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Carlo, mio fratello maggiore, ha realizzato una cosa molto bella per la città che l’ha accolto e nella quale trascorre qualche mese all’anno grazie anche ad una piccola abitazione che con Olga hanno ristrutturato nel suo centro storico.
Sto parlando di Scicli, antico borgo barocco in provincia di Ragusa, noto negli ultimi anni per aver ospitato lo sceneggiato del Commissario Montalbano. Ma soprattutto per la sua storia infinita fatta di “passaggi“ che ne hanno forgiato il carattere e i luoghi, dai greci ai cartaginesi, dai romani ai bizantini, dagli arabi ai normanni, dagli svevi agli aragonesi.
E “Passaggi“ è anche il titolo della mostra di opere d’arte fotografica che Carlo ha realizzato ritraendo i segni che il tempo ha fatto ai volti delle case, crepe apparentemente anonime che parlano di questa città più di tante banali promozioni turistiche e che nessuno sa più ascoltare.
Sono passaggi di tempo, dunque, ma anche di vento come lo sono spesso per le case abbandonate, di vita per le creature che le popolano, di colore dove gli intonaci lasciano intravvedere storie e costumi. Sono, metaforicamente, i pertugi che cerchiamo di abitare quando le soluzioni sono complesse come la vita, sono gli appigli di cui abbiamo bisogno quando vorremmo scalare il cielo, sono lo specchio di tante biografie mai scritte e dimenticate.
“Passaggi“ s’intitola anche uno degli ultimi libri di Vittorio Foa. Scritto a novant’anni, quando tutto è diverso e ti rendi conto che ad un ciclo che si chiude non ne segue necessariamente uno nuovo ed entusiasmante. Perché i passaggi, anche quelli di secolo, richiederebbero l’energia che ti viene meno. E che ti fa interrogare su che cosa significa “passare la mano“, quel passaggio di sapere che prova a trasmettere le lezioni imparate.
In un tempo senza passato, che vive solo al presente, il richiamo di Carlo Nardelli con queste immagini che diventano quadri d’autore ci porta ad alzare lo sguardo, a vedere dove apparentemente non c’è nulla da osservare, ad interrogarsi sullo scorrere delle vite e ad attardarsi sui dettagli. Che a volte ci raccontano molto di più della memoria ridotta a retorica.
E la cosa bella è che Scicli abbia saputo riconoscersi in questi dettagli e nella sensibilità di questo suo cittadino proveniente da lontano.
(in allegato l’intervista che il Giornale di Scicli ha pubblicato nei giorni scorsi)