
sabato, 10 luglio 2010
10 Luglio 2010
lunedì, 12 luglio 2010
12 Luglio 2010Attendo i primi dati del voto ed appare subito che l’esito delle elezioni conferma il centrosinistra autonomista al governo del Trentino. La prima sfida che appariva incerta almeno sul piano del superamento del quorum è superata brillantemente, pur tenendo conto del calo dei votanti. Non c’è storia: alla nostra coalizione il 58%, a quella del centrodestra di Diego Mosna e Silvano Grisenti il 19%.
In questo quadro il PD del Trentino si conferma il primo partito (22,1%) aumentando in percentuale (ma non in voti) rispetto a cinque anni fa, mentre assistiamo ad un rovesciamento delle posizioni fra il PATT (il partito del presidente Rossi, lo scrivo per i lettori non trentini di questo blog) e l’UPT (il partito di Dellai) a netto favore del primo. Percentuali pressoché insignificanti per gli altri partner di maggioranza, tanto da non esprimere nemmeno un consigliere (solo i ladini, in virtù della legge sulle minoranze, riescono ad ottenere un seggio). Insomma, un risultato positivo, oltre ogni previsione.
I dolori invece arrivano con il fluire delle preferenze. Mi rendo subito conto che il voto sul territorio (che cinque anni fa mi aveva permesso di entrare in Consiglio) non c’è e questo con lo scorrere delle ore si conferma anche nei centri maggiori. Ne esce una secca sconfitta personale, tanto che le 2.599 preferenze ottenute nelle passate elezioni diventano a scrutinio concluso 1.911, ben lontano dall’ultima degli eletti nella nostra lista che ne conta 2.675.
Vorrei poter festeggiare per il risultato complessivo che conferma l’anomalia politica trentina, ma proprio non ci riesco e mi rintano in casa. Non sono uso personalizzare la politica, ma non veder riconosciuti cinque anni di lavoro e di idee mi riempie di amarezza. So bene che i pensieri di mezzo, specie in un contesto urlato e manicheo, faticano a trovare seguito, ma ciò nonostante mi ero illuso che le buone idee come le buone leggi potessero trovare un qualche riconoscimento.
Invece non è stato così. Posso solo dire di avere la coscienza a posto, di essere soddisfatto del mio lavoro di questi cinque anni sul piano legislativo, di aver salvato (un po’ di più di contribuito a salvare!) alcune delle aree più delicate del nostro ecosistema, di aver ricostruito una politica agricola che la sinistra trentina non presidiava più da anni, di aver dato significato all’impegno per la pace ben oltre i rituali del pacifismo di maniera. E, più in generale, di aver proposto una visione territoriale ed europea ad un partito che di visioni è piuttosto avaro, qui come sul piano nazionale.
A quanto pare tutto questo vale meno, molto meno, di un buon rapporto con i mezzi di informazione. Mi rendo conto che corro il rischio di incavolarmi e allora mi fermo qui. Aggiungo solo che nei mesi scorsi ero molto incerto se riproporre o meno la mia candidatura. Per come sono, perché non amo la dimensione pubblica, perché avrei voluto fare dell’altro. La "topolino amaranto", per un viaggio attraverso le terre sole al fine di ricostruire una diversa dimensione della politica, era già pronta ma poi ho deciso altrimenti. Decisive a farmi cambiare idea erano state le persone più vicine, le quali mi esortavano a non lasciare a metà il prezioso lavoro sin qui svolto oppure che non potevo permettermi questo atteggiamento un po’ da "signore della politica". Poi arrivò l’esito delle primarie del centrosinistra autonomista, e divenne decisiva la considerazione che era necessario che tutti portassero il loro contributo per ridare centralità ad una politica di sinistra nella coalizione. Almeno su questo piano, il mio contributo spero di averlo portato.
12 Comments
Guarda che non è finita e abbiamo in sospeso un lavoro sul “Progettone”. Io ci/ti credo ancora, Franco.
Ciao Franco, non l’ho certo dimenticato. E quando mi metto in testa una cosa, prima o poi…
Un abbraccio.
