trascorso come manovale di un’impresa forestale in Slovacchia, segna un punto di svolta nelle proteste di piazza.

«Racconta un cronista … che martedì 28, poco dopo mezzogiorno, quando l’atmosfera intorno al tavolo dove erano riuniti i rappresentanti del governo federale e dell’opposizione si era fatta pesante e il dialogo sembrava essere arrivato a un punto morto, Vaclav Havel disse con espressione seria: "Propongo che noi tutti… ora si rida"» (Michal Horaček, Come si è rotto il ghiaccio, Praha, 1990).

Quella rivoluzione nonviolenta cambiò il corso della storia. Aprì un tempo di speranza e di disincanto. Il paese di cui Havel fu presidente si divise. Lo stesso protagonista divenne per qualcuno nel suo stesso paese un personaggio ingombrante, una coscienza troppo critica per una realtà che andava smarrendo i valori di quella straordinaria prova di democrazia.

Ora che Havel se ne è andato, non ci resta che ringraziarlo per tutto quel che ci ha portato in dono con la sua vicenda culturale, politica ed umana. E, sul piano personale, perché quei giorni di dicembre del 1989 rimarranno per sempre dentro di me.

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