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1 Dicembre 2010
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Il vicepresidente Pacher a proposito del presente e del futuro del PD

di Alberto Pacher

Al direttore de L’Adige

Caro direttore, ho seguito il dibattito che nelle ultime settimane, a partire dalla sua riflessione, si è sviluppato a proposito delle difficoltà che oggi il Pd sta attraversando. Comprendo, e in parte condivido, lo smarrimento che molti provano nel constatare come di fronte a una crisi politica, economica e civile grave, il mio partito faccia così fatica a porsi come un punto di riferimento stabile per una vera alternativa. (…)

Comprendo e condivido la preoccupazione che deriva dal non vedere una chiara definizione della strada da seguire, delle cose da fare, del come farle. Eppure il Pd era ed è nato proprio per questo, per costruire un contenitore in cui le culture politiche più significative del ’900 potessero dare vita a una nuova proposta, a nuovi valori capaci di tenere il passo con i rapidi mutamenti sociali, culturali ed economici che caratterizzano questa fase della Storia.
Capace di favorire il superamento della frammentazione politica che da sempre caratterizza il nostro Paese, riproducendone peraltro in maniera speculare la frammentazione civile. Voleva essere, il Pd – e per molti è ancora – uno strumento politico adatto a un Paese capace di riscatto, di sintesi dei diversi interessi, capace di fare comunità.
Forse molti di noi, a partire dal primo segretario Walter Veltroni, avevano del tutto sottovalutato le resistenze che un simile progetto avrebbe incontrato e suscitato, persino al nostro interno. Ricordiamo tutti come dopo le elezioni politiche del 2008 ci fu chi, a pochi mesi dalla nascita, sancì in maniera definitiva che il progetto era fallito o comunque da rivedere.
Ma davvero qualcuno aveva creduto che un progetto del genere potesse avere compimento in pochi mesi o in pochi anni? Che una trasformazione politica di questo livello potesse agire nei tempi sincopati della politica di oggi? Anche in questo caso hanno agito, anche all’interno del Pd stesso, le logiche di breve periodo, quelle della politica scandita dai ritmi dell’informazione. Oggi viviamo una fase in cui lo scenario è sempre più affollato di proposte politiche «pret a porter’, – e qualche esempio lo abbiamo anche qui da noi – la cui aspettativa di vita è spesso pari o inferiore a quella dei vari modelli di iPod.
Oggi c’è chi sancisce la fine auspicata del modello maggioritario a favore di un ritorno a un sistema proporzionale che, vale la pena di ricordarlo, ha garantito in passato 40 anni di governi frammentati e debolissimi, con forze politiche di assoluta leggerezza capaci però di decidere le sorti del governo e quindi con sproporzionati poteri di ricatto. Oggi anche le Repubbliche, seconde o terze che siano, hanno prospettive di vita da beni di consumo. Ma, si dice, il Paese è frammentato (anzi, «è animato da sensibilità diverse!’) e quindi bisogna avanzare una proposta politica capace di intercettare queste sensibilità.
Ma siamo davvero sicuri che la politica sia proprio destinata ad abdicare a qualsiasi forma di «pedagogia civile’, al coraggio di tracciare una strada anche se questa richiederà del tempo per affermarsi? Ma siamo davvero sicuri che il volere «della gente’ (una vera, rinata sinistra, il grande centro, la destra autentica…) sia proprio della gente e non magari una sorta di proiezione delle sclerotizzazioni politiche e ideali dei ceti politici? Ma siamo davvero sicuri che ad una trentenne qualsiasi, sia essa ricercatrice del Cnr o addetta in un call center importi qualcosa della nostra residuale geografia politica? E parlo di trentenni, non di adolescenti, di quella fascia di età che in ogni Paese rappresenta la forza più dinamica dell’oggi.
Come già accaduto altre volte nel nostro Paese, abbiamo avviato una rivoluzione senza poi trovare la forza di portarla sino in fondo. La politica del nostro Paese si è lasciata risucchiare, essendone in parte complice, nella terribile involuzione civile che stiamo vivendo, nella strutturale incapacità di elaborare il proprio passato che, proprio per questa mancata elaborazione, non passa mai. Solo nel nostro Paese a qualcuno poteva venire in mente, essendo anche preso sul serio dalla politica e dall’informazione, di inserire nel Festival di Sanremo «Giovinezza’ e «Bella Ciao’!
Sono certo che se qualcuno avesse proposto qualcosa di analogo in un qualsiasi Paese europeo (chessò, le canzoni delle due parti della guerra civile in Spagna) sarebbe stato, nel migliore dei casi, considerato come un palese caso di disadattamento politico e, forse, personale. Qui stanno le difficoltà di oggi del «progetto Pd’, assieme a un generale affaticamento delle leadership.
Il Pd fatica perché il Paese che aveva come riferimento fatica, perché il modello di Repubblica per cui era stato pensato fatica. Poi, naturalmente, ci sono le tante personali e collettive responsabilità di noi dirigenti politici locali e nazionali. Eppure io credo che questa idea di Pd sia ancora uno dei pochi tentativi agiti nel nostro Paese per favorirne la ricomposizione, per farne crescere l’identità e la civiltà. Per aiutare la ripresa di quel senso di responsabilità di cui oggi si avverte in maniera dolorosa la debolezza o la mancanza.
Credo che la proposta di un Paese «normalmente’ bipolare fosse e sia ancora una strada per recuperare anche la dimensione educativa della politica: una politica che non insegue, appiattendosi sulle paure, le differenze, le incomunicabilità dell’oggi, ma anticipa ed indica la strada e propone i tempi di marcia senza farseli imporre dalle esigenze di palinsesto. Ecco, credo che sia per questa politica che molti giovani si sono affacciati sulla scena approfittando della finestra aperta dal Pd. Credo che per questa politica valga la pena di impegnarsi.

