Pensieri europei. Ridisegnare l’Europa. Il ruolo delle macroregioni.
21 Maggio 2014Rovesciamenti
23 Giugno 2014Non amo Matteo Renzi e non sono di quelli che saltano sul carro del vincitore. Rispetto a ciò che penso, Renzi esprime un’altra idea di società e di politica per cui spesso le proposte che mette in campo sono lontane dal mio sentire, dalla rottamazione “che ora inizia per davvero“ (sono per la prevenzione e semmai per il riciclo), a quelle riforme che delineano una cultura plebiscitaria e centralistica che ho sempre avversato.
Eppure devo riconoscere a Matteo Renzi di aver saputo comprendere ed interpretare la paura, indicando una risposta diversa dal rancore. Se guardiamo all’esito delle elezioni nei paesi europei, nella colorazione simbolica così diversa da un paese all’altro, vediamo che si affermano proprio quelle proposte che hanno saputo interpretare in forme anche radicalmente diverse (Le Pen in Francia, Merkel in Germania, Tsipras in Grecia e Renzi in Italia…) questo sentimento che pervade l’Europa, la paura.
In questa diversità di interpretazione c’è però un tratto comune. Quello di non voler prendere atto che questo pianeta, consumando più risorse di quelle che gli ecosistemi riescono a produrre, non è più sostenibile. E dunque della necessità di mettere in discussione modelli e stili di vita insostenibili, ovviamente se crediamo che i 7 miliardi di esseri umani che abitano la Terra abbiano tutti i medesimi diritti.
C’è chi questo nodo ineludibile lo affronta, come fa l’estrema destra in Francia, coltivando l’avversione verso l’immigrazione e facendosi paladina di quella “grandeur“ che non è certo incline alla cessione di sovranità, né tanto meno alla solidarietà. Chi, come la Merkel in Germania, ergendosi a baluardo del primato economico tedesco e a garante del compromesso sociale fra capitale e lavoro. Oppure chi, come Syriza in Grecia, ha fatto leva sull’avversione alla cura che la trojka ha imposto ad un paese che pure viveva al di sopra delle sue possibilità, affermando che le ricchezze ci sono e basta andarle a prendere dove ci sono. O ancora chi, è il caso del nuovo PD di Matteo Renzi, si è proposto come alfiere del cambiamento (tanto della classe dirigente quanto dell’assetto istituzionale), nella speranza che la crisi sia di natura congiunturale e che possa essere affrontata attraverso il rilancio dei consumi. E gli 80 euro al mese (che non sono poca cosa) a questo dovrebbero servire.
Capisco benissimo che non è semplice dire a persone che faticano ad arrivare a fine mese che è necessario darsi una regolata, ma l’austerità (nell’accezione berlingueriana di nuovo modello di sviluppo) è la condizione per evitare che il futuro delle generazioni a venire sia la guerra. Se invece la politica continuerà a lisciare il pelo, magari facendo intendere che tagliando le istituzioni e il numero degli eletti si risolvono i problemi, non faremo altro che nascondere la realtà, avvicinandoci sempre di più al baratro.
Oggi, di fronte all’ossessione della crescita, occorre un cambio di paradigma, la cultura del limite. Di fronte al delirio del fare abbiamo bisogno di più pensiero, ovvero della capacità di comprendere un contesto nuovo rispetto al quale le categorie fin qui usate sono diventate inservibili. Nel trionfo della tecnica (che pretenderebbe di dare risposte semplificate a problemi complessi) c’è bisogno di più politica, ovvero di maggiore assunzione di responsabilità.
Comprendo l’euforia per il successo del PD a cui peraltro ho contribuito con il mio voto, ma questo non ci deve nascondere i nodi di fondo, che richiedono tanto per stare al tema, un approccio “diversamente europeo”, sovranazionale e territoriale, parole che abbiamo visto anche in questa campagna elettorale ancora contrapposte.