Il muro, le mura
9 Giugno 2009Colbricon. La saggezza di tornare sui propri passi.
13 Giugno 2009Al posto di un sogno laico, si è insinuata con il tempo l’attesa di un messia, ma un profeta qualsiasi non basta, anche perché nel lontano passato, in condizioni meno drammatiche, molti profeti hanno fatto una brutta fine. Il male della Palestina e di Gerusalemme non è una maledizione lanciata da qualcuno o da qualche entità in un momento di rabbia o di sconforto, è la malvagità che si materializza in muri, colonie, occupazioni, pulizie etniche, metallo fuso sulla testa degli inermi, campi profughi da sessant’anni, illegalità diffusa e la perdita del senso del limite. Un male oscuro colpisce le religioni facendo smarrire le misericordia di Dio e degli uomini. Anche la parola di Dio viene divorata da parole di pietra e d’acciaio che umiliano e discriminano tutte le sue creature e trasfigurano la sua immagine. Il luogo ormai abbonda di religioni e scarseggia di fede, i fedeli giubilano in modo pagano per la disgrazia dei loro fratelli e, in nome di Dio, augurano e preparano loro mali peggiori.
Dio, penso – e non sono un esperto in materia – guarda atterrito e con stupore come è inferocito l’uomo, che avrebbe dovuto essere, invece, a sua immagine e somiglianza; e di fronte questo credo che ben poco possa fare un pontefice.
Egli ha ricevuto pochi apprezzamenti e molte ingiuste critiche. Il Papa, che non è un uomo politico o di immagine, almeno durante questa visita, ha detto delle cose molto precise e rigorose.
Anche se è nato in Germania durante la barbarie del nazismo, e non certo per colpa o volontà sua, sulla immane tragedia della shoa, sia oggi che nel passato ha detto parole chiare. La sua chiesa, anche col suo predecessore, non è rimasta in silenzio rispetto ad una millenaria discriminazione, da essa stessa perpetrata. Non sta a me – non ho alcun titolo per farlo – dire se le loro parole siano state sufficienti o meno, ma penso che di fronte a quel dolore immenso tutte le parole non bastino.
Come palestinese attendo da lunghi anni che Israele dica molto meno rispetto a quello che ha fatto e che fa nei confronti dei palestinesi.
Sulla Palestina le parole del Pontefice fanno un quadro dettagliato, come anche le tappe scelte per il suo soggiorno. Egli si è rivolto ai palestinesi sottolineando la storia di sofferenza e di ingiustizia che hanno avuto nella loro terra per lungo tempo, ed ha espresso la solidarietà dei cristiani con i rifugiati palestinesi andando a trovarli nel campo di Aida. Rivolgendosi ad Abu Mazen, il Papa ha espresso il suo “sostegno al diritto dei palestinesi a uno stato sovrano sulla terra dei loro avi, che viva in pace e sicurezza con i suoi vicini entro confini riconosciuti internazionalmente”. Ha visto con i suoi occhi il muro e come esso strappa alla sola Betlemme più della metà del suo territorio. A Betlemme ha avuto una grande accoglienza, che ha messo in secondo piano alcune critiche in buona parte fuori luogo, e alla popolazione di Gaza, che non ha potuto visitare, si è rivolto con parole commosse e toccanti, condividendo il loro dolore e pregando per la fine del loro assedio.
Un Papa che si rivolge alla ragione in un quadro di certezza del diritto, invoca tutti a ripudiare la guerra ed il terrorismo, e incentiva la speranza dei giovani verso la vita e verso il loro futuro. Un augurio che i giovani in modo particolare hanno accolto e plaudito.
Naturalmente in una situazione cosi lacerata, ogni stato, gruppo politico o religioso, e sono incalcolabili, avrebbe voluto inculcare al Papa le parole da dire e le tesi da sostenere, compreso me, ma onestamente, in questa diffusa confusione, le affermazioni del Santo Padre forniscono una preziosa chiarezza, che sarà utile per le prossime iniziative diplomatiche che il Presidente Obama si accinge a lanciare. Questo riveste di maggiore importanza il suo viaggio, sia per la scelta del tempo, particolarmente difficile, sia per la scelta delle tesi che ha esposto, per il peso morale che la posizione del Vaticano assume.
Un nodo dolente resta quello dei Cristiani di Oriente, che vengono considerati come una minoranza somiglianti sempre di più ad una appendice dell’Occidente nel vicino Oriente. I cristiani palestinesi sono innanzitutto palestinesi, non sono estranei alla sofferenza del loro popolo nè in crisi di identità. Anche loro sono sottoposti alla discriminazione ed alle conseguenze della repressione israeliana. Non hanno bisogna di tutori come comunità, per ammaestrarli ed insegnare loro fede e doveri. Erano e sono parti insostituibili della storia dei luoghi in cui vivono, ed hanno avuto lungo la storia della Palestina e del vicino oriente un ruolo mai discusso ed in tutti i campi. Vivono insieme ai loro fratelli le drammatica situazione che l’occupazione israeliana ha determinato, come in Iraq sono stati vittime della guerra che Bush ha chiamata crociata. Bisogna aiutarli a rimanere in quella regione favorendo la pace ed il rispetto dei diritti, e non attraverso la divisione della regione, presente solo nel nostro immaginario, secondo l’appartenenza religiosa dei gruppi sociali che la compongono. Questo immaginario non ha fatto altro che marcare le divisioni ed incoraggiare i fondamentalismi. I Cristiani Arabi sono innanzitutto Arabi, ed ora sarebbe giunto il momento perché qualcuno, che sbandiera troppo il suo Dio, si ricordi invece che il cristianesimo era arrivato in India prima di arrivare in Europa, e che la fede ed il nome di Dio si addicono più al silenzio che alle grida isteriche. Se si guarda con attenzione non ci vorrà molto per capire che la Palestina, insieme al suo popolo, devono sopportare il peso della storia europea con la quale hanno avuto poco a che fare.