giovedì, 15 ottobre 2009
15 Ottobre 2009lunedì, 18 maggio 2009
17 Ottobre 2009venerdì, 16 ottobre 2009
Qualche ora di sonno e al mattino quando mi sveglio il gonfiore (e il dolore) inizia a preoccuparmi perché l’infezione si è estesa a tutta la parte sinistra del volto. Lo stress, la fatica, la trascuratezza… Andarmene per otto giorni ha significato trascurare una serie di impegni che ora ritrovo lì come li ho lasciati. Avrei dunque un sacco di lavoro arretrato, ma in questo stato devo rimettermi ai segnali che il corpo mi invia.
Telefono al dentista e comincio il trattamento antibiotico. Provo comunque a fare qualcosa. Se non altro a guardare la posta: otto giorni significano più o meno 400 messaggi sui due indirizzi di posta elettronica che controllo da casa, senza prendere in considerazione quello dell’ufficio. Se ne va mezza giornata. Il "diario" l’avevo praticamente scritto durante il viaggio di ritorno, qualche ritocco e via.
Scorro velocemente i giornali di questi giorni, pieni di notizie e polemiche tanto artefatte quanto gridate. Nel colloquio con Sari Nusseibeh, a proposito del rapporto con il tempo e la distanza da darsi per mettere a fuoco gli avvenimenti, gli ho raccontato che in genere leggo i giornali alla sera per cercare di evitare che sia la stampa a scandire le mie priorità di lavoro e la cosa l’ha fatto sorridere perché è quel che fa lui stesso, preferendo – mi ha detto – il canto degli uccelli alle grida dell’informazione. E’ tutto così autoreferenziale nelle nostre polemiche di provincia che nemmeno ci si accorge delle proporzioni e del senso delle cose. Perché stupirsi poi che cresca intorno a noi un mondo reale fatto di solitudine e di paure, di cui spesso nemmeno ci accorgiamo? Nello sfogliare i giornali mi rendo conto come larga parte dell’informazione non sia poi tanto diversa da una fiction televisiva, qualsiasi momento in cui ci si sintonizza non perdi nulla, tanto sono rare le pagine di buon giornalismo.
Ricordo un paio d’anni fa un servizio de "il manifesto" dedicato alla Zastava, la maggior industria automobilistica della vecchia Jugoslavia ed ora della Serbia, bombardata dalla Nato con i missili dotati di testate arricchite di uranio impoverito. Una tragedia che conosco bene, essendo stato a Kragujevac in più di una occasione, che è costata la vita a decine di operai addetti alla ricostruzione colpiti dopo qualche mese da tumore. Ma l’approccio ideologico dell’articolo era tale che si descriveva una situazione totalmente avulsa dalla realtà, non dicendo una parola, ad esempio, del fatto che nelle varie linee produttive che la Zastava si è data nel dopoguerra quella più importante è la fabbricazione di armi (cosa per altro non nuova), proprio su licenza Nato. Ho sempre acquistato in edicola "il manifesto", un po’ per affetto, un po’ per abitudine, anche quando non ne condividevo più la linea editoriale. Ora lo leggo saltuariamente, ed ogni volta ho come l’impressione che si descriva una realtà che non esiste. Come per la politica, del resto, anche il giornalismo avrebbe bisogno di un serio lavoro di "manutenzione".
Nonostante la chimica, il gonfiore continua ad aumentare e dunque decido in serata di andare al pronto soccorso. Dove sostanzialmente mi dicono che è troppo presto per incidere, di proseguire la cura che sto facendo e di ritornare l’indomani in ospedale per una visita specialistica. Dove mi diranno di continuare con gli antibiotici e poi di rivolgermi al mio medico dentista.
Così il ritorno, anziché essere dedicato a metabolizzare un viaggio tanto intenso e a rimettere in ordine le idee, se ne va fra casa, ospedale e dentista. Lo leggo come un richiamo al senso del limite.