Michele
Sono sicuro troverai a breve un nuovo “a bordo” del quale raccontare, e di conseguenze servirà un nuovo diario. Il valore prezioso di questi materiali è dato dal fatto che leggendoli si viene coivolti in una storia che non necessariamente è quella del consigliere Nardelli. E di questi tempi – lo sai bene – è così difficile raccontare qualcosa senza prima di tutto mettere in mostra se stessi. Tu ci sei riuscito e la tua narrazione è stata patrimonio di molti, di questo sono certo. Ci vediamo presto su nuove strade…
Non capisco perché dovrebbe fermarsi. Tu sei la stessa persona, e questo è il tuo diario.
ma devi continuarlo, raccntando il tuo impegno nella società, La vita e l’impegno non finiscono con la fine dell’esperienza istituzionale. Sei sempre grande
Caro Michele, sarei un ipocrita se ti dicessi che non è successo nulla. Capisco invece l’amarezza e lo sconforto che ti affligge. Infatti per chi, come te si é impegnato con senso di responsabilità e coraggio in un esperienza di governo delle Istituzioni, al servizio delle Istituzioni, questa é la conseguenza che metti in conto ( lo statista guarda al domani etc etc) ma che non t’aspetti. E che non riesci ad accettare quando vedi andare avanti volti di buon richiamo mediatico, ma di poco contenuto. Renzi n’è l’esempio perfetto. Beh da parte mia solo la testimonianza che l’esperienza fatta insieme mi ha insegnato molto e la certezza che nel mio piccolo la porterò avanti con convinzione. Quando parleremo di paesaggio, di programmazione partecipata,di futuro, di solidarietà internazionale, di pace e legalità, dimpartitomterritoriale, d’Europa, una parte di quel percorso emergerà sicuramente. Hai seminato qualcosa di buono. Ecco perché non abbandonerei la politica. Ecco perché ti chiederemo ancora un impegno. Ecco perché il tuo diario cambierà solo esperienze, ma non si concluderà. Questo almeno il mio auspicio, scritto in tre parti perché non so ancora scrivere con questa tastiera del ca…volo. Ciao
Cito: “semmai il diario potrebbe diventare qualcosa di diverso, nel mare aperto”.
E navigazione pirata sia.
Non ti ho votato, anche se ero lì lì per farlo (alla fine il mio, dopo alcune considerazioni, è stato un voto verde), non ti ho votato ma è come se lo avessi fatto. Grazie per il tuo impegno e per il tuo approccio, per la vicinanza a temi che anche a me sono cari.
Spiega le vele al vento.
Condivido ciò che ha scritto Mauro e il diario di Michele sarà qualcosa di diverso, ma ci accompagnerà ancora. E’ l’inizio di un altro entusiasmante viaggio! Ciao
Carissimo Michele, ti scrivo qui, su fb, perché non so se la tua mail sia ancora attiva o meno. Premetto che non son brava con le parole, e questo lo avrai intuito nei nostri incontri sull’animazione territoriale. A una settimana dalle elezioni mi preme comunque dirti quanto io sia dispiaciuta della tua non elezione. Ti seguo su fb, sul tuo diario di bordo. Ho visto quanto sei amareggiato e ti capisco. Nutro una profonda ammirazione per te, da quando ti ho conosciuto. Poche persone (tantomeno i politici) hanno una capacità progettuale come la tua. Una capacità fatta di azioni concrete e non di sole parole, una capacità che guarda al futuro e non solo al domani. Ma forse questo, alla gente comune, non piace. Forse alla gente comune piace più non guardare oltre la punta del proprio naso e farsi rincuorare dai “venditori di fumo” con false promesse.
Paola Piazzi
Ciao Michele. Ho una precisa convinzione: poiché vige il sistema “una testa, un voto” e poiché nelle teste di molta, moltissima gente c’è davvero poca preparazione, poca attenzione alla cosa pubblica, pochissima disponibilità a faticare per capire, poca propensione a ragionare sui tempi lunghi, ecco spiegato perché consiglieri come bombarda battono in ritirata, altri decisamente in gamba come te vengono battuti e alcuni invece di profilo decisamente basso vincono e brindano a champagne. La politica è malata per davvero, non c’è analisi, non c’è serietà, non c’è selezione seria della classe dirigente. E la crisi economica rende tutti più impazienti e “cattivi”: si pensa a se stessi, si bada solo a schivare l’onda, a sfangarla. Chi prova a fare anche un po’ di filosofia politica non viene preso per saggio, ma per marziano. Complimenti comunque per il lavoro che hai fatto.
caro Michele,
vedi di farti una ragione per quanto è accaduto. Con una sinistra muta, tu e Ferrandi non potevate che fare la parte delle vittime sacrificali. Ti giro una mia riflessione sul quadro politico.
“Vivere di rimembranze”, come osserva Marcello Bonazza commentando il passo dello Zibaldone di Giacomo Leopardi nell’articolo di apertura dell’ultimo numero della rivista “Studi trentini” in determinate circostanze può creare problemi: ad esempio quando all’avvicinarsi di un centenario come quello della Grande Guerra il toccare nervi ancora scopertissimi nel Trentino, “terra di nessuno” lacerata da ben due conflitti mondiali, finirebbe per dar luogo a risse più che a tranquilli dibattiti storiografici (si veda in questi giorni il caso della polemica su Cesare Battisti innescata dal deputato trentino Mauro Ottobre e che si spera chiusa dopo l’umanissima risposta di Mimma Battisti). Proprio nella ricorrenza del 40° anniversario della nascita dell’Istituto storico Italo-Germanico, in chiusura del convegno tenutosi alla fondazione Bruno Kessler, il direttore Paolo Pombeni si è ben guardato dall’aprire un dibattito dopo l’intervento del prof. Christof Dipper, il quale nella sua approfondita relazione aveva sottolineato fra le lacune nel campo della quarantennale ricerca storica dell’Istituto quella di non aver trattato i temi delle unità nazionali ottocentesche e dei totalitarismi novecenteschi di Italia e Germania. Si sarebbe potuto far osservare allo studioso tedesco che il particolare “contesto” trentino tirolese rende proibitiva la trattazione di temi che, seppur lunghi un secolo, segnano come cicatrici non rimarginate il locale paesaggio umano. Forse, per pacificare gli animi, si può pensare che a Trento, stazione di posta fra Italia e Germania, per usare una felice espressione di Paolo Prodi, valga la pena di concentrare l’attenzione sul bimillenario della via Claudia Augusta, delimitando rigorosamente la trattazione agli aspetti ingegneristici della via di comunicazione (magari con una sponsorizzazione dell’Autobrennero). Questo detto con amarezza, dopo aver constatato che la più che trentennale fatica del nutrito gruppo di ricercatori gravitanti intorno al gruppo di “Materiali di lavoro” finalizzata a far riemergere le memorie delle vittime della “grande catastrofe”, non ha avuto la considerazione e l’attenzione che meritava da parte dell’intera comunità trentina. Ma sappiamo che il tempo è galantuomo e rimetterà le cose a posto, magari senza dover attendere, sensibilità e identità locali permettendo, un anniversario bimillenario anche per trattare delle guerre e dei totalitarismi del Novecento in val d’Adige. Questo è almeno quanto si spera, anche se dopo le recenti elezioni la fotografia geopolitica regionale non lascia molto spazio all’ottimismo riguardo possibili letture condivise del recente passato. Con il voto del 27 ottobre si è assistito ad un’accelerazione del processo, in atto da lungo tempo, di allontanamento fra loro delle due provincie atesine, quasi una sorta di piccola deriva di continenti, se ci è concessa questa definizione in dodicesimo. In Trentino l’astensione dal voto si è portata a livelli paragonabili a quelli degli altri territori italici (per inciso va ricordato che di quei territori il Trentino fa parte) mentre in Sudtirolo si sono riproposte le consolidate tradizioni partecipative. Nella parte meridionale il sistema dei partiti italiani ha complessivamente tenuto, mentre a Nord di Salorno la presenza partitica italiana si è ridotta al lumicino. La divaricazione fra i movimenti ambientalisti delle due realtà si è ulteriormente accentuata, e i risultati delle liste civiche di Trento e Bolzano portano segni opposti. Tutto ciò porta ad un indebolimento oggettivo del progetto di Euregio a cui tanto hanno lavorato le due comunità territoriali. I prossimi anni, che paiono destinati all’instabilità politica, sia nel quadro regionale che in quelli provinciali, per via del difficile momento economico, non paiono fra quelli più propizi al prosieguo del progetto di integrazione regionale. A Bolzano si porrà il serissimo problema delle garanzie per le minoranze, visto che la presenza italiana in Consiglio provinciale è ridotta ai minimi termini (5 consiglieri) e si fa sempre più forte ed agguerrita la destra tedesca, mentre a Trento la larghissima coalizione di centrosinistrautonomista, così pensata, senza trattino, non tarderà a mostrare profonde divergenze interne, delle quali il modo diverso fra i partners di concepire l’organizzazione territoriale e le opposte visioni riguardo l’identità trentina sono solo i primi segnali. Si è parlato molto, da parte dei commentatori, della scomparsa, in Trentino come nell’Alto Adige italiano, di una destra organizzata, mentre poco si è riflettuto invece sulla marginalità, politica e programmatica, del centro sinistra e del PD in particolare. Nel caso bolzanino per il PD si apre il modesto ruolo di presenza al governo in pura quota di rappresentanza etnica, mentre a Trento, l’idea della nascita di un partito federale territoriale, confederato con il PD nazionale, idea sostenuta da pochi fin dagli ultimi congressi dei DS che precedettero la nascita del PD, si può considerare definitivamente tramontata in quanto è il PATT che ha finito di fatto per imporsi come partito territoriale, pur con tutte le sue debolezze programmatiche ed ideali. Un quadro questo che imporrebbe, a tutte le forze sensibili la necessità di proseguire un processo federale di integrazione europea che veda il superamento dei partiti nazionali. Non sono alle viste personalità politiche capaci di dare impulso a questa necessaria strategia e fortissima si fa, in quanti fino ad ora hanno creduto al sogno di una fratellanza vera fra i popoli alpini, la nostalgia per gli anni davvero formidabili in cui le battaglie per la convivenza avevano come protagonista Alexander Langer. Sarebbe un bel segnale che almeno sul piano storico e culturale, ciò che non è possibile in politica si realizzi: un centro studi di alta formazione di carattere regionale, transalpino, che porti il nome del nostro amato “viaggiatore leggero”, l’uomo che aveva saputo portare l’utopia sul terreno della realtà.
Voglio ringraziare tutte le persone che hanno scritto qui, in altre parti di questo blog, su facebook ho contato in questo senso quasi trecento messaggi, per dirmi del loro dispiacere rispetto alla mia mancata rielezione in Consiglio Provinciale. E al tempo stesso però è giusto prendere atto che molte, anzi la maggior parte, degli elettori che cinque anni fa decisero di darmi la loro preferenza, in questa circostanza hanno scelto di votare in altro modo. Chi pur votando per il PD ha pensato che fosse meglio esprimere la prorpia preferenza per quei candidati che meglio corrispondevano alle proprie appartenenze (territorio, genere, credo religioso o laico, corporazione, nostalgia…) o per altre sensibilità rispetto a quelle che potevo rappresentare, chi si è sentito “tradito” dal mio approccio verso la necessità di abitare i conflitti piuttosto di tagliarli in maniera manichea, chi pur valutando positivamente il mio lavoro non se l’è più sentita di votare per il PD (come se i risultati del mio lavoro potessero prescindere dal “corpo a corpo” con il partito di maggioranza relativa), chi di votare per qualche amico come Rudi o Fabio che hanno scelto di candidare altrove, chi di rimanersene a casa ingrossando le fila di quel terzo di trentini che non hanno espresso il loro diritto di voto. A chi, in fondo, semplicemente non ha condiviso il progetto di cui sono stato e sono portatore, quella proposta politica insieme territoriale ed europea che a mio avviso rappresenta l’unica strada per cambiare una politica in crisi perché fuori scala, incapace di raccontare il presente e di guardare al futuro perché ferma ai paradigmi novecenteschi. Perché questo, in buona sostanza, significa andare oltre il PD (l’ho detto apertamente in questi anni) e ciò non sempre è stato compreso o condiviso. Per questo, fra l’altro, fatico a riconoscermi nelle mozioni congressuali del PD.
Al tempo stesso voglio ringraziare quelle quasi duemila persone (non sono affatto poche) che invece mi hanno votato, spesso per la prima volta.
Il mio tragitto non finisce qui. Lavorerò su strade impervie, sulle quali spero ci incontreremo.