
giovedì, 7 aprile 2011
7 Aprile 2011
lunedì, 11 aprile 2011
11 Aprile 2011L’8 aprile è la giornata mondiale della popolazione "romanì". Esattamente un anno fa al Colle di Miravalle sopra Rovereto per la prima volta in Italia sventolava la bandiera di questa gente. Non amo le bandiere, ma avevo le lacrime agli occhi per l’emozione. Così oggi, nel ripetersi della cerimonia in occasione della giornata di riflessione che l’associazione Aizo e la Fondazione Opera Campana hanno promosso, voglio rendere omaggio a questo popolo prima di scendere verso Verona dove vado a visitare Vinitaly.
E’ la prima volta che mi capita di andare alla fiera del vino italiano. Nello stand della Pravis abbiamo organizzato un incontro fra i vignaioli che si sono impegnati nel progetto del "Vino di Cana" ed oggi in particolare con Piero Cella, forse il migliore enologo della Sardegna. Il progetto infatti incrocia questa regione perché se vogliamo che il vino in Palestina abbia qualcosa a che vedere con quello che veniva prodotto duemila anni fa occorrono antichi vitigni, non quelli importati dai Rotschild nell’epoca coloniale. Che potremmo rintracciare ripercorrendo a ritroso le vie del vino attraverso il Mediterraneo, se è vero che le più antiche anfore risalenti al 5.000 a.c. ritrovate in Italia venivano proprio da Gaza, in Palestina. Trasmettiamo a Piero Cella la nostra passione per questo intreccio, lui che è uno dei massimi studiosi degli antichi vitigni dell’isola. E non gli sembra vero che dal Trentino possa venire questa curiosità verso la sua terra.
Cosa non scontata, in effetti. Amo il vino e le cantine, conosco la passione di chi ci lavora. Ma nel visitare il padiglione trentino della Fiera rimango negativamente stupito per quanta omologazione ad un’idea del prodotto che fa il paio con le minigonne delle hostess che lo promuovono o dei manager del settore che sembrano uno la fotocopia dell’altro. Oppure con i castelli sorti al posto degli stand delle Cantine Ferrari o di Mezzacorona, ad ostentazione di una ricchezza peraltro largamente pagata dalla nostra autonomia.
Sappiamo quale situazione di crisi sta attraversando il settore vitivinicolo trentino, il cui rilancio – ce lo siamo detti mille volte – non sta tanto nel sostegno al marketing quanto nella qualità dei prodotti. Incontro Mario Pojer, mio vecchio compagno di banco ai tempi delle scuole medie. Poi le nostre strade presero sentieri diversi, lui a dar vita ad una delle cantine più prestigiose del Trentino ed io ad occuparmi di come va il mondo. Mi chiede che cosa ne penso e gli manifesto il mio disappunto. Lui mi mostra un libro di Steffen Maus dal titolo "L’universo del vino". Si tratta di uno dei massimi esperti tedeschi di vino italiano: nel suo voluminoso libro sul vino italiano dedica al Sud Tirolo venti pagine e al Trentino una striminzita paginetta.
Non mi va di parlare male della mia terra, so bene quanta gente vi sia che fa bene il suo lavoro e alcuni di loro sono anche qui con i loro prodotti. Proprio nei giorni scorsi Erika Pedrini – proprio dell’azienda Pravis – è stata premiata come migliore giovane enologa europea dopo la laurea a Geisenheim. Ma la frattura dentro questo mondo la si tocca con mano e questo modo di promuovere il vino trentino, quasi si trattasse di una moda anziché il prodotto di un sapere, non mi piace.
Mi aggiro curioso fra i padiglioni delle altre regioni, meno ricchezza forse ma la musica non cambia. Tacchi a spillo, manager eleganti che non riescono a nascondere i modi spregiudicati e talvolta mafiosi, di cultura enogastronomica ben poche tracce. Forse non sono abituato a questi mondi, ma mi aspettavo davvero qualcosa di diverso. Nell’incontrare fra uno stand e l’altro l’assessore Mellarini vorrei trasmettergli questo mio disappunto nel fare fatica a trovare in questo nostro spazio l’identità di una terra, ma è troppo preso e più o meno so già quel che mi potrebbe rispondere. Quando parliamo in Trentino della necessità di un cambio di passo, di fare meglio con meno, richiederebbe un po’ di coerenza.
Di questo stesso salto di paradigma improntato al concetto di sobrietà parlo in serata a Mattarello. Nella sala del centro polifunzionale pressoché gremita si discute di energie rinnovabili in una serata promossa dalle Acli e dalle associazioni di volontariato del borgo trentino. Con me Giacomo Carlino dell’Agenzia Provinciale per l’Energia e Gianni Lazzari, amministratore delegato del Distretto Tecnologico Trentino. Ne esce un dibattito ricco di spunti interessanti, a cominciare dall’esauriente esposizione dei relatori che mi precedono e che spiegano in maniera semplice ed efficace come il futuro stia nelle energie rinnovabili. Ad una condizione però, che cambiamo i nostri stili di vita. Il che mi fornisce l’assist per parlare diffusamente del rapporto fra pace e utilizzo delle risorse. Un tema cruciale, quello del limite.
C’è fra i presenti una grandissima attenzione, anche politica. L’impronta che hanno dato Carlino e Lazzari è moderatamente ottimistica, "ce la possiamo fare" dicono ma questo presuppone che vi sia consapevolezza nella società come nei luoghi della politica che occorre uscire al più presto dalla civiltà del petrolio. Solo che la politica non dà sempre buona prova di sé. Provo così a tradurre quel che intendo per "fare meglio con meno", insistendo sul prendersi le proprie responsabilità, tanto sul piano della riqualificazione (non del rilancio) dei consumi quanto sulle scelte strategiche in ordine all’energia, alla mobilità, all’uso del territorio.
E’ anche l’occasione da parte degli organizzatori per parlare dei referendum del 12 giugno, della necessità di andare a votare e di votare sì. Oltre ogni incertezza che ancora condiziona i partiti.