Bergamo, un’immagine della Conferenza
Diventare Europa
19 Dicembre 2013
Bergamo, un’immagine della Conferenza
Diventare Europa
19 Dicembre 2013

Campo democratico, ultima fermata

Cari amici, mispiace non riuscire ad essere con voi all’incontro di oggi e quindiaffido a questo messaggio la breve considerazione che avrei volutoproporvi in questa occasione.

Condivido che il PD abbia in buona sostanza mancato l’obiettivo per cui era nato, quello di dar vita ad uno spazio politico e culturale capace sul piano del pensiero come delle forme dell’agire politico di oltrepassare il Novecento. Credo altresì che se oggi il Partito Democratico, e conesso l’insieme dei corpi intermedi, è in grave difficoltà, questo abbia a che fare con l’incapacità di leggere e raccontare il nostrotempo.

Questa “crisi disguardo” ha molteplici ragioni, prima fra tutte quella relativa alfatto che il carattere interdipendente dei processi globali/locali hamesso “fuori scala” i corpi intermedi. Se oggi la cifra deiproblemi (e dunque la chiave per accedervi) è sempre piùsovranazionale e insieme territoriale (nei luoghi dove simaterializzano le contraddizioni e nella dimensione nella qualepossono essere affrontati), non si comprende perché i partiti sianostrutture nazionali, incapaci di visione europea e che, al tempostesso, sorvolano i territori, ridotti a terminali elettoralipiuttosto che luoghi di sperimentazione sociale e politica dotati diautopensiero. Di quel “pensare da sé”, antidoto verso unacultura plebiscitaria che rende superfluo il ruolo stesso dellapolitica.

E’ mia convinzioneche una possibile pagina nuova della democrazia debba nascere dellariforma in senso democratico, federalistico e sovranazionale (insenso europeo, mediterraneo, danubiano, alpino…) della politica.Ritornare al piacere di uno sguardo lungo, oltre le emergenze e lescadenze che rendono arida la politica, e al tempo stesso, allanecessità di comprendere i processi nel loro materializzarsi nellanuda vita delle persone e dei luoghi. Cercando soluzioni che faccianopropria la cultura del limite, quel limite che ormai il pianeta haampiamente oltrepassato senza che si sia avvertito l’imperativo dicambiare un modello di sviluppo insostenibile.

“Territoriali edeuropei”, poteva essere il titolo della mozione congressuale chenon c’è. Capisco che ciò rappresenterebbe una rivoluzionecopernicana della politica, ma è ciò che avverto come ineludibile.

Nell’affidarla ad unmessaggio di poche righe (e a proposito di cose impossibili), mivengono in mente le parole di Altiero Spinelli che nel lasciareVentotene scriveva: «Guardavosparire l’isola nella quale avevo raggiunto il fondo dellasolitudine, mi ero imbattuto nelle amicizie decisive della mia vita,avevo fatto la fame, avevo contemplato – come da un lontano loggione- la tragedia della seconda guerra mondiale, avevo tirato le sommefinali di quel che andavo meditando durante sedici anni, avevoscoperto l’abisso della rassegnazione, la virtù del distacco, ilpiacere del pensare pulito, l’ebbrezza della creazione politica, ilfremito dell’apparire delle cose impossibili … nessuna formazionepolitica esistente mi attendeva, né si prestava ad accogliermi nellesue file … con me non avevo per ora, oltre che me stesso, che unManifesto, alcune tesi e tre o quattro amici».

Unabbraccio.

MicheleNardelli

Comments are closed.