Reinventare la Politica, insieme
11 Dicembre 2019Il rischio di vivere al passato
4 Gennaio 2020A letture diverse delle conformazioni geografiche corrispondono anche le geografie politiche. Mutevoli, queste ultime, non solo per effetto dei processi di cambiamento che avvengono sul piano politico (pensiamo che con gli sconvolgimenti seguiti alla caduta del muro di Berlino nella sola Europa scompaiono tre paesi e ne sorgono ventidue di nuovi1), ma anche per effetto dei grandi processi di trasformazione che una globalizzazione sempre più interdipendente va determinando.
Se muta la realtà, dovrebbero cambiare anche le lenti attraverso le quali osserviamo il mondo, ma non è così. La fatica con cui sappiamo adeguare i nostri strumenti per decifrare i processi reali ci racconta di quanto il passato ancora incomba sul presente. Come ha scritto Ilvo Diamanti2, servono mappe per raccontare gli avvenimenti, atlanti per capire i processi in corso e bussole per sapersi orientare.
Mappe. Per raccontare quel che accade
Un esempio viene dalla crisi degli stati-nazione, che si evince tanto sul piano dell’onda lunga dei nazionalismi che hanno devastato il secolo scorso, come nella difficoltà di fornire oggi risposte all’altezza di un mondo sempre più interdipendente. Non dovremmo farci influenzare dal vento sovranista che soffia un po’ ovunque. Questo rappresenta infatti solo la risposta, per quanto preoccupante, alla questione vera che invece è riconducibile all’inadeguatezza delle forme di organizzazione pubblica nell’affrontare un tempo nuovo, sempre più sovranazionale e territoriale.
Quello degli stati-nazione è un paradigma dal quale si fa fatica ad uscire, tanto è radicato nella consuetudine e nelle pratiche politiche. Basti pensare alla fatica dell’Europa che si manifesta nell’opposizione verso la devoluzione dei poteri tanto verso l’alto (la dimensione sovranazionale) che verso il basso (l’autogoverno regionale e locale). Non è il solo. E l’impronta ecologica ce lo racconta ogni anno.
E’ questo un tempo di rovesciamenti. Paesi detti sottosviluppati che in pochi anni diventano tigri dello sviluppo. Coordinate geografiche consolidate (come quella fra nord e sud del mondo) che non descrivono più ricchezza e povertà, tanto che inclusione ed esclusione rispondono a coordinate sempre più a-geografiche. Il delirio di uno sviluppo senza limiti ha portato alla scomparsa di mari e fiumi, rendendo non più abitabili intere regioni del pianeta. I cambiamenti climatici provocano mutamenti profondi di intere regioni che hanno come effetti la perdita di specie, l’impoverimento delle biodiversità, per non parlare dei processi migratori. Lo scioglimento dei ghiacciai e l’erosione dei poli – quel che accade in Groenlandia o in Siberia in queste settimane non ha bisogno di commenti – indica come si sia testimoni di trasformazioni che prima avvenivano in ere geologiche.
Contestualmente la finanza ha invaso l’economia e la deregolazione è il tratto distintivo della accumulazione finanziaria. Le strategie di controllo delle risorse hanno fatto sì che mari e continenti venissero sottoposti a processi di espropriazione da parte di grandi multinazionali o da forme più o meno inedite di colonialismo. Le rotte commerciali ridisegnano corridoi, grandi infrastrutturazioni e approdi portuali.
Gli algoritmi tracciano nuove coordinate mercantili, intervenendo sulla domanda prima ancora che rispondendo sul piano dell’offerta. Le guerre commerciali come quelle dei dazi ridisegnano strategie e alleanze, cui far seguire forme di embargo e sempre più frequentemente l’uso della forza (pensiamo alle guerre che hanno avuto come oggetto il controllo del petrolio, del gas, dell’acqua, oppure della terra, dei diamanti o del coltan), che peraltro ha smesso da tempo di essere appannaggio esclusivo degli Stati.
Difficile orientarsi. Come vado dicendo da tempo, la sensazione è di trovarci in un passaggio cruciale, fra un non più che non sa descrivere il presente e un non ancora che fatica a prendere corpo e che, nel vuoto progettuale, assume i caratteri del rancore e della paura (e sul piano politico il volto inquietante dell’uomo forte, che si chiami Trump o Putin, Orban o Salvini).
Una transizione il cui protrarsi rischia di generare cortocircuiti pericolosi, come la crisi del progetto politico europeo o dello stesso sistema delle Nazioni Unite evidenziano. E di lasciare il “non ancora” nelle mani di poteri finanziari oppure in quelle dei sovranisti del prima noi.
Atlanti. Per capire dove siamo.
In questa complessa transizione, al pensiero politico (e alla politica) viene richiesta ad ogni livello una capacità di immaginazione e di sperimentazione originale allo scopo di ridefinire nuovi spazi di partecipazione e controllo, di rappresentazione e governo.
Nuove geografie politiche s’impongono, oltre i confini tradizionali, per superarne l’anacronismo ed attrezzarsi di fronte all’invasività di poteri che sfuggono ad ogni forma tradizionale di controllo sociale ed istituzionale.
Significa porre con urgenza il tema di una profonda riforma in senso democratico del sistema internazionale, così come la necessità di favorire forme originali di organizzazione a carattere sovranazionale e internazionale quali espressioni di aree geografiche fra loro connesse grazie alla storia, alle culture, alle prossimità e alla comunanza degli ecosistemi. Processi inediti che richiedono di riconsiderare sperimentazioni già in corso, come ad esempio le macro-regioni europee o la valorizzazione dello spazio mediterraneo, solo per rimanere ai sistemi a noi più vicini. Significa dotarsi di nuove carte di navigazione e nuove bussole per sapere dove andare.
Non si tratta semplicemente di dare risposte nuove a vecchi problemi. Qui sono in discussione i fondamentali ed attardarsi nello schema novecentesco, che si affidava alle magnifiche sorti dello sviluppo e alla crescita senza limiti, sarebbe oltremodo colpevole.
Come Luca Parmitano osserva dallo spazio il nostro pianeta provato dai cambiamenti del clima e degli ecosistemi terrestri, così dovremmo essere capaci di uno sguardo strabico capace di mettere in connessione gli avvenimenti globali e regionali.
Bussole. Per orientare il nostro cammino.
Una chiave di lettura glocale s’impone. Capace di connettere alla complessità planetaria un territorio come quello alpino che è stato nel tempo crocevia sia fra Mediterraneo e Mitteleuropa, che fra Oriente e Occidente.
Nuove geografie che ci aiutino a considerare la montagna nelle sue prerogative come nella sua fragilità, a ripensare le regioni a partire dalla comunanza degli sguardi oltre i