"... avevo scoperto l'abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, il piacere del pensare pulito, l'ebbrezza della creazione politica, il fremito dell'apparire delle cose impossibili..." Altiero Spinelli
Mentre leggevo l’articolo e la sua tragica conclusione in testa le parole si accompagnavano alla musica dei CSI che con questa canzone hanno raccontato il rogo della Biblioteca di Sarajevo e la “neve nera” che ha descritto Kemal Bakarsic. In quell’album intitolato, se non erro, Linea gotica, la copertina porta l’immagine della biblioteca di Sarajevo. In fiamme.
Mi arriva Unione degli istriani: il tuo articolo sulla storia dal 755 dC ai gg nostri, mi ha entusiasmato, preso, coinvolto, commosso, meravigliato: mi è piaciuto alquanto, anche perché molte delle notizie non le sapevo. Grazie
Caro Michele Nardelli,
devo supporre che hanno mancato di informarla che l’incendio della Viječnica e’ avvenuto grazie ai bombardamenti serbi, benedetti quasi compattamente dal popolo serbo – tuttoggi in maggioranza felice di quanto fatto in suo nome in Bosnia e in Slavonia.
Nei primissimi Novanta tradussi per Testimonianze (fondato da Padre Ernesto Balducci) un articolo di un’esponente della comunita’ ebraica della Sarajevo assediata… Lo cerchi. Lo lo legga. Lo studi.
Sandro Damiani
Caro Sandro Damiani, Fabio Pipinato mi ha girato una sua nota, immagino relativa ad uno scritto di qualche mese fa dove parlavo degli intrecci culturali del Mediterraneo e, in questa cornice, della distruzione della “Vijecnica” di Sarajevo. Mi occupo di vicende balcaniche da almeno venticinque anni, vuole che non sappia da dove venivano le bombe che hanno distrutto la biblioteca nazionale di Sarajevo e tenuto sotto assedio quella città? Nell’articolo non ho aggettivato quei bombardamenti perché non serviva, come non serve ogni volta creare il nemico. Che poi, a guardar bene, risponde più alla logica degli affari che alla cosiddetta etnia di appartenenza. So perfettamente che erano serbi quelli che tenevano l’assedio, ma so anche che c’erano serbi anche fra gli assediati, che amavano quella città al pari della maggioranza dei suoi abitanti. Quelli che assediavano Sarajevo (ma potremmo dire anche Mostar, Vukovar o altre città) erano in primo luogo dei criminali. Questo dovrebbero capirlo in primo luogo i serbi, anche quelli che hanno ottusamente benedetto questi crimini, ma poi tutta la popolazione della Bosnia Erzegovina o della vecchia Jugoslavia. Perché se non si comprenderà questo piccolo particolare non ci sarà alcuna capacità di elaborazione del conflitto e di riconciliazione.
Caro Sandro, andrò certamente a cercarmi il testo su Testimonianze. Faccia altrettanto sui miei scritti che può trovare su questo sito e ancora di più sul sito di OBC (www.balcanicaucaso.it) che ho l’onore di aver fondato nel 1999.
Caro Nardelli,
sgomberiamo subito il campo.
Non sono un passante in tema di (ex) Jugoslavia. Ci sono nato 61 anni fa, vi ho fatto buona parte delle scuole, il servizio militare a 27/28 anni, lavorato (giornalismo scritto e radiotelevisivo per le testate di Slovenia, Croazia, Bosnia e Serbia).
Dopo una parentesi quasi trentennale (?) fiorentina sono tornato, dapprima a Fiume, a dirigere per otto anni un Teatro stabile e poi, dal 2005, a Spalato.
Se a tuttoggi, quando si parla di nazismo si aggiunge “Germania”, “tedeschi”, e’ perche’ non va mai dimenticato dove il nazismo, e’ nato, e chi, i tedeschi, l’ha alimentato. E, badi bene, lo si fa pur sapendo cosa e’ oggi la Germania, e quanto sia impermeabile al ritorno del mostro.
