Lago di Caldonazzo
mercoledì, 30 novembre 2011
4 Marzo 2010
venerdì, 5 marzo 2010
5 Marzo 2010
Lago di Caldonazzo
mercoledì, 30 novembre 2011
4 Marzo 2010
venerdì, 5 marzo 2010
5 Marzo 2010

giovedì, 4 marzo 2010

Al Galilei mi attende una classe di ragazzi di quinta, mediamente diciottenni. Fra qualche settimana andranno in viaggio in Bosnia Erzegovina e io sono lì, di fronte a loro, ad interrogarmi su come catturare la loro attenzione. Per prima cosa chiedo a ciascuno di loro quale sia la cittadinanza che sentono più vicina fra quella trentina, italiana, europea e del mondo. Se uno mi spiazza rispondendomi che la sua cittadinanza è quella della Valsugana, in molti mi indicano quella "europea".

E’ così che entro nell’argomento. I Balcani, l’Europa di mezzo. E inizia la storia. Anche quelli più inclini al casino, che se solo li molli con lo sguardo ti creano il vuoto intorno, reagiscono bene, seguono anche se non sarebbero usi farlo. Chi prende appunti sono prevalentemente le ragazze, ma per quasi due ore tutti rimangono inchiodati nei loro posti, a dispetto dell’età e dello spazio vitale che quell’aula non offre di certo.

Di tanto in tanto li interrogo, qualche volta rivolgo quelle stesse domande anche all’insegnante che assiste alla mia lezione e che siede in un banco come fosse una di loro, perché in realtà lo è, tanto poco ne sa di quel che vado raccontando. Ma gli sguardi sono vispi e incuriositi. Tanto che allo scoccare della seconda campanella nessuno si alza e scatta invece un applauso.

Dovremmo dedicarci a raccontare, ma per farlo occorre qualcosa da dire. E, forse, il problema sta tutto qui.

Astrid, nonostante la giovane età, qualcosa da raccontare ce l’ha. Sfoglio il suo libro sul Kosovo che viene presentato nel tardo pomeriggio a Palazzo Trentini e vi colgo un ritmo leggero, a dispetto dell’argomento trattato. Non c’è affatto retorica nelle sue parole, si è semplicemente lasciata rapire da quel paese che più o meno per caso s’è trovata fra le mani. Anche se i Balcani non sono mai di moda, la piccola sala è piena, il che significa che in questi dieci anni, da quando salii le scale della Giunta provinciale per chiedere che dopo l’emergenza investissimo in relazioni, il ponte è stato attraversato di continuo, da una parte e dall’altra.

Sguardi, racconti, parole: dieci anni di cammino presuppongono un pensiero non banale. E Ilir lo testimonia, basterebbe questo per dire che non si è lavorato invano – dice Emiliano – ed ha ragione.

 

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