1 Comment

  1. pKgivIbISO ha detto:

    Mi permetto di raorrtipe questo articolo di Francesco Agnoli da Il Foglio di oggi 24 novembre. Come sempre è la realtà il dirimente di ogni riflessione, perché la vita non è sogno: in questo caso il cuore che batte del terzo. O più precisamente il terzo cuore che batte. Da Il Foglio di oggi 2011-11-24, di Francesco Agnoli. Titolo: Censure neutrali. Sottotitolo: Il fastidio dei laici di fronte ad una ecografia e a un feto che (orrore) ha un cuore che batte. Il bello della cosiddetta bioetica laica è “quando l’espressione designa la visione degli atei rocciosi, duri e puri“ è che non esiste. Se ne parla, se ne discute con calore, ci sono persino persone che ne hanno tratto libri. Eppure si tratta di un fantasma, di qualcosa che si riassume in un motto semplicissimo, che suona cosec: “Ognuno faccia quel che cavolo vuole” oppure, per usare un’espressione pif9 aulica di Gabriele D’Annunzio: “Abolisci ogni divieto”. Accanto a questo motto, se ne potrebbe affiancare un altro: “Me ne frego”. Della morale, degli altri, della differenza tra giusto e ingiusto, tra vero e falso. Esagerazioni? Discutevo con uno di questi “laici” (termine, lo so, assai improprio, ma ormai di uso comune) chiedendogli: “ma allora, per voi abortire e8 giusto o sbagliato? E se talora e8 giusto, quando lo e8 e quando e8 sbagliato?”. Risposta: “Per me se uno ritiene giusto abortire, e8 bene che lo faccia; se invece non lo ritiene giusto, allora va bene cosec, non lo faccia”. Stessa risposta di fronte ad ogni altro dilemma bioetico. Le parole magiche sono: autodeterminazione, liberte0, diritti civili… Ma il senso, a conti fatti, e8 sempre quello di cui sopra. Recentemente Massimo Teodori invocava sul Corriere della Sera il dialogo tra laici e cattolici. Intimava ai cattolici – questo e8 il suo concetto di dialogo – di rinunciare ai principi “non negoziabili”. A sostegno del suo ragionamento, affermava: “Uno Stato laico e8 per sua definizione neutrale”. E subito aggiungeva: “Questo non significa affatto che lo Stato sia privo di valore e idealite0”. Invece lo Stato neutrale, come lo intende Teodori, significa proprio questo. Che non vi sono ne9 valori ne9 idealite0 condivisi, oggettivi, e per questo “non negoziabili”. E’ in buona compagnia: come per Singer, Engelhardt, Veronesi, Mori (per citare i pif9 famosi “bioeticisti laici”) nulla e8 per lui veramente vietato, perche9 nulla, a conti fatti, e8 bene e nulla e8 male. Eutanasia? Se uno lo desidera… Aborto? Se i genitori vogliono….Il fatto e8 che gli atei coerenti verificano il detto di Dostoevskij: “Se Dio non esiste, tutto e8 permesso”. Se Dio e8 assolutamente negato, infatti, non rimane che essere “fedeli alla terra”, come diceva Friedrich Nietzsche. Essere, cioe8, immuni da un giudizio superiore, “celeste”, che trascenda il singolo individuo e la sua volonte0. Fedeli alla terra, in