Un momento dell'incontro a Reggio Emilia
martedì, 9 aprile 2019
9 Aprile 2019
La presentazione a Venezia
mercoledì, 22 maggio 2019
26 Maggio 2019
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domenica, 26 maggio 2019

 

L’altra sera ero ad Ala per un incontro dedicato all’Europa promosso dal Circolo locale del Partito Democratico che mi vedeva come unico relatore. Non si trattava di un comizio elettorale, non avrebbe potuto esserlo visto che personalmente non ho ancora deciso a chi oggi andrà il mio voto. Era piuttosto un discorso attorno al progetto politico europeo, a come di è andata formando un’identità culturale europea pur sempre in divenire, alla sua storia indissolubilmente intrecciata con il Mediterraneo, alle nuove geografie che il Novecento ci ha consegnato, alla necessità di cambiare i nostri paradigmi a cominciare dal concetto di stato/nazione.

Ne è venuta una serata densa di immagini e di parole sull’Europa, ben diversa dal confronto spesso volgare cui abbiamo assistito in queste settimane di campagna elettorale tutto giocato sulla vicenda italiana e su quel clima di paura coltivato ad arte per affermare uno slogan che dell’Europa è la negazione: quel “prima gli italiani” che, esteso sul piano europeo nei tanti “prima noi”, significa semplicemente mettere in discussione il progetto politico europeo.

Perché non possiamo non riconoscere che il disegno federalista europeo si sia inceppato. Come già accadde nei primi anni ’90 quando in discussione era la Costituzione Europea e quell’atto fondamentale s’infranse attorno all’inserimento nel testo costituzionale del riferimento alle radici cristiano giudaiche dell’Europa. Che avrebbe significato tagliare altre radici e altre storie europee, ma soprattutto quell’intreccio di culture che nell’incontro fra Oriente e Occidente hanno plasmato l’Europa. Non se ne fece nulla, ma il progetto politico europeo s’incagliò.

Ne parlo nel racconto “Europa, storie di confine” (http://michelenardelli.it/commenti.php?id=4302). Da quel momento infatti quel disegno che avrebbe potuto cambiare il corso della vicenda europea venne avversato in ogni modo: dalle guerre in seno all’Europa (Balcani e Ucraina testimoniano un’altra storia rispetto a quella che continuiamo a sentire sui “settant’anni di pace”) alla rinascita dei nazionalismi, dalla destabilizzazione dell’Africa (nella regione dei grandi laghi come in Somalia o in Libia), dal diffuso sorgere dei sovranismi alla Brexit.

Dalla presidenza della Commissione Europea di Romano Prodi che in quel disegno aveva creduto, dalla strategia dell’allargamento al Processo di Barcellona sul Mediterraneo, sembra sia passato un secolo. Con l’insorgere dei sovranismi nazionali e dell’euroscetticismo il clima verso l’Europa è cambiato, a prevalere sono tornati ad essere gli interessi nazionali, come se l’Europa si potesse fondare sulla logica della trattativa e dei rapporti di forza. Dimenticandosi (o forse senza nemmeno sapere) che un’Europa degli Stati nazionali veniva considerata dagli autori del Manifesto di Ventotene come l’equivoco maggiore sulla strada del progetto europeo.

E così siamo giunti alla situazione odierna, con il più basso indice di popolarità dell’Europa e delle sue istituzioni, con una Commissione ampiamente delegittimata (basti pensare a come è stato fatto saltare l’accordo di non proliferazione nucleare dell’Iran che vedeva garante proprio l’Unione Europea), con il processo di allargamento paralizzato, con un Mediterraneo lacerato da guerre causate dall’azione unilaterale di paesi europei (vedi Libia) o su cui si misura un confronto di influenza regionale fra le grandi potenze (pensiamo alla tragedia siriana), con una guerra di bassa intensità ancora in corso nel suo cosiddetto confine orientale (Ucraina). E con il Regno Unito in procinto di abbandonare l’Unione.

Come invertire questa tendenza? Serve un diverso racconto sull’Europa. Sì, un racconto sull’Europa a partire dal suo nascere “fuori di sé” di cui ci parla la mitologia greca; dell’incontro di civiltà quando il centro del mondo era a Oriente e da lì veniva il sapere; di un’identità culturale sincretica rintracciabile nelle parole, nella poesia, nella musica, nel cibo di cui ci ha parlato Predrag Matvejevic nel suo Breviario Mediterraneo; degli idiomi mediterranei scomparsi nel delirio degli stati nazione; del suo continuo divenire “sempre in conflitto fra meriggio e mezzanotte” come ebbe a scrivere Albert Camus1; del secolo di tenebra quando chi non aveva mai visto il mare2 decise di affermare il proprio primato e dell’incapacità – in assenza di elaborazione – di imparare dal passato; del saper leggere i segni del tempo quando anche la natura si ribella alle magnifiche sorti progressive dello sviluppo; del cambio di paradigma che s’impone di fronte all’insostenibilità del nostro modello di sviluppo.

Di questo ho parlato ad Ala e lo stupore nelle persone che forse si aspettavano un comizio (come del resto poteva essere normale ad una settimana dal voto) si è tramutato nell’apprezzamento per il regalo (così lo ha definito Paolo Mondini) di una riflessione di cui nella campagna elettorale proprio non c’è stata traccia.

Nelle prossime ore il voto, ben più delle mie parole, ci fornirà un’istantanea dello stato dell’Unione Europea, dei suoi fantasmi come delle sue speranze. Mi accontenterei semplicemente di una riduzione del danno e con questo spirito oggi andrò a votare, per tenere aperta – pur nella difficoltà di riconoscermi nelle rappresentazioni politiche che sono in campo – almeno una possibilità, verso quel progetto sovranazionale di cui avverto come non mai la necessità e che l’Europa ai miei occhi continua a rappresentare.

1 Albert Camus, L’uomo in rivolta. Bompiani, 1994

2“…Sanno che a perder di vista il mare, si perde il tremolar della marina: si perde l’intelligenza…” Alberto Savinio

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