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Il mio appoggio a Bersani e a Pinter

di Alessandro Branz

Riceviamo e pubblichiamo l’intervento di Alessandro Branz al primo congresso del Circolo del PD di Cles

Innanzitutto voglio esprimere la mia soddisfazione in quanto questo è il mio primo intervento pubblico da iscritto al Partito Democratico. Mi sono infatti iscritto da poco, dopo l’elezione del nostro giovane segretario, e questo non per scortesia nei confronti suoi e dell’altro contendente, ma perché non sono d’accordo con il metodo dell’elezione diretta del segretario e quindi mi pareva giusto non partecipare a tale procedura.

Venendo al merito, nel pochissimo tempo che la Presidenza mi concede (e quindi in estrema sintesi), dichiaro il mio appoggio alla mozione Bersani, ma vorrei soprattutto confrontarmi con quanto ha detto il mio vecchio amico Giorgio Tonini nel presentare la mozione Franceschini.

Tu, Giorgio, con la capacità e l’acume che ti contraddistinguono, sei partito dal concetto di “identità e pensiero”, proponendoci quella che -secondo te- dovrebbe essere l’identità del PD e facendo derivare opportunamente da essa le questioni del modello di partito e la strategia delle alleanze. Ed in tale contesto hai detto che il PD deve qualificarsi come un partito di centrosinistra.

Ora, caro Giorgio, questa è una definizione certamente molto suggestiva, soprattutto se accompagnata dalla considerazione che con essa si intende significare l’incontro tra varie culture, quella cattolico-democratica, socialista, ambientalista, ecc. Ed è altrettanto vero che i grandi partiti socialisti e socialdemocratici europei da tempo si sono aperti alla società e cercano di rappresentare larghe fasce di popolazione, e non da oggi ma fin dagli anni sessanta del secolo scorso: penso alla SPD tedesca che nel suo congresso di Bad Godesberg del 1959 sposò una linea di apertura e di rappresentanza di ampi settori sociali.

Il punto è che non è questo che è stato fatto dal PD e soprattutto Veltroni (lo dico esplicitamente) con la sua strategia di costruzione di un partito “a vocazione maggioritaria” non si è mosso in tale direzione. Il partito di centrosinistra da lui creato (e che tu proponi) si è rivelato invece un partito molto fluido e poco chiaro nelle sue ispirazioni ideali, teso a spostarsi al centro per intercettare il voto moderato, nella convinzione -solo in parte fondata ed ancor oggi sostenuta da Franceschini- che l’elettorato italiano sia un elettorato mobile (la c.d. società “liquida”) e che quindi solo un partito fluido e per l’appunto “liquido” possa intercettarne la mobilità. Con la conseguenza sia di conferire al partito una impostazione leaderistica ed una struttura verticistica (infatti ad un certo punto si è ritenuto che solo il leader potesse far da sintesi fra le varie e diversificate opzioni ideali), penalizzando però gli organismi della democrazia rappresentativa interna, sia di inseguire l’avversario sul suo stesso terreno (soprattutto quello della comunicazione politica e dell’immagine) ed annacquare le differenze culturali, di contenuto e di organizzazione con l’altro campo.

Si è trattato però di una strategia perdente. Io sono convinto infatti che per sconfiggere il berlusconismo e la cultura politica che esso esprime non si debba scendere sul suo stesso piano, ma cambiare registro e fare un salto di qualità culturale, proprio come propone Bersani. Quindi incentivare la formazione ed il consolidamento di partiti solidi e “veri”, dotati di identità politiche precise, da contrapporre al leaderismo dell’avversario ed alla personalizzazione della politica che ne contraddistingue l’azione (un discorso a parte dovrebbe essere fatto per la Lega, data la sua “atipicità” nello stesso contesto del centrodestra).

Il che significa

– strutturare il partito, non solo nel senso del radicamento territoriale, ma anche della valorizzazione degli organismi interni ai vari livelli, dai dirigenti ai militanti;

– rivedere il sistema delle “primarie”, non abolendole, ma -come avviene in Europa- inserendole dentro la struttura di partito, senza concepirle quindi in alternativa ad essa;

– attivare, partendo dai partiti che già esistono, una vera e propria, nuova politica delle alleanze. Anche perché solo in questo modo -ne sono convinto- sarà possibile, attraverso un lavoro lungo e difficile, ricreare un tessuto culturale alternativo al berlusconismo e salvare la stessa possibilità della democrazia dell’alternanza.

E ciò non significa per nulla, caro Giorgio, tornare indietro al passato, all’Unione.

Concedetemi dieci secondi per intervenire sulle candidature per la segreteria provinciale. Io, lo dico subito, appoggerò Roberto Pinter, di cui ho stasera condiviso dalla A alla Z il suo intervento di presentazione. Voglio solo fare un accenno al suo opportuno riferimento critico alla politica culturale dell’assessore Panizza. Ebbene, noi assessori alla cultura della periferia siamo purtroppo costretti a sopportare la pervicace, martellante pressione del localismo di Panizza e ne siamo stanchi. Ma di ciò avremo modo di parlare in altra occasione.

Grazie.  

 

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