ultima analisi, significa infatti fedeli alle circostanze fuggevoli, alle voglie e all’utile del momento, a se stessi. Recentemente, in Russia, lo stato, di fronte allo sfacelo demografico (pif9 aborti che nascite) ha imposto l’informazione prima di ogni aborto: la donna deve sapere a quali rischi sta andando incontro e che cosa accade al bambino. “Sapere per deliberare”, direbbero i radicali, se si trattasse di altro. In questo caso no. Tutti i cosiddetti laici, compatti, hanno cominciato a urlare: scandalo, assurdo, un caso di oscurantismo clericale! Eppure il bimbo che compare sullo schermo dell’ecografia sembra dire, come il Dio di Manzoni al cuore dell’Innominato: “Io sono, perf2”. Similmente alcuni mesi orsono, in Texas, il governo federale ha approvato una legge che impone alle donne che intendono abortire negli ospedali di sottoporsi a un’ecografia obbligatoria. L’ecografia non e8 il confessionale, non e8 uno strumento inventato dal Papa, e8 un apparecchio che mostra la realte0. Eppure, anche qui, “democratici”, femministe, bioeticisti laici di ogni tipo hanno parlato di “intrusioni” inaccettabili. IL Fatto quotidiano ha spiegato, fortemente scandalizzato: le donne “saranno inoltre obbligate a prendere visione delle immagini generate dall’esame, a consultare un medico, ad ascoltare il suono del battito cardiaco del feto”. Che al feto batta il cuore, e8 soltanto un fatto, ma a qualcuno de0 fastidio: non si deve sapere. Altrimenti crollerebbe il principio del “faccio cif2 che voglio”,e anche “i valori e le idealite0” teodoriani farebbero brutta figura. L’ecografia e8 “inutile” ha dichiarato un deputato avverso; un altro ha urlato che si tratta di una “procedura molto intrusiva” (l’ecografia, si badi, quella con il gel sulla pancia, non l’aborto, quello con la pompa che aspira e tritura il concepito). Il Fatto ha poi voluto sottolineare che non e8 prevista l’obiezione di coscienza per i medici che “scelgano di non imporre l’ecografia alle donne”. Certi giornali vorrebbero riconoscere l’obiezione a chi non vuole usare l’ecografia, ma negarla a chi non vuole uccidere un feto. Misteri della bioetica laica. E se qualcuno obiettasse “ma non vedete che rifiutate di vedere la realte0?” la risposta sarebbe pronta e articolata in due punti (e8 sempre cosec): 1) sei un maledetto credente integralista che vuole imporre agli altri la sua religione; 2) sei contro l’”autodeterminazione”, che uno Stato laico deve garantire. Del tutto inutile far notare che: 1) l’ecografia non e8 monopolio dei credenti; 2) l’autodeterminazione del feto, di quella creatura viva il cui cuore gie0 batte, e8 sacrificata dagli abortisti in nome dell’’”autodeterminazione del pif9 forte”. Che e8 tutto cif2 che rimane quando si tolgono di mezzo i “principi non negoziabili” (anche se Rosy Bindi e i “cattolici adulti”, molto pif9 di Teodori e compagnia, fanno finta di non capirlo).