Figurarsi della Serbia, dove tuttora vive e vegeta l’odio per gli altri popoli slavi dell’area, dove tuttora anche ufficialmente si negano le responsabilita’ per lo sgretolamento nel sangue della defunta Federativa (il presidente Tadić fa letteratura, non politica). Dove tuttora le voci autenticamente progressiste – quelle che a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta criticavano il regime miloseviciano – non cammino tranquille per le strade di Belgrado.
Che a muovere guerra siano state menti criminali, non e’ lontano dalla verita’. Ma non lo e’ neppiure il fatto che e’ nella “cultura” serba insito il disprezzo per l’altro. Si faccia procurare (e tradurre) il libro “Filosofija palanke” del sociologo (serbo) Ratomir Konstantinović, del 1969, in cui per filo e per segno ci introduce nel particolare “nazismo” (cosi’ lo chiama l’Autore) serbo. Veda di trovare gli scritti del compianto urbanista architetto e scultore, ex sindaco di Belgrado, Bogdan Bogdanović, e vedra’ quante ne dice. Cerchi sul sito http://www.e-novine.com (raro esempio universale e non solo ex-Ju di liberta’ di pensiero) gli scritti in tema di attualita’ (e storia) politica della Serbia di oggi e di ieri…Legga i testi di Latinka Perović, storica di grande pregio, gia’ defenestrata da Tito nel 1971/72 per le sue posizioni di comunista “liberal”, assieme ai vari Tepavac, Nikežić, Popović…
Se non siamo nuovamente a una situazione di guerra, nonostante la ragguardevole massa di cetnizi – tra il popolo e gli “intellettuali” – e’ perche’ i conflitti balcanici hanno sfatato il mito del “popolo guerriero”. Guerriero, si’, ma fortemente vincibile anche quando il numero di uomini e mezzi e preponderante.
Lei presuppone, tra l’altro, che le cose siano a tutti note – chi ha assediato chi -.
Gia’. Mi spiega come mai, allora, tanti circoli specie italiani continuano a fare festa insieme all’amico di Milošević, il cineasta Emir Kusturica? Che con il defunto leader serbo brindava in occasione dei bombardamenti di Sarajevo? Come mai non sanno – cosa degli ultimissimi anni – che tra le canzoni che egli canta con la sua band ve n’e’ una in cui loda Radovan Karadžić e afferma, testualmente: “Chi non ama Dabić, ci faccia un pompino”? (Dabić era il nome che Karadžić si era affibbiato nella clandestinita’ (?) belgradese). E che nemmeno un mese fa si doleva pubblicamente dell’arresto dell’eroe del popolo serbo Ratko Mladić?
E’ vera, piuttosto, un’altra cosa. Per la Serbia c’e’ un’indulgenza particolare, dovuta a ignoranza, non conoscenza. Perfettamente alimentata sin dall’epoca jugoslava, detenendo la Serbia all’epoca, un buon 80% della diplomazia jugoslavia. Detenendo, essa, quasi tutte le leve federali in tema di esercito, partito, burocrazia statale (e di altre tre repubbliche al tempo federate), milicija…
Non si puo’, non si deve dimenticare (e far dimenticare) tutto cio’ e tantomeno l’ultimo episodio, il piu’ grave prima che i cannoni cominciassero a maciullare la gente, il discorso di Milošević al raduno di Gazimestan, nel Kosovo, nel 1989, in cui apertamente dichiaro’ guerra ai popoli della Federativa, ricevendo il plauso di seicentomila presenti, inclusa la crema dell’intelligentia serba.
Mi fermo qui, anche perche’ sono stufo di parlare da piu’ di ventanni delle stesse cose. Si’, da piu’ di venti, perche’ fin dall’avvento al potere in Serbia di Milošević – con articoli, allora vivevo a Firenze, dove facevo il giornalista e occasionalmente il consulente del sindaco Elio Gabbuggiani e in seguito, a guerre in atto, dei presidenti del consiglio e della giunta regionali toscane, Siliani e Chiti, mentre con padre Ernesto Balducci facevamo il giro delle Comunita’ di Testimonianze per spiegare cosa stava accadendo in Jugoslavia, e scrivevo su Testimonianze e Il Ponte – mettevo in guardia rispetto all’imminente scoppio di una “guerra dei trentanni”. guerra che e’ durata meno non certo per merito della “comunita’ internazionale”, vile nel suo attendismo (“prima o poi Belgrado mettera’ a tacere tutto”, si diceva a Roma, a Strasburgo, a Bruxelles, a Londra e a Parigi), ma per l’eroismo di chi si opponeva al disegno criminale codificato nel Memorandum del 1986…
…
Di questo ed altro (ovviamente, riferito fino al 1994) ho scritto in un libriccino, pubblicato da un’editoriale dell’allora pds di Pistoia, ma con la prefazione di Franco Cardini: “Jugoslavia, genesi di una mattanza annunciata”. Se le va di perdere tempo, glielo mando.
Mi stia bene.
Cari saluti,
Sandro Damiani
Caro Damiani, avremmo da parlare per qualche mese. Lei ha ragione nel dire che è sbagliato dare per scontato che tutti sappiano chi assediava Sarajevo, ma in quella circostanza non lo ritenevo utile per evitare che la riflessione potesse generare contrapposizioni su base nazionale che continuo a ritenere fuorvianti. Non perché non siano un pezzo di verità, ogni cultura ha qualcosa a che vedere con l’anima di una nazione, ma per evitare una sorta di equazione che fa torto a chi ha avuto il coraggio, fra quella stessa gente, di non essere d’accordo e magari di aver testimoniato con la propria vita questo dissenso. Credo di conoscere abbastanza bene la psicologia del popolo serbo, il vittimismo o la cultura dell’isolamento, per non capire quel che vuole dirmi a proposito del “disprezzo per l’altro”. Così come conosco attraverso Rada Ivekovic “Filosofija palanke” e spesso mi trovo a parlare della “balkanska krcma” nelle mie conferenze, come paradigma del moderno. Proprio per evitare una lettura superficiale o banalizzata degli avvenimenti, come è avvenuto anche in Italia, dove ancora si ha spesso a che fare con gruppi di nostalgici comunisti che hanno piegato gli avvenimenti al proprio vecchio e obsoleto schema interpretativo e che guardano con simpatia a Emir Kusturica e alla sua “Wanted man”, dedicata a Raša Dabić. Cose che mi fanno rabbrividire. Ma anche per questo mi voglio sottrarre all’idea della contrapposizione, proprio per non avvallare la tesi del complotto contro la nazione serba di cui si nutre il nazionalismo. E soprattutto la criminalità, quei soggetti che prima indossavano le divise dell’apparato, poi hanno messo con disinvoltura la tuta mimetica e ancor prima che tacessero le armi già avevano addosso il vestito degli uomini d’affari, con le auto di lusso dai vetri abbrunati o le hammer con gli accessori dorati.
In questi anni ho cercato (e con me Osservatorio, anche se ora non ricopro alcun incarico nell’ambito di OBC) di mantenere una linea di analisi delle vicende balcaniche equilibrata, che non vuol dire equidistante. Ma soprattutto di fornire chiavi di lettura che uscissero dallo schema manicheo o semplificatorio della guerra etnica. Mi farà piacere leggere il suo libro, se avrà la cortesia di inviarmene una copia al seguente indirizzo: Michele Nardelli, via delle Camalghe 9, 38123 Cadine – Trento.
Un cordiale saluto
Michele Nardelli
Benebene… Se le capita, venga a Spalato prima che il matto che la guida riesca a far costruire sul Marijan il Gesu’ pseudo-Rio… Le mandero’ il libretto. Mi stia bene. …
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9 Comments
Bello davvero il pezzo di oggi sull’Adige! Ciao
Michelangelo
Mentre leggevo l’articolo e la sua tragica conclusione in testa le parole si accompagnavano alla musica dei CSI che con questa canzone hanno raccontato il rogo della Biblioteca di Sarajevo e la “neve nera” che ha descritto Kemal Bakarsic. In quell’album intitolato, se non erro, Linea gotica, la copertina porta l’immagine della biblioteca di Sarajevo. In fiamme.
Ho appena finito il tuo articolo sull’Adige di ieri. E’ molto bello e istruttivo. Complimenti. Adel
Mi arriva Unione degli istriani: il tuo articolo sulla storia dal 755 dC ai gg nostri, mi ha entusiasmato, preso, coinvolto, commosso, meravigliato: mi è piaciuto alquanto, anche perché molte delle notizie non le sapevo. Grazie
Caro Michele Nardelli,
devo supporre che hanno mancato di informarla che l’incendio della Viječnica e’ avvenuto grazie ai bombardamenti serbi, benedetti quasi compattamente dal popolo serbo – tuttoggi in maggioranza felice di quanto fatto in suo nome in Bosnia e in Slavonia.
Nei primissimi Novanta tradussi per Testimonianze (fondato da Padre Ernesto Balducci) un articolo di un’esponente della comunita’ ebraica della Sarajevo assediata… Lo cerchi. Lo lo legga. Lo studi.
Sandro Damiani
Caro Sandro Damiani, Fabio Pipinato mi ha girato una sua nota, immagino relativa ad uno scritto di qualche mese fa dove parlavo degli intrecci culturali del Mediterraneo e, in questa cornice, della distruzione della “Vijecnica” di Sarajevo. Mi occupo di vicende balcaniche da almeno venticinque anni, vuole che non sappia da dove venivano le bombe che hanno distrutto la biblioteca nazionale di Sarajevo e tenuto sotto assedio quella città? Nell’articolo non ho aggettivato quei bombardamenti perché non serviva, come non serve ogni volta creare il nemico. Che poi, a guardar bene, risponde più alla logica degli affari che alla cosiddetta etnia di appartenenza. So perfettamente che erano serbi quelli che tenevano l’assedio, ma so anche che c’erano serbi anche fra gli assediati, che amavano quella città al pari della maggioranza dei suoi abitanti. Quelli che assediavano Sarajevo (ma potremmo dire anche Mostar, Vukovar o altre città) erano in primo luogo dei criminali. Questo dovrebbero capirlo in primo luogo i serbi, anche quelli che hanno ottusamente benedetto questi crimini, ma poi tutta la popolazione della Bosnia Erzegovina o della vecchia Jugoslavia. Perché se non si comprenderà questo piccolo particolare non ci sarà alcuna capacità di elaborazione del conflitto e di riconciliazione.
Caro Sandro, andrò certamente a cercarmi il testo su Testimonianze. Faccia altrettanto sui miei scritti che può trovare su questo sito e ancora di più sul sito di OBC (www.balcanicaucaso.it) che ho l’onore di aver fondato nel 1999.
Michele Nardelli
Caro Nardelli,
sgomberiamo subito il campo.
Non sono un passante in tema di (ex) Jugoslavia. Ci sono nato 61 anni fa, vi ho fatto buona parte delle scuole, il servizio militare a 27/28 anni, lavorato (giornalismo scritto e radiotelevisivo per le testate di Slovenia, Croazia, Bosnia e Serbia).
Dopo una parentesi quasi trentennale (?) fiorentina sono tornato, dapprima a Fiume, a dirigere per otto anni un Teatro stabile e poi, dal 2005, a Spalato.
Se a tuttoggi, quando si parla di nazismo si aggiunge “Germania”, “tedeschi”, e’ perche’ non va mai dimenticato dove il nazismo, e’ nato, e chi, i tedeschi, l’ha alimentato. E, badi bene, lo si fa pur sapendo cosa e’ oggi la Germania, e quanto sia impermeabile al ritorno del mostro.
Figurarsi della Serbia, dove tuttora vive e vegeta l’odio per gli altri popoli slavi dell’area, dove tuttora anche ufficialmente si negano le responsabilita’ per lo sgretolamento nel sangue della defunta Federativa (il presidente Tadić fa letteratura, non politica). Dove tuttora le voci autenticamente progressiste – quelle che a cavallo tra gli Ottanta e i Novanta criticavano il regime miloseviciano – non cammino tranquille per le strade di Belgrado.
Che a muovere guerra siano state menti criminali, non e’ lontano dalla verita’. Ma non lo e’ neppiure il fatto che e’ nella “cultura” serba insito il disprezzo per l’altro. Si faccia procurare (e tradurre) il libro “Filosofija palanke” del sociologo (serbo) Ratomir Konstantinović, del 1969, in cui per filo e per segno ci introduce nel particolare “nazismo” (cosi’ lo chiama l’Autore) serbo. Veda di trovare gli scritti del compianto urbanista architetto e scultore, ex sindaco di Belgrado, Bogdan Bogdanović, e vedra’ quante ne dice. Cerchi sul sito http://www.e-novine.com (raro esempio universale e non solo ex-Ju di liberta’ di pensiero) gli scritti in tema di attualita’ (e storia) politica della Serbia di oggi e di ieri…Legga i testi di Latinka Perović, storica di grande pregio, gia’ defenestrata da Tito nel 1971/72 per le sue posizioni di comunista “liberal”, assieme ai vari Tepavac, Nikežić, Popović…
Se non siamo nuovamente a una situazione di guerra, nonostante la ragguardevole massa di cetnizi – tra il popolo e gli “intellettuali” – e’ perche’ i conflitti balcanici hanno sfatato il mito del “popolo guerriero”. Guerriero, si’, ma fortemente vincibile anche quando il numero di uomini e mezzi e preponderante.
Lei presuppone, tra l’altro, che le cose siano a tutti note – chi ha assediato chi -.
Gia’. Mi spiega come mai, allora, tanti circoli specie italiani continuano a fare festa insieme all’amico di Milošević, il cineasta Emir Kusturica? Che con il defunto leader serbo brindava in occasione dei bombardamenti di Sarajevo? Come mai non sanno – cosa degli ultimissimi anni – che tra le canzoni che egli canta con la sua band ve n’e’ una in cui loda Radovan Karadžić e afferma, testualmente: “Chi non ama Dabić, ci faccia un pompino”? (Dabić era il nome che Karadžić si era affibbiato nella clandestinita’ (?) belgradese). E che nemmeno un mese fa si doleva pubblicamente dell’arresto dell’eroe del popolo serbo Ratko Mladić?
E’ vera, piuttosto, un’altra cosa. Per la Serbia c’e’ un’indulgenza particolare, dovuta a ignoranza, non conoscenza. Perfettamente alimentata sin dall’epoca jugoslava, detenendo la Serbia all’epoca, un buon 80% della diplomazia jugoslavia. Detenendo, essa, quasi tutte le leve federali in tema di esercito, partito, burocrazia statale (e di altre tre repubbliche al tempo federate), milicija…
Non si puo’, non si deve dimenticare (e far dimenticare) tutto cio’ e tantomeno l’ultimo episodio, il piu’ grave prima che i cannoni cominciassero a maciullare la gente, il discorso di Milošević al raduno di Gazimestan, nel Kosovo, nel 1989, in cui apertamente dichiaro’ guerra ai popoli della Federativa, ricevendo il plauso di seicentomila presenti, inclusa la crema dell’intelligentia serba.
Mi fermo qui, anche perche’ sono stufo di parlare da piu’ di ventanni delle stesse cose. Si’, da piu’ di venti, perche’ fin dall’avvento al potere in Serbia di Milošević – con articoli, allora vivevo a Firenze, dove facevo il giornalista e occasionalmente il consulente del sindaco Elio Gabbuggiani e in seguito, a guerre in atto, dei presidenti del consiglio e della giunta regionali toscane, Siliani e Chiti, mentre con padre Ernesto Balducci facevamo il giro delle Comunita’ di Testimonianze per spiegare cosa stava accadendo in Jugoslavia, e scrivevo su Testimonianze e Il Ponte – mettevo in guardia rispetto all’imminente scoppio di una “guerra dei trentanni”. guerra che e’ durata meno non certo per merito della “comunita’ internazionale”, vile nel suo attendismo (“prima o poi Belgrado mettera’ a tacere tutto”, si diceva a Roma, a Strasburgo, a Bruxelles, a Londra e a Parigi), ma per l’eroismo di chi si opponeva al disegno criminale codificato nel Memorandum del 1986…
…
Di questo ed altro (ovviamente, riferito fino al 1994) ho scritto in un libriccino, pubblicato da un’editoriale dell’allora pds di Pistoia, ma con la prefazione di Franco Cardini: “Jugoslavia, genesi di una mattanza annunciata”. Se le va di perdere tempo, glielo mando.
Mi stia bene.
Cari saluti,
Sandro Damiani
Caro Damiani, avremmo da parlare per qualche mese. Lei ha ragione nel dire che è sbagliato dare per scontato che tutti sappiano chi assediava Sarajevo, ma in quella circostanza non lo ritenevo utile per evitare che la riflessione potesse generare contrapposizioni su base nazionale che continuo a ritenere fuorvianti. Non perché non siano un pezzo di verità, ogni cultura ha qualcosa a che vedere con l’anima di una nazione, ma per evitare una sorta di equazione che fa torto a chi ha avuto il coraggio, fra quella stessa gente, di non essere d’accordo e magari di aver testimoniato con la propria vita questo dissenso. Credo di conoscere abbastanza bene la psicologia del popolo serbo, il vittimismo o la cultura dell’isolamento, per non capire quel che vuole dirmi a proposito del “disprezzo per l’altro”. Così come conosco attraverso Rada Ivekovic “Filosofija palanke” e spesso mi trovo a parlare della “balkanska krcma” nelle mie conferenze, come paradigma del moderno. Proprio per evitare una lettura superficiale o banalizzata degli avvenimenti, come è avvenuto anche in Italia, dove ancora si ha spesso a che fare con gruppi di nostalgici comunisti che hanno piegato gli avvenimenti al proprio vecchio e obsoleto schema interpretativo e che guardano con simpatia a Emir Kusturica e alla sua “Wanted man”, dedicata a Raša Dabić. Cose che mi fanno rabbrividire. Ma anche per questo mi voglio sottrarre all’idea della contrapposizione, proprio per non avvallare la tesi del complotto contro la nazione serba di cui si nutre il nazionalismo. E soprattutto la criminalità, quei soggetti che prima indossavano le divise dell’apparato, poi hanno messo con disinvoltura la tuta mimetica e ancor prima che tacessero le armi già avevano addosso il vestito degli uomini d’affari, con le auto di lusso dai vetri abbrunati o le hammer con gli accessori dorati.
In questi anni ho cercato (e con me Osservatorio, anche se ora non ricopro alcun incarico nell’ambito di OBC) di mantenere una linea di analisi delle vicende balcaniche equilibrata, che non vuol dire equidistante. Ma soprattutto di fornire chiavi di lettura che uscissero dallo schema manicheo o semplificatorio della guerra etnica. Mi farà piacere leggere il suo libro, se avrà la cortesia di inviarmene una copia al seguente indirizzo: Michele Nardelli, via delle Camalghe 9, 38123 Cadine – Trento.
Un cordiale saluto
Michele Nardelli
Benebene… Se le capita, venga a Spalato prima che il matto che la guida riesca a far costruire sul Marijan il Gesu’ pseudo-Rio… Le mandero’ il libretto. Mi stia bene. …