A proposito di sovranità e sovranismi
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di Michele Nardelli
(22 agosto 2019) Alla richiesta che mi viene rivolta di esprimere un’opinione su quale soluzione sarebbe auspicabile di fronte alla crisi di governo, preferirei non rispondere perché fatico a riconoscermi in uno scenario dove tutto è riconducibile alla tattica dell’ultimo miglio. Come se mettere rimedio alla profonda sconfitta – culturale prima che politica – che anche le ultime elezioni europee hanno evidenziato riconoscendo ai partiti sovranisti quasi il 70% dei suffragi, fosse possibile attraverso un diverso gioco di alleanze.
Capisco bene il desiderio (e l’urgenza) di liberarsi di un personaggio pericoloso come Matteo Salvini, ma non credo che questo sia possibile senza contestualmente porsi la questione di un’altra narrazione rispetto all’ingorgo che ci ha portati sin qui (di cui la cultura plebiscitaria implicita nel taglio dei parlamentari è parte del problema) e di una proposta di futuro capace di andare oltre l’attuale modello di sviluppo, drammaticamente ingiusto e insostenibile.
Ora che la crisi avviata da Salvini almeno in apparenza si sta rivelando un boomerang contro il leader del Carroccio e che ha preso quota la proposta di un governo di legislatura, andrebbe tracciato un diverso orizzonte a partire dalla natura sistemica della crisi in atto. Perché se il suo esito fosse la formazione di una coalizione che ci ripropone, pur con un diverso scenario, gli stessi nodi e gli stessi approcci (penso al rilancio dei consumi e delle grandi opere), non faremmo che aggravare le ragioni della sconfitta.
Si tratta di un’impresa ardua, perché richiederebbe, come hanno ben scritto Ugo Morelli e Federico Zappini (http://michelenardelli.it/commenti.php?id=4333), un cambio di registro profondo a partire dai fondamentali, ovvero quel nuovo paradigma che vado invocando da tempo e di cui pure si scorgono tracce ma che è ancora ben lontano da diventare il perno su cui far ruotare un progetto politico originario, figuriamoci l’esito politico di questa crisi e un sussulto di pensiero di questo Parlamento.
Nei giorni scorsi il segretario del PD Nicola Zingaretti ha posto cinque paletti inamovibili per sondare la strada di un accordo con il M5S (o, per meglio dire, alternativo alla destra), i cui titoli sono l’adesione leale all’Unione Europea, il riconoscimento della democrazia rappresentativa e la centralità del Parlamento, una nuova diversa stagione dello sviluppo fondato sulla sostenibilità ambientale, una svolta nella gestione dei flussi migratori improntata su solidarietà-legalità-sicurezza, e infine “maggiore attenzione al lavoro e all’equità sociale, territoriale e generazionale“. Oltre alla richiesta di una forte discontinuità anche negli incarichi rispetto al governo precedente.
Si tratta di titoli che andrebbero riempiti di contenuti estremamente dettagliati (come ha suggerito Romano Prodi) per evitare che nel giro di pochi mesi i nodi ritornino al pettine, ben sapendo che le crisi che si affacciano all’orizzonte e la condizione specifica in cui versa l’Italia richiederanno un cambiamento non solo nel profilo dell’azione di governo ma anche negli stili di vita dei cittadini, cosa forse ancora più ardua da realizzare. Un’impresa che, se dovesse incagliarsi nel corso del suo svolgersi, lo ha detto in queste ore Massimo Cacciari, fornirebbe alla Lega un assist che le consegnerebbe un consenso ancora maggiore.
E’ possibile dar vita ad un governo capace di affrontare, con le sue implicazioni di scenario economico, ambientale, sociale e culturale, il tema cruciale della crisi ecologica? Ogni giorno – qui come in ogni angolo del pianeta – abbiamo a che fare con gli effetti del surriscaldamento della Terra. Quel che accade in Groenlandia o in Antartide, in Siberia come in Amazzonia, si ripercuote in tempo reale, qui ed ora, sulle nostre esistenze quotidiane. Nella tempesta che in una notte abbatte sedici milioni di alberi nel cuore delle Dolomiti, nella morte annunciata (venticinque anni non sono nulla) del ghiacciaio della Marmolada, nel caldo torrido delle nostre città, nella perdita continua delle biodiversità, nella progressiva desertificazione dei suoli. O forse pensiamo di cavarcela con i gassificatori domestici dell’acqua di rubinetto?
All’ingiustizia di una sempre più iniqua distribuzione delle risorse, si aggiunge l’insostenibilità di un’impronta ecologica che ci porta ogni anno a consumare nel pianeta 1,7 volte quel che gli ecosistemi sono in grado di produrre (dato che per quanto riguarda l’Italia raddoppia) e dunque ad erodere quel che sarebbe destinato alle generazioni che verranno dopo di noi, cui stiamo letteralmente rubando il futuro.
Invertire, se mai fossimo ancora in tempo, questa deriva significa mettere in discussione l’attuale modello di sviluppo. Come e cosa produrre, scrivevamo già trent’anni fa… Cambiare passo significa riconsiderare le infrastrutture di cui abbiamo realmente bisogno, utilizzare la rivoluzione informatica per liberare il nostro tempo, riconvertire le fonti energetiche orientandoci al risparmio, diminuire i consumi riqualificandoli, dando un diverso valore alle cose vere, investendo nelle relazioni (questo dovrebbe essere il programma per la sicurezza oltre che il significato profondo della cooperazione, anche quella internazionale). Ritornando alla terra, al mare e alla montagna come fonti di sapere e di cultura (del limite). Non la crescita infinita e nemmeno la decrescita, bensì “fare meglio con meno“.
E qui la domanda è ancora più profonda ed urgente: siamo disposti a far nostra la cultura del limite? Non nascondo il mio pessimismo… Mancano le condizioni, mancano le idee nonché le soggettività politiche all’altezza di un’impresa del genere. Razionalmente mi verrebbe da dire che è meglio andare subito alle elezioni, lasciare che gli italiani (com’è avvenuto del resto in altri paesi) si affidino alla destra che meglio rappresenta questo loro essere in guerra con il prossimo, e metterci a lavorare per costruire con il tempo necessario un progetto sociale e culturale radicalmente innovativo.
Malgrado tutto questo, penso che una verifica per quanto improbabile vada fatta. Nella consapevolezza che, in un caso o nell’altro, senza un cambio di sguardo, capace di fare i conti con il passato e di indicare strade inedite, siamo destinati a finire nel baratro di quel progresso scorsoio del quale ci ammoniva Andrea Zanzotto nella sua ultima intervista1. Inascoltato.
9 Comments
Da leggere con attenzione
Mi piacerebbe verificare se questo cambiamento sia realmente possibile e come. Cosa serve a questa inversione di rotta? Le idee sono necessarie ma non bastano: se potessi mangiare un’idea avrei fatto la rivoluzione. Nel passato avevamo una triade apparentemente rassicurante: programma, pianificazione e uomo nuovo. Oggi vediamo la fallacia di questa triade. Mi piacerebbe discutere ma non solo delle necessarie idee ma di come queste possano diventare realmente trasrmative. un abbraccio
Purtroppo temo sia ormai tardi. Se dovessimo cominciare domattina (il che è impossibile) a “fare meglio con meno” i danni che abbiamo provocato all’ambiente continueranno per inerzia per almeno un altro secolo… noi non ci saremo, ma chissà se ci sarà ancora qualcuno!
Non so rispondere alla domanda di Silvano. Forse la strada può essere quella di investire sulla cultura e sulle relazioni, ma la politica di questo tempo non abita qui. Credo anch’io che ormai sia troppo tardi e che abbia ragione Vinicio Capossela nel suo straordinario “il povero Cristo” (http://michelenardelli.it/commenti.php?id=4312). Il che non ci esime dal provare ad impegnarci nella riduzione del danno, nelle forme che ciascuno ritiene più opportune. Compreso l’agire politico.
Troppo tardi per la nostra generazione forse, ma non per i ragazzi di oggi, fridayforfuture insegna, bisogna almeno provarci
grazie per le parole chiare e sagge.
Da parte mia penso che un governo debba essere formato, e che debba provare a dare risposta alle emergenze , quella climatica anzitutto:
https://www.change.org/…/camera-dei-deputati-emergenza…
Grazie Michele. Un’ottima riflessione. Lucidamente pessimistica direi. Oppure pessimisticamente lucida.
caro Michele,
dei cinque paletti posti da Zingaretti alla nuova alleanza governativa il più impegnativo è sicuramente quello della sostenibilità ambientale, già contraddetto dalle prime esternazioni della ministra De Micheli sulle grandi opere. Figlio di un dio minore, quello del progresso, il PD rischia di rompersi l’osso del collo; i grandi visionari del passato ci avevano avvertiti: da Zanzotto (In questo progresso scorsoio
non so se vengo ingoiato o se ingoio) all’angelo della storia di Benjamin che tu spesso richiami, ci giunge l’ammonimento a non credere ciecamente al vento del progresso che “soffia dal Paradiso”. Ciò vale in specie per una terra, quella trentina, che al nodo scorsoio della storia ha sacrificato il suo figlio migliore. La strada è tutta in salita ma noi, col passo del montanaro, siamo determinati a volerla percorrere.
Ancora a proposito di cambiare lo sguardo…
La montagna ha partorito il topolino. La modifica costituzionale, approvata con percentuali bulgare, che porta al taglio del numero dei parlamentari, più che il frutto dei documenti elaborati da chi si è occupato di riforme del sistema politico dai tempi di Nilde Iotti a quelli di Matteo Renzi ( davvero una montagna) è il risultato dell’abdicazione della politica, passata “dalla guida dei processi all’inseguimento degli umori dell’elettorato” come affermato a caldo, appena appreso l’esito del voto, da Cirino Pomicino, un politico da primato, riguardo alla capacità che ebbe di ottenere consenso popolare ai tempi della DC. Che fare, di fronte alla debacle del sistema? Il Parlamento, così debilitato da un provvedimento draconiano che pure rinvia a tempi incerti il varo di contrappesi costituzionali indispensabili ad evitare la paralisi, deve cambiare passo dando ad una commissione paritetica il mandato di predisporre un nuovo assetto che preveda per le Regioni, ridotte pure loro di numero come i parlamentari, una maggiore autonomia, al fine di rafforzare l’indirizzo federalista europeo ancora poco presente nel nostro impianto costituzionale. Legge elettorale ed altri contrappesi dovranno rimanere di esclusiva competenza parlamentare.