Coronavirus, Covid-19 è più letale dove c’è più inquinamento
9 Aprile 2020Immaginare gesti-barriera contro il ritorno alla produzione pre-crisi
14 Aprile 2020Tutto è fermo tranne che la storia?
C’è chi pensa che l’arresto a cui ci ha obbligati il contagio sia un punto di svolta che può rifondare tutto, farci tornare sui nostri passi, immaginare un altro mondo possibile, costruire tutto daccapo. È un’illusione ottica. Siamo noi che ci siamo fermati, non i processi dentro cui siamo immersi da anni.
Non c’è niente di traumatico?
Il trauma è un evento imprevedibile che ci tormenta ripetendosi nell’inconscio. Un contagio globale, invece, era nell’ordine del possibile. E, soprattutto, non è un incubo. È la realtà. Per comprendere il capitalismo, è più utile leggere Schumpeter che Freud. Il capitalismo è crisi. È distruzione e creazione. È contraddizione: discontinuità nella continuità. È conflitto. Salti improvvisi, movimenti forsennati, squilibrio. Non ha niente della serena linea retta con cui molti si figurano il movimento della storia.
Lo potremmo paragonare all’undici settembre?
Non è un evento che va letto nel breve periodo: la paura di prendere l’aereo, come accadde allora, oppure la paura di avvicinarsi all’altro, come dicono alcuni ora. Ci sarà una strepitosa accelerazione verso il capitalismo politico e una riduzione ai minimi termini degli spazi di rappresentanza della democrazia tradizionale. Se i nostri sistemi liberali non saranno capaci di salire all’altezza delle sfide di questo tempo, riorganizzando la propria vita completamente, la pagheranno cara. Lo stato d’eccezione permanente spinge verso il decisionismo. Il modello cinese si potrebbe imporre su scala mondiale.
Può cambiare il segno della globalizzazione?
È un’ipotesi realistica. La globalizzazione è nata sotto la spinta degli Stati Uniti d’America. Oggi la Cina può diventare la nuova protagonista. È l’unico paese che si trova nella posizione di mettere in campo un colossale piano di ristrutturazione. Possiede parte del debito americano, e del nostro. Viceversa, nessun paese occidentale controlla il debito cinese. Ecco perché potremmo assistere a una grande svolta geopolitica.
Perché usa il condizionale?
Perché la partita è aperta. I capitalismi politici sono diversi. C’è quello cinese, quello russo, quello americano. I caratteri sono molteplici. La competizione tra loro, violenta. La crisi accelererà anche il confronto tra di essi. Capiremo quali tra questi spazi imperiali ha le armi per affermarsi.
L’Europa è fuori gioco?
L’Europa è un microbo in questo scenario planetario. Il fatto che nemmeno di fronte a una situazione del genere abbia trovato la forza di reagire in maniera unitaria – dopo l’avvertimento della crisi dei debiti sovrani e dopo l’allarme della crisi migratoria – dimostra che non ha più cervello. L’Europa che si aggrappa alla difesa dell’avanzo commerciale tedesco, oppure all’autonomia di uno stato semi canaglia come l’Olanda, uscirà dalla crisi in una posizione ancora più subalterna, e si candida ad affidarsi alla benevolenza di questo o quell’altro impero.
Vacilla anche il suo europeismo?
Se le cose continueranno ad andare così, sarò costretto anch’io a piangere sulle mie giovanili utopie e metterci una croce sopra.
Ma allora perché ha giocato tutti i suoi risparmi su Conte, che è uno dei più deboli nella debole Europa?
Perché se Conte fallisse, perderei comunque tutto. Il paese si sfascerebbe. Andremmo a nuove elezioni. Lo spread schizzerebbe a seicento punti percentuali. Esploderebbero conflitti sociali laceranti. Ecco l’illusione di Renzi e Salvini: credere che sia il momento di tirar fuori Draghi. Sono fuori tempo. I Draghi nascono dalla catastrofe di questo governo e da un appello disperato di Mattarella. Ora, è il momento di prepararci a una manovra finanziaria tremenda, sul modello di quella fatta da Giuliano Amato negli anni novanta. Se non saremo in grado di farla, senza casini, franerà tutto.
Riaprire potrebbe aiutare?
Il governo non è stato ancora capace di articolare un discorso oltre lo state-tutti-a-casa. Io capisco i medici: è il loro mestiere. Il lavoro dei politici, però, è diverso. Dovrebbero disegnare uno scenario. Dire: “Adesso la situazione è questa. Ma noi abbiamo un piano per la ripresa. O, almeno, ci stiamo lavorando. Le modalità saranno le seguenti. Prima partirà questo. Poi, quello. Ovviamente, con tutte le misure di sicurezza necessarie”. Un paese non può sopravvivere a lungo se rimane chiuso. È la realtà. Si muore di coronavirus. Ma senza lavoro mi posso ammazzare. Cosa stiamo aspettando? Che non ci sia più un contagiato? Un morto? Che le rianimazioni siano vuote? Qual è l’orizzonte? Ecco cosa non è chiaro.
C’è chi ha detto che si è ricomposta la frattura tra popolo ed élite.
Che barzelletta è mai questa? È naturale che nella bufera ci sia affidi al comandante in capo. Ma lei pensa che gli italiani abbiano ritrovato improvvisamente la fiducia nella politica? Obbediscono perché glielo dicono i medici. Appena la situazione cambierà, anche solo di una virgola, quando i problemi saranno di nuovo di scelta politica ed economica, vedrà come tornerà lo scontro, vedrà.
Lei dov’è, ora?
A Milano.
Allora non ha potuto vedere il mare di nuovo blu della sua Venezia.
Però ho potuto sentire quelli che lo raccontano sospirando, e vorrebbero che la città fosse sempre così.
E cosa ne pensa?
Che, come vede, non c’è nessuna rottura nella storia. Le teste di cazzo sono rimaste proprio uguali, identiche a com’erano prima del Coronavirus.
*** L’intervista a Massimo Cacciari è di Nicola Mirenzi ed è tratta dal sito www.huffingtonpost.it
1 Comment
Sarà, ma il fatto che così tanta umanità si fermi, e così a lungo non è mai successo, non credo possa NON avere ripercussioni sui processi “dentro cui siamo immersi da anni”.