giovedì, 8 ottobre 2009
8 Ottobre 2009
sabato, 10 ottobre 2009
10 Ottobre 2009
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venerdì, 9 ottobre 2009

Scrivo da Beit Jala, Palestina, dove ritorno dopo quasi dieci anni. E prima di ogni altra cosa mi guardo attorno, cercando di mettere a fuoco alcune immagini.

Non è solo il muro a far vergognare questo lembo di terra.  E’ anche l’incredibile proliferare di case e palazzi, ovunque, a segnare confini, accanto ai muri e al filo spinato. Non ne ho mai visto così tanto, di filo spinato, che non lungo gli improbabili confini fra le zone controllate dagli israeliani e quel che rimane del territorio palestinese. Eppure, la storia… Sì, perché ormai ogni collina intorno a Gerusalemme e Betlemme è un nuovo insediamento di coloni israeliani provenienti da ogni dove, migliaia di case sorte nella più totale illegalità ma legittimato dalla forza delle armi. A cui corrisponde un degrado urbanistico che fa male alla terra, a prescindere che sia "promessa", santa o dei profeti.

Una seconda immagine. E’ l’ingresso di Gerico, insediamento umano fra i più antichi della terra ed anche con le radici più profonde visto che siamo a 260 metri sotto il livello del mare, nella depressione che porta al Mar Morto. Città biblica suo malgrado, se consideriamo che il luogo dove secondo le ricerche Giovanni Battista battezzò Gesù di Nazareth è oggi un campo minato. Ebbene all’ingresso di questa città palestinese campeggia un enorme parallelepipedo di cemento armato e pietra, circondato dal verde quando tutt’intorno la terra è arida. E’ l’Intercontinental, grande hotel e casinò dove il denaro non conosce confini. Per nulla diverso dagli "Intercontinental" che incontri altrove, siano essi a Belgrado o a Nairobi, se non per lo scenario che lo scenario che lo circonda. Ma segna lo spazio e il tempo. E’ la cifra della postmodernità.

Quella stessa cifra la puoi osservare anche nei market diffusi dappertutto, strapieni all’inverosimile dei sottoprodotti dell’economia globale. Non si vendono libri, ma schifezze di ogni genere le trovi ovunque, a testimoniare di un’omologazione culturale strisciante che a sua volta se ne frega dei confini. Un’economia senza qualità, fatta di commercio e di businnes, di automobili e di carrozzerie, di cantieri e di cumuli di detriti.

Non diverso lo schema sul mar Morto. Ci portano a visitare uno stabilimento balneare modello Rimini d’estate, con tanta di bandiera israeliana tanto per dire di chi è quel luogo. Bob Marley e i Beatles a tutto volume, ma i musulmani qui non possono entrare. Quando ce ne andiamo troviamo in nostro piccolo pulmino con targa palestinese circondato dai Gran Turismo israeliani, senza alcuna possibilità di uscita. Dobbiamo spostare delle pietre per poter prendere una via che attraverso un campo ci permette di metterci di nuovo sulla strada. Piccole storie di cattiveria e prepotenza.

Al Monastero di San Giorgio. Nella spettacolare valle di Giuda,  dove solo le capre riescono a trovare di che vivere, scendiamo a piedi fra le pareti di roccia scavata dalla natura, nella speranza di trovare sul fondo almeno un rivolo dell’acqua che un tempo scorreva. Ma la guerra, si sa, si combatte anche deviando il corso dei fiumi, non ammazzando bensì "togliendo la vita".  Giovani e vecchi beduini, un tempo nomadi orgogliosi ed ospitali, trasformatisi anch’essi in venditori di cianfrusaglie, si azzuffano per  conquistarsi un cliente. Chissà che cosa penseranno di loro quei poveri asini condannati a fare avanti e indietro su una stradina di cemento per sollevare i turisti dalla fatica, si fa per dire, di qualche centinaio di metri di risalita.

Ritorniamo al muro della vergogna. Il suo tracciato taglia il territorio della municipalità di Beit Jala, ma in qualche tratto non è ancora completato. Grazie ad una battaglia sociale ed una causa civile s’è aperto un contenzioso sulla legittimità di esproprio per aree che producono frutta e olive. Coltivarle significa dare meno strumenti in mano agli israeliani per legittimare la loro prepotenza. Nel tardo pomeriggio, proprio mentre stiamo sulla strada del ritorno, chi di noi s’è dovuto fermare in Comune a Beit Lala per preparare l’evento di domenica prossima viene contattato per andare a vedere di questa incresciosa situazione. Pane per la nostra relazione di comunità.

Nell’imbarbarirsi delle relazioni c’è chi trova la forza del dialogo e dell’elaborazione del conflitto. E’ Sami Adwan, professore all’Università di Betlemme, autore de "La storia dell’altro", edizioni Una Città, che qualche anno fa ha ricevuto per questo il Premio Langer. Nelle sue parole vedo i miei racconti balcanici, la fatica e la gioia di raccogliere i racconti degli altri, le interviste agli anziani, i filmati delle testimonianze di vita. Storie parallele, in latitudini diverse. Gli spieghiamo perché siamo qui, lui che è di Beit Jala non sa nulla della relazione fra il Trentino e la sua comunità, il che ci dice molte cose sulle quali riflettere. Ma in serata, nel centro della cittadina che confina senza soluzione di continuità con Betlemme, vediamo molti cartelli che parlano di questa nostra relazione e degli incontri che avremo nei giorni successivi. La realtà è davvero sempre complessa.

Ci attendono giornate intense. Buona notte Palestina.

 

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