Ipocrisia
8 Agosto 2015Territorialismo, l’ultimo appello. Quel cambio di paradigma che fatica a realizzarsi.
16 Settembre 2015“La maledizione di vivere tempi interessanti‘ (25)
di Michele Nardelli
In questi giorni mi veniva da associare le immagini della stazione di Budapest affollata da migliaia di migranti a quelle del 1989, quando sempre in Ungheria (era il 19 agosto) per la prima volta vennero sfondate le frontiere della cortina di ferro. Fu, allora, l’inizio di una rivoluzione che cambiò il mondo. Neanche tre mesi dopo cadde il muro di Berlino, altri più o meno visibili si innalzarono. Di lì a poco cambiarono le geografie, scomparvero tre paesi (Jugoslavia, Cecoslovacchia, Unione Sovietica) e ne apparvero diciotto di nuovi1 (a guardar bene 21). La bandiera rossa sul Cremlino venne ammainata e finì una storia. L’astronauta sovietico Sergej Krikalev partito qualche mese prima con la nave spaziale Mir diventò l’ultimo cittadino di un paese che nel frattempo non esisteva più2. La Jugoslavia, per decenni a capo (con l’India, l’Egitto e l’Indonesia) del movimento dei paesi non allineati3, si sgretolò dilaniata da una guerra che per dieci anni insanguinò il cuore dell’Europa fra l’indifferenza dei più…
La forza di quelle persone che, non potendone più di regimi illiberali e corrotti, abbatterono a forza le barriere confinarie aprirono la strada ad un tempo nuovo, anche se non necessariamente migliore.
Oggi, nel vedere l’esodo di centinaia di migliaia di persone dal vicino oriente, dal continente africano e da quella stessa Europa che non si è voluto unificare, avverto una sensazione analoga. Certo diversa, più disincantata e meno gioiosa, che lascia dietro di sé una scia di disperazione e di morte in paesi ricchi (e non solo di storia) ma impoveriti e devastati da guerre vecchie e nuove, osservate con superficialità e per nulla elaborate. Eppure, penso che anche dopo questo esodo nulla sarà più come prima.
Come ventisei anni fa, anche oggi gli esiti appaiono imprevedibili. Nessuno solo pochi mesi prima della caduta del muro avrebbe immaginato la fine tanto rapida dell’URSS e con essa della storia del Novecento. Così oggi, dopo mesi nei quali la tragedia del Mediterraneo nemmeno faceva più notizia e la cancelliera tedesca mostrava il suo rigore ad una ragazzina di origine palestinese (“non possiamo accogliere tutti“ le disse provocandone il pianto), ecco che rapidamente cambia il vento, le opinioni pubbliche s’indignano di fronte alle immagini forti di tanto dolore e lo stesso ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble si erge, grazie alla sbandierata solidità economica del proprio paese, a difesa del diritto di asilo, con buona pace delle leadership di destra dei paesi post comunisti e delle loro opinioni pubbliche.
In questo repentino passaggio fra difesa delle sovranità nazionali e solidarietà globale c’è qualcosa che non mi quadra. Forse sarebbe il caso di comprendere quel che sta avvenendo, mettendo via quell’approccio emergenziale che sin qui ha fatto il gioco della banalità, quella del male ma anche quella del bene. Anche perché nello spazio temporale fra il non più e il non ancora, come ci ricorda Hannah Arendt, “può trovarsi il momento della verità‘4.
1 Armenia, Azerbajan, Bielorussia, Bosnia Erzegovina, Repubblica Ceca, Croazia, Estonia, Georgia, Lettonia, Lituania, Kosovo, Macedonia, Moldavia, Montenegro, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Ukrajna, cui potremmo aggiungere Abkazia, Ossezia del sud e Transinistria
2 L’immagine viene proposta da Claudio Magris. Alla cieca. Garzanti
3 Movimento fondato nel 1961 da Tito, Nehru, Nasser e Sukarto che arrivò a rappresentare 120 stati.
4 Hannah Arendt, Tra passato e futuro. Garzanti