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“La maledizione di vivere in tempi interessanti‘. Terza puntata

di Michele Nardelli

Vedo in giro un forte smarrimento. E’ in primo luogo sociale. Le immagini che ci arrivano dai quartieri di Roma o di Milano ci raccontano che la guerra è già iniziata, anche qui. In forme diverse da quelle che stiamo conoscendo in altre parti del pianeta, ma in fondo poi non più di tanto. Ad esplodere sono i punti di contatto fra inclusione ed esclusione, non solo perché i responsabili di questa situazione sono troppo lontani dal disagio. Quanto piuttosto in ragione del fatto che le culture che hanno vinto, nell’inclusione come nell’esclusione, sono molto simili fra loro. Il modello sociale e culturale che è prevalso alla fine del Novecento è quello basato sul consumo e sul dominio che questo richiede, non sull’egualitarismo.

Negli Stati Uniti Barack Obama perde le elezioni di metà mandato non a prescindere dalla ripresa dell’occupazione, dell’assistenza sanitaria per milioni di persone che prima non ne avevano accesso o dal ritiro delle truppe americane dalle aree di crisi o di contesa delle materie prime… ma proprio per questo, perché la cultura che prevale in questo passaggio di tempo è quella del più forte (ed intoccabile), di una gerarchia sociale dove prevale il diritto naturale, perché è la guerra lo strumento per stabilire a chi vanno le risorse (limitate) del pianeta.

Ed è uno smarrimento anche di natura politica. Perché tutto questo non richiede visioni, ma rappresentazione degli interessi immediati. Cavalcare, non interrogarsi. Lisciare il pelo, non dire cose che possano apparire sgradevoli. Cambiamento, non la “coerenza“ (quella che qualcuno definisce “la virtù degli imbecilli“ come ci ricorda Franco Cassano nell’incipit del suo “Senza il vento della storia“). Perché lo sguardo oltre possa diventare visione abbisogna di curiosità, capacità di meravigliarsi prima ancora che di indignarsi. Comporta la necessità di indagare l’efficacia delle proprie categorie di lettura della realtà. Richiede conoscenza ed elaborazione del passato ed in primis del secolo che ancora non ci siamo affatto messi alle spalle, quello “dell’orrore inaudito e dell’utopia senza misura“. E di nuovi pensieri, a fronte dell’inadeguatezza (o all’implosione) di quelli novecenteschi.

Pigra, ignorante, chiusa nei suoi rituali (anche quelli post-ideologici come le primarie), stregata dalla cultura maggioritaria, la politica nemmeno si rende conto del gorgo nel quale ci stiamo infilando. Invece di riflettere, si rincorrono gli avvenimenti, si cercano le parole ad effetto, ci si affanna ad immaginare una ripresa che non ci può essere se non calpestando i diritti degli altri, si srotolano le bandiere dalla soffitta.

In passato questa terra ha saputo essere laboratorio sociale e politico originale. Ora invece prevale l’omologazione ed in pochi mesi si è fatto scempio di vent’anni di anomalia politica che ci ha tenuti lontani dallo spaesamento e dalla paura. Lo ripeto, forse è il caso di cominciare a parlarne.

2 Comments

  1. anna magnani ha detto:

    Il trabocchetto in cui ci siamo infilati è una spirale che trascina in basso e ottunde il pensiero, è il tempo della velocità. Ecco, siamo saliti su un treno come degli allegri compagnoni che vanno a fare una gita fuori porta ma da quelle carrozze non siamo più scesi. Il treno non si è più fermato. Non sappiamo più dove vogliamo andare ma andiamo, perdendoci in un mondo illusorio, credendo di vivere e di scegliere. E’ una vita chiusa in carrozza, la realtà è fuori dal finestrino e scorre veloce graffiando le immagini. Siamo su un carro bestiame che ci sta portando al macello, in un campo di concentramento dove verremo selezionati o eliminati. Io mi chiedo, perchè non riusciamo ad avere una visione diversa da quella del capitalismo? Perchè non riusciamo a pensare che altre forme di convivenza sono possibili? Eppure ormai non ci sono neanche più prospettive future di grandi prosperità. Preferiamo arraffare tutto ciò che è possibile, incuranti di fare del male al prossimo. Non è una lotta per la sopravvivenza, la capirei meglio, è una lotta per ingoiare sempre di più, in una dimensione mentale dove la sanità e la follia si intersecano e si alternano fino alla distruzione finale. Ciò che mi chiedo è: è ancora possibile agire perchè le persone accettino una prospettiva di vita alternativa a questa, e, se sì, come? Oppure le contraddizioni del sistema economico-sociale esploderanno improvvisamente da sole? E nel frattempo, che fare? Ci chiudiamo in noi stessi osservando attoniti tutto questo, gridiamo forte sulle piazze fino ad essere bastonati oppure facciamo azioni quotidiane che aiutino a dare un senso al nostro piccolo mondo?
    Come usciamo dalle vecchie categorie se non le abbiamo neppure elaborate? I fantasmi passati si ripresenteranno con il tono delle ideologie, con i dualismi del vivere o morire, amico o nemico, avere o essere.

  2. micaela bertoldi ha detto:

    mi pare davvero che abbiate ragione nel ri-lanciare (per l’ennesima volta) l’allarme circa l’assurdità a cui stiamo assistendo, con una politica stregata da illusorie certezze, mentre si viene trasportati su carrozze di treni che ci portano in possibili baratri senza fine.
    Ieri, alla cena de Il gioco degli specchi, qualcuno mi chiedeva di “dire qualcosa di saggio”: sinceramente mi riusciva difficile sintetizzare, lì per lì, sia il malessere e la critica per la situazione presente e, al contempo, uno sguardo verso una possibile ripresa di consapevolezza e intelligenza nell’abitare il mondo. L’unica cosa che è affiorata ad alta voce, è stata la considerazione che se in tempi scurissimi quali gli anni del nazifascismo, quando poteva sembrare impossibile capovolgere le sorti del mondo e tornare a idee di giustizia e libertà, ci furono molti che seppero mantenere umanità e voglia di cambiamento, allora anche oggi, a maggior ragione, non è concesso di cedere alla delusione e allo sconforto, pur essendo questo del tutto motivato dall’insipienza politica, dal renzismo aggressivo e verboso, dall’ingiustizia verso i deboli e gli ultimi. Ma serve riaprire un circuito di discussione che sappia raccordare intelligenze individuali per costruire percorsi collettivi di consapevolezza. Il solo impegno coerente personale non può bastare.