La fine di una stagione
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(18 gennaio 2016) Pur con qualche perplessità ho ritenuto in passato che se doveva esserci una scelta di carattere strategico sul piano del collegamento fra l’Italia ed il nord Europa avrebbe potuto riguardare l’asse ferroviario del Brennero. La scelta della ferrovia poteva rappresentare la risposta all’insostenibile attraversamento da parte dei TIR lungo la Valle dell’Adige e al rinnovato affondo per il completamento della Valdastico.
Per la verità ogni volta che ho avuto modo di parlarne, ho posto anche l’accento sull’incapacità di interrogarsi sulla sostenibilità di opere come questa in assenza di una previsione che sapesse indicare non solo l’andamento dei flussi di merci e persone da qui ai prossimi vent’anni ma anche la desiderabilità di tutto questo in relazione ad un modello di sviluppo che aveva abbondantemente superato la soglia del limite.
Infatti, tutte le analisi proposte sui flussi non si ponevano nemmeno il problema, quasi fosse scontato il fatto che il futuro non potesse che procedere nel paradigma novecentesco della crescita illimitata.
Ho recentemente espresso un giudizio critico sulla conferenza mondiale di Parigi sul clima e sui suoi risultati, in particolare per aver eluso la domanda cruciale attorno ad un paradigma che accomunava i modelli sociali che si sono confrontati e scontrati nel corso del Novecento.
Ma se una cosa importante è emersa nella Conferenza delle Nazioni Unite sul clima è quella di aver per la prima volta riconosciuto in maniera così esplicita l’insostenibilità di una corsa verso il baratro e la necessità di riconsiderare il nostro rapporto con l’utilizzo delle risorse del pianeta. Facendo eco a Papa Francesco che, da straordinario interprete qual è del proprio tempo, nella sua enciclica “Laudato si’“ aveva ammonito l’umanità intera nel non proseguire nella folle distruzione del creato.
In questi mesi è dunque accaduto qualcosa di importante, anche se un’economia sempre più finanziarizzata sembra proseguire nella sua folle corsa e gran parte dei decisori continuano ad essere impermeabili alla necessità di uno scarto di pensiero. Una nuova consapevolezza rompe gli steccati in cui prima era rinchiusa, bollata come eresia dai cantori dello sviluppo, e la più grande autorità religiosa, insieme alle altre fedi chiamate oltre le antiche divisioni a discuterne, riconosce la drammaticità di questo nostro presente invitando ad un cambio culturale e comportamentale.
Come non capire che l’alternativa a questo cambio è la guerra, quella guerra che già si combatte non solo nei tanti focolai regionali dove crepitano le armi, ma nella vita quotidiana di tutti noi quando rivendichiamo la non negoziabilità dei nostri stili di vita? O forse non li vediamo i muri di filo spinato di una guerra già in corso…
Possiamo forse far finta di nulla? Allora la domanda che si pone il teologo Paul Renner nel suo forte richiamo di questi giorni sul Tunnel di base del Brennero è più che mai legittima. Immaginiamo che fra vent’anni, quando forse l’opera sarà conclusa, non sia cambiato nulla? Se fosse così il Tunnel del Brennero potrà anche essere percorribile ma lo scenario tutto intorno sarà di certo ben poco desiderabile. E non solo per le sorgenti prosciugate, ma perché il deserto (non solo ambientale) sarà più ampio e inquietante.