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La storia. Un tema delicato, che non richiede forzature.

Altrettanto indiscutibile che all’inizio della prima guerra mondiale i trentini abili alle armi venivano chiamati a combattere come Kaiserjager e Landesschutzen e che le poche centinaia di trentini che fuggirono e andarono a combattere con l’esercito italiano furono considerati da Vienna dei traditori. Ma questo cosa significa oggi? Non si può forzare la storia a proprio piacimento.

Ricordiamo alcuni eventi schematicamente. Nel 1815 con l’atto finale del Congresso di Vienna, l’impero austro-ungarico si vede riassegnati gli ex principati vescovili di Trento e Bressanone.

Successivamente i moti rivoluzionari del 1848, partiti dalla Francia, hanno ripercussioni anche in Trentino, facendo leva sul disagio nei confronti della Dieta tirolese e del governo di Vienna. L’impero reagisce soffocando nel sangue i moti rivoluzionari ovunque, ma non spegnendo le aspirazioni di autodeterminazione.

Dunque anche in Trentino nella seconda metà dell’800 nasce un movimento patriottico detto "irredentismo", Cesare Battisti ne è sicuramente l’interprete eccellente e nel 1916 viene condannato a morte e giustiziato dagli austriaci, per aver sostenuto gli ideali di libertà e di autonomia del popolo trentino.

Pensare che i soldati trentini che disertavano, fossero semplici traditori, significa  non riflettere sui motivi che spinsero alcuni  a non imbracciare il fucile contro coloro che sentivano "troppo vicini". E sappiamo che da sempre gli uomini chiamati a combattere di solito subiscono decisioni prese più in alto, mentre da fronti contrapposti spesso si sentono tutti uomini e fratelli con lo stesso destino (bella e significativa la poesia di Ungaretti: "Fratelli. Di che reggimento siete fratelli? " cosi vuole interpretare il sentimento del soldato sia esso un Kaiserjager od un Alpino che guarda verso la trincea nemica e che sa che là c’è un uomo come lui, che soffre allo stesso modo e che spesso non sa perché ci si debba uccidere l’un l’altro).

In Trentino probabilmente la maggior parte delle persone voleva semplicemente poter vivere con serenità la propria vita, alcuni guardando con maggiore simpatia all’Italia, altri all’Austria. Non possiamo oggi forzare la storia per giustificare posizioni che sono più vicine al folklore che alla cultura. 

Quello che dobbiamo chiederci, in fondo, è se davvero occorra forzare la storia nel tentativo di costruire un’identità trentina certa e rassicurante. Tema delicato, in nome dell’identità si continua a morire.

L’identità si può vedere in due modi, come momento di dialogo o di divisione. In nome dell’identità si combattono il colonialismo e l’imperialismo o al contrario diventa fattore di discriminazione e conflitto. Per dirla con Amartya Sen, nulla contro le identità,  ma vanno conosciute nella loro complessità per farne un uso positivo.

Per quanto riguarda la nostra terra, va detto che dal dopoguerra in poi ci siamo caratterizzati per essere un popolo capace di un confronto e di un dialogo incessante per trovare punti comuni e diversità positive con chi ci è vicino. Il Trentino, crocevia di popoli e culture, ha le sue radici sia in Battisti che in De Gasperi, sia nell’ordine asburgico che nella fantasia italiana, e compiremmo un atto molto grave se volessimo riproporre strumentalmente ad un secolo di distanza contrapposizioni superate dalla storia.

In un’epoca dove uomini e donne transitano liberamente e dove le relazioni politiche superano i confini nazionali, i confini diventano punti d’incontro e di confronto.

Il Gruppo consiliare del PD del Trentino (Margherita Cogo, Luca Zeni, Mattia Civico, Sara Ferrari, Michele Nardelli, Andrea Rudari)

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