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Quello che stiamo vivendo da un po’ di tempo a questa parte – e negli ultimi mesi in particolare – è un buon momento per la nostra Autonomia. Certo, mi rendo conto che un’affermazione del genere, in una fase in cui l’insieme dei rapporti tra la nostra Autonomia ed il sistema istituzionale del Paese è messo sotto stress da molti punti di vista, può generare il sospetto di una discreta “defaillance” nella capacità di giudizio di chi scrive.

di Alberto Pacher

(29 febbraio 2012) Eppure sono convinto che, come nei casi fortunati accade, sia proprio da questa condizione di stress, da questa improvvisa e forzata accelerazione dei processi di ridefinizione di parti importanti dei nostri assetti di base che può avviarsi una nuova fase di crescita per la nostra Autonomia.

E’ sotto gli occhi di tutti: la vera partita in gioco in questa fase storica non è tanto la pur essenziale ridefinizione dei rapporti finanziari tra lo Stato e la nostra Provincia, l’acquisizione o meno di qualche competenza in più. Ciò che è veramente in gioco è la capacità della nostra Autonomia di entrare in una fase nuova, di assumere una identità più articolata e, allo stesso tempo, più definita. Di diventare, se mi si concede la semplificazione, più “civile” e meno politica.

E’ questa la vera sfida per la nuova fase – di cui il Terzo Statuto sarà strumento e rappresentazione – della Autonomia del Trentino. E il fatto che questa sfida inizi in un periodo di acque agitate non deve farci paura. Anzi, è proprio quando le acque sono agitate che bisogna tirare fuori ciò che di meglio si ha dentro, dalla capacita di mettere la prua della barca nella direzione giusta, al governo attento delle vele, alla coerenza delle azioni di ciascun membro dell’equipaggio. A verificare l’efficienza delle dotazioni di sicurezza, anche.

E allora dobbiamo essere prudenti e determinati nella trattativa con il Governo, consapevoli che non sarà facile promuovere una visione di Autonomia ampia in un momento in cui il Paese è chiamato ad uno sforzo straordinario, anche in termini di maturità civile. Perché è chiaro che, anche da parte dell’intero sistema delle Autonomie, è più difficile aprirsi a proposte diverse nel momento in cui tutti si fa fatica a nuotare controcorrente per salvare il nostro Paese.

La proposta di accordo che è stata presentata al Governo lo scorso 2 febbraio è davvero la bozza di una nuova Autonomia Provinciale, prima ancora che una ridefinizione di impegni di carattere finanziario. Non so se il Governo e le altre Regioni coglieranno la portata di questa proposta, lo spero. Però credo che in questo momento si debba essere consapevoli che per noi si apre una straordinaria possibilità, di crescita. Comunque vadano le cose, starà – anzi, sta – a noi avviare questa fase nuova, cominciare a disegnare il nostro futuro e, quindi anche – pro quota – quello del Paese.

Tutto bene, dunque ? No, molto è possibile ma nulla è scontato. Credo davvero che questi processi possanno avviarsi, ma non certo per inerzia, non certo da soli, non certo senza ciascuno di noi. In altre parole, penso che la costruzione di una nuova – certamente più impegnativa e certamente più bella – fase della nostra Autonomia non possa che passare attraverso una sua appropriazione da parte della nostra comunità provinciale. Bisogna che diventi un bene collettivo, un bene comune, non solo un bene pubblico. Bisogna che sia dentro di noi. Bisogna che sia negli imprenditori e nelle forze sociali, negli insegnanti e nei loro scolari, nei medici e nei loro pazienti, nei giovani (anche in quelli sinceramente indignati e preoccupati per il proprio futuro), nelle giovani madri e nei padri, chiamati ad un compito sempre difficile. Bisogna che sia negli anziani, che questa storia la hanno costruita col proprio lavoro professionale o domestico. Sentirsi l’Autonomia “dentro” credo significhi anche volere e sapere mettersi in gioco, cambiare qualche radicata consuetudine quale la propensione, così presente tra di noi, di pensare che se le cose non vanno come vorremmo la colpa è sempre di qualcuno altro, di qualche carenza dovuta ad altri. Insomma, in questa nuova Autonomia tutti saremo chiamati a guardare a noi stessi, al nostro lavoro, alle nostre relazioni come parte di un sistema in cui il tessuto connettivo è composto da un insieme di senso di responsabilità personale e riconoscimento del ruolo degli altri.

Se l’Autonomia sarà di più dentro di noi, sarà più facile per tutti sentirsi parte di qualcosa, sentirsi ” complici” di un progetto che è, anche, condivisione di uno stato d’animo. Ecco, dobbiamo acquisire una maggiore ” complicità” tra di noi, sentirci parte di un sistema in cui ciascuno è condizione della riuscita del progetto. Essere, in sintesi, più responsabili e coesi, più attenti al bene comune, più disposti all’impegno personale e collettivo. Non è ne sarà facile, in questo tempo ed in questo mondo l’aria tira in altra direzione. Però è la nostra sfida, la sfida della identità responsabile.

E la politica? Beh, la politica sarà nei prossimi anni chiamata ad un ruolo davvero difficile, quello di stimolare la nascita e l’affermarsi di nuovi protagonismi e protagonisti “civili” e di lasciare, a questi, spazi oggi occupati in maniera estensiva. In altre parole, ci sarà bisogno di un forte riequilibrio tra la politica e gli altri protagonisti della vita sociale ed economica del Trentino, per alcuni dei quali la copertura pervasiva della politica rappresenta a volte uno schermo protettivo dietro cui nascondere le proprie incertezze e fragilità.

La politica quindi dovrà reinterpretare il proprio ruolo, mantenendo alta la capacità di elaborare sintesi e di predisporre strumenti al servizio dello sviluppo (e non solo della crescita, dato questo a volte più quantitativo che qualitativo) ma al contempo arretrando di qualche passo dalla funzione a volte sostitutiva o di sostegno “ortopedico” di ruoli altrui. Un ruolo, quello di questa “nuova”politica, meno esteso ma più ricco e profondo qualitativamente. Una nuova politica che, credo inevitabilmente, chiamerà ad una rilettura degli strumenti e delle consuetudini della politica così come la intendiamo oggi.

Anche la politica dovrebbe, credo, sentire l’Autonomia “dentro”, saper coniugare le proprie appartenenze, il proprio sistema di valori, le proprie consuetudini relazionali ad un nuovo schema in cui essa fa parte, come sottosistema, di un sistema territoriale integrato. Forse anche la stessa dialettica politica potrà e dovrà essere rivisitata. Tra forze politiche che si riconoscono come parti – diverse ma complementari – di un settore la cui capacità di funzionamento e di sintesi è cruciale per il funzionamento del “sistema Autonomia”, lo schema di funzionamento non può essere quello di una semplice riproposizione delle modalità di gioco nazionali. Dobbiamo guardare anche altrove. Tanto per dire, mentre nel nostro Paese una politica fragile ed affaticata (sia chiaro, non solo negli ultimi tre mesi ma da oltre 10 anni!) ha coniato l’orribile e dispregiativo termine di “inciucio” per definire ogni forma di confronto e convergenza tra parti diverse, la scorsa settimana in Germania la politica ha saputo eleggere in due giorni (2!) un nuovo Presidente della Repubblica Federale.

Il compito di pensare e tracciare la fisionomia di questa nuova fase della politica provinciale pesa, in quota “maggioritaria” ,sulle forze politiche oggi al governo della Autonomia. Ecco perchè la stagione che si apre con i prossimi congressi è davvero importante. Starà a noi non perdere l’occasione per capire se e come gli strumenti e le forme della politica siano adeguati ad un quadro potenzialmente in grande evoluzione di cui nessuna delle configurazioni partitiche attuali può ritenersi interprete esaustivo. Certamente, in una Autonomia “profonda”, chiamata a definire la propria identità locale ed europea in un quadro sociale ed economico in così rapida trasformazione, affidarsi a rassicuranti quanto inespressivi concetti quali “destra”, “sinistra” o “grande centro”può essere un rifugio per un pensiero debole che non riesce a leggere il futuro e, per certi aspetti, il presente, ma certamente serve a poco.

Anzi, così come accede con le ideologie, anche le definizioni assolute rappresentano spesso un irrigidimento della mente. Pensare alla politica come espressione ed interprete di una Autonomia Progressiva, cercare gli strumenti migliori per assecondarne gli sviluppi, è la vera sfida. Una Autonomia aperta e solidale, sobria ed espansiva, alpina ed euromediterranea, più “simpatica” e contagiosa per chi ci sta attorno. Di questo dobbiamo parlare in questi mesi, nei nostri congressi, molto più che misurarci su scenari politici ed alleanze basate su ragionamenti tanto vuoti di politica quanto pieni di nostalgie per cio’ che e’ stato, su cosa farà tizio o caio, su chi pesa più o meno nelle varie forze politiche, sul definire confini tra le sub appartenenze, ipotizzare sul ruolo dei vari “signori delle tessere” (i quali, come è noto, prosperano nei contesti politicamente anaerobici, negli spazi lasciati vuoti dal pensiero responsabile).

Pensare a nuove forme del pensare e dell’agire politico e, forse, a nuove forme e soggetti della politica della nostra Autonomia è la vera sfida. In questa fase, saper leggere la partita ed il campionato che abbiamo di fronte, definire le strategie e le tattiche di gioco e, poi, pensarne gli interpreti è molto più urgente e serio che discutere solo di campagna acquisti o di rinnovo degli ingaggi. Altrimenti si parte col piede sbagliato, si rinuncia ad una visione di futuro credibile ed ambiziosa per affidarsi al ruolo di chi si accontenta del consueto e rassicurante. Ma così si va poco lontano. La mia povera Inter, su questo, insegna.

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