sabato, 30 maggio 2009
30 Maggio 2009
mercoledì, 3 giugno 2009
3 Giugno 2009
sabato, 30 maggio 2009
30 Maggio 2009
mercoledì, 3 giugno 2009
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lunedì,1 giugno 2009

Di buon mattino la città è deserta. Il piazzale della Regione è sgombro d’auto come una qualsiasi domenica. Sono in molti a fare il ponte, ma non è un giorno festivo (e non sarà nemmeno di festa). Accompagno Simone in centro città dove inizia il via vai dei partecipanti agli incontri del Festival dell’economia. E’ presto e allora vado in ufficio e mi metto a scrivere una dichiarazione di voto a favore di Michele Nicoletti. Poi, verso le 10.30, vado a Palazzo Geremia dove Giuseppe De Rita tiene una conferenza dal titolo suggestivo: "Terra e comunità".

Giuseppe De Rita è stato per me nel corso degli anni uno degli studiosi di riferimento. Come fondatore del Censis e presidente del Cnel ha lavorato sulle trasformazioni di questo paese ed il suo "manifesto per lo sviluppo locale" è stata la cornice della sperimentazione in Italia dei "patti territoriali". Non un libro, ma un manifesto per l’agire, scritto con Aldo Bonomi. Ricordo di aver presentato le "Dieci tesi per lo sviluppo locale" (uno dei capitoli di questo lavoro) a Città del Messico, la più grande delle metropoli al mondo, in un affollato incontro organizzato dal mio amico Carlos Schaffer. Parlare di territorio in un luogo dove vivono 27 milioni di persone era come sfidare la realtà, ma l’interesse che incontrai fu davvero notevole.

Ora di territorio, spesso a vanvera, ne parlano tutti. E’ stata la dimensione globale, paradossalmente, a farne le fortune, anche se poi nell’approccio culturale di gran parte della politica (della sinistra ma non solo) è cambiato ben poco. Ora De Rita prova ad andare oltre, affermando che il vero antidoto alla crisi finanziaria globale è rappresentato dalla "cultura terranea", della terra come fonte d’identità rispetto allo spaesamento dominante, della prossimità come risposta alla "poltiglia culturale" di società atomizzate. E’ la terra, fonte di tenacia e di prudenza, a dare significato ad un’identità comunitaria.

La sala di rappresentanza di Palazzo Geremia è piena, così come le sale attigue attrezzate per ascoltare in video la conferenza. E’ incredibile quanti giovani vi siano ad ascoltare questo vecchio signore che parla di culture materiali, senza furore e con moderazione.

E’ quasi mezzogiorno e vado al Progetto Prijedor, dove incontriamo i rappresentanti del Cisv che quest’anno organizzano il loro campo internazionale a Ljubija, paesino a pochi chilometri da Prijedor. Ci saranno giovani che provengono dalla Colombia, dal Brasile, dall’Indonesia, dall’Egitto, dal Libano e dall’Europa. Il campo ha un obiettivo che ci sta molto a cuore, intervistare il territorio sulla memoria della miniera e ciò che essa ha rappresentato nel corso del Novecento. Finito l’incontro, ci riuniamo con lo staff dell’Agenzia della Democrazia Locale: da alcuni giorni sono qui a Trento Dragan e Dragana che del nostro lavoro nella cittadina bosniaca sono le colonne portanti. Con loro si discute del passaggio delle consegne nella direzione dell’attività a Prijedor, senza più l’ausilio di un delegato che risieda permanentemente in quella città. Insomma dopo Annalisa Tomasi, Patrizia Bugna, Marco Oberosler, la breve parentesi di Giuseppe Terrasi, ed il lavoro che sta svolgendo Simone Malavolti, fra qualche mese saranno loro a prendersi la responsabilità del complesso di relazioni fra il Trentino, altre realtà ragionali italiane e quella che un tempo era la città simbolo della pulizia etnica.

Proprio Aldo Bonomi, di ritorno da un viaggio che facemmo insieme nel 2001, vi dedicò un suo saggio dal titolo "La comunità maledetta".

Mentre discutiamo arriva una telefonata, la notizia di un aereo partito dal Brasile precipitato in mare con 228 persone, fra le quali Rino, Giambattista e Gianni, testimoni di un Trentino che vive il tempo globale con passione ed intelligenza, nelle riflessioni di un festival dell’economia come nelle relazioni di comunità.

Finito l’incontro, passo dal Gruppo consiliare dell’Unione per il Trentino per avere informazioni e rivolgere qualche parola di cordoglio verso le persone più vicine al consigliere Giovanni Battista Lenzi. Chiamo Giorgio Lunelli (il capogruppo dell’UpT) ma il telefono è staccato. Mi richiama dopo qualche minuto, mi dice della compostezza della famiglia di Giambattista, parliamo di quanto tutto sia casuale. Ritorno in ufficio e chiamo Ciro Russo in Argentina, dove è responsabile della Trentini nel Mondo. E’ incredulo di ciò che è accaduto. Con Rino Zandonai sono amici da anni, quel che si è costruito in America Latina con l’emigrazione trentina l’hanno fatto insieme. E quella rotta attraverso l’oceano l’avevano percorsa insieme tante volte.

Mi sento con Luca Zeni per condividere un breve comunicato del gruppo consiliare del PD. Poi con Edoardo mi butto in mezzo alle manifestazioni dell’ultimo giorno del Festival. In ogni angolo della città c’è un gruppo di immigrati che suonano le loro musiche, un sacco di gente per strada, negli stand e nelle sale. Sono orgoglioso di questa nostra città.

Vado al gazebo del PD in via Oss Mazzurana dove insieme a Michele Nicoletti c’è anche Debora Serracchiani, entrambi candidati per il PD nel collegio del nord-est. Nei capannelli si parla delle notizie ancora frammentarie che vengono dal Brasile. La piccola folla si confonde fra la gente del Festival che fa la coda per partecipare agli eventi. Al Teatro Sociale c’è l’atto finale, che si conclude con una condanna verso la finanza internazionale e gli economisti che non l’hanno saputa cogliere per tempo. Ma ce n’è anche per la politica e la sua incapacità di interpretare il proprio tempo.

 

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