Sulla Valdastico non si tratta
6 Luglio 2015di Roberto Pinter
(29 luglio 2015) Il PD s’è preso una sberla. Su questo tutti sono d’accordo. Non che il PD ne avesse bisogno, s’era preso un sonoro ceffone alle elezioni comunali e un cazzotto con le Comunità di valle e dunque era già al tappetto, complice pure la situazione nazionale che non permette al PD trentino di vivere di rendita. Che Rossi l’abbia data per dimostrare chi comanda, ribadendo che lui non ha vinto per caso le primarie, o perché la Borgonovo rappresentava un effettivo problema per il governo provinciale e la tenuta della coalizione, ha poca importanza.
Rossi ha dimostrato di conoscere bene i suoi alleati e sa fin dove può spingersi nell’allargare il suo potere e nell’estendere l’occupazione della amministrazione da parte del Patt. D’altronde se le armi in dotazione del PD sono la minaccia di una telefonata a Roma da parte della delegazione parlamentare si capisce bene quanto possano essere preoccupanti. Tanto più che a suo tempo il Patt si era premunito di siglare un accordo politico con il PD nazionale, scavalcando quello trentino e ottenendo per il fido Panizza il seggio senatoriale di Trento!
La fotografia della realtà è impietosa e mostra un PD, primo partito per voti e ambizione, che arranca nel tentativo di non lasciare al più piccolo Patt il controllo totale della autonomia provinciale, al punto da ricercare una alleanza con un UpT che per quanto in difficoltà ha dimostrato di presidiare il territorio in misura più consistente di quanto non riesca il PD.
Rossi ha scelto i suoi assessori e ha distribuito le deleghe e quindi può modificare squadra e competenze, non è questo il problema, ma che il Pd ponga il problema di una ridistribuzione più ampia delle deleghe e che poi riduca la pretesa ad una più mite verifica di giunta nella indifferenza del presidente, questo si è un problema perché testimonia l’assoluta debolezza del primo partito ridottosi a “prendere atto delle scelte di Rossi”.
Il mantenimento delle competenze in materia di sanità ad un esponente del PD può rassicurare sul fatto che nella revoca di fiducia alla Borgonovo non si nasconde una controriforma, ma può anche essere letta come indifferenza rispetto ai problemi posti dal PD sulle tante cose che non vanno nel governo provinciale.
Il vero problema è che non si sa cosa voglia il PD e nemmeno se esiste ancora un partito che possa definirsi tale. Una sommatoria di prime donne che coltivano le rispettive ambizioni non è esattamente quello che si possa definire come un progetto collettivo o come una idea politica. Riprova ne è l’appello della Borgonovo ai “suoi elettori” e non agli elettori del PD, o la tardiva esternazione di parlamentari normalmente assenti dallo scenario provinciale e dalle vicende della autonomia, così come il silenzio interessato sulla presenza di genere in giunta o peggio ancora la mancanza di una richiesta di chiarire quale direzione intenda percorrere il governo provinciale nella sanità come sulla mobilità o le altre urgenze trentine.
Perché la recente disastrosa gestione del partito non è che uno dei sintomi di una malattia ben più diffusa e che ha progressivamente portato il PD ad essere spettatore passivo di scelte politiche dalle quali risulta escluso e capace di conquistare la ribalta solo con l’esercizio sterile e quotidiano di contrapposizioni interne che via via hanno perso di significato.
Perché un partito può dividersi, può anche continuare nell’assurdo balletto delle primarie a chiedere all’elettorato di fare quello che non è in grado di fare, cioè di scegliere il proprio gruppo dirigente, ma dividersi su cosa? Su quali visioni? Su quale idea del Trentino e della sua autonomia? Questo non è dato sapere, si chiede agli elettori ormai sfiancati di schierarsi ogni volta sulle persone e mai sulle idee che i candidati dovrebbero esprimere. Come se il contenuto del PD fosse dato una volta per sempre o come purtroppo se il contenuto non contasse niente e contasse solo la vittoria elettorale (ma anche quella ormai è un ricordo).
Ma la perdita di fiducia in un partito non è data solo dai comportamenti degli eletti ma anche e soprattutto dalla assenza di una idea per cui un elettore possa sentirsi motivato a votare.
Qual’è l’idea sulla sanità? Quella della Borgonovo, peraltro assai indefinita e che mai ha voluto condividere, quella di chi nel PD l’ha contestata? Quella che sperabilmente assumerà Zeni? Ma può un partito lasciare che una politica sia decisa da chi di volta in volta assume delle deleghe o infine come sempre dal presidente della giunta?
Qual’è l’idea del PD sull’autonomia? Rossi dice che non è pervenuto il parere del PD sulla bozza di terzo statuto, ma sono io illuso a pensare che quella bozza doveva essere scritta anche dal PD? D’altronde un partito che si rivolge ai garanti nazionali per attuare il proprio statuto la dice lunga sull’idea di autonomia mai o malamente coltivata.
Qual’è l’idea del Pd sulla Valdastico? Quella che di volta in volta esprimono i territori coinvolti? Quella che di fatto si è delegata a Rossi? Quella contenuta in un programma che si scopre ogni giorno essere di fatto non condiviso?
Ci si appella ad un nuovo congresso come occasione per chiarire finalmente quale politica vuole il PD ma allo stato delle cose si prepara l’ennesimo rito delle primarie che mostra l’assenza di qualsivoglia responsabilità politica. Ci si preoccupa di assicurare una maggioranza nel partito ma per fare cosa vivvaddio? Si concorre nell’accaparrarsi la gestione del marchio manco fossimo in una sorta di franchising ma un guizzo di orgoglio per questa terra, una piccola ambizione per esserne interpreti e per provare a governarla? E’ troppo chiederlo?
Quando uno riceve una sberla può porgere la guancia per prenderne un’altra, può nascondersi e piangere o può reagire con dignità facendo leva sull’orgoglio, l’orgoglio di rappresentare una buona idea che va al di là dei destini personali degli eletti o di chi mira ad essere eletto, un’idea per la quale valga la pena spendersi. Un’idea non una immagine, non una posa, un’idea fatta di scelte rispetto ai valori in campo, che sono la vita delle persone e i loro diritti , la giustizia, l’uguaglianza, la distribuzione della ricchezza e del lavoro, la cura dell’ambiente e l’uso delle sue risorse. Un’idea politica che legittimi un partito prima che il partito rimanga senza elettori e prima che la politica si riduca totalmente agli interessi di qualche piccolo gruppo nell’assenza e indifferenza della maggioranza dei cittadini.
1 Comment
Roberto Pinter dà per scontato che il PD possa sopravvivere a Renzi, o che lo faccia almeno localmente.
Ma il partito laburista si è dissolto in Scozia proprio a causa del blairismo.
Il Trentino non è certo una regione rossa come la Scozia, ma non è neppure neoliberista/ordoliberale. Qui da noi, quando si parla di “economia sociale di mercato”, l’enfasi è posta sul sociale, non sul mercato.
Inoltre, anche se non abbiamo la presunzione francese, un certo senso di specialità/superiorità l’abbiamo coltivato e quindi la reazione alla blairizzazione del centrosinistra italiano qui sarà ancora più intensa che altrove (pacata, ma intensa).
Il renzismo (ossia il blairismo nostrano) diventerà sempre più una zavorra a livello locale e carburante per il PATT, il M5S e la sinistra.
I patimenti per i piddini sono appena iniziati: il 2018 è ancora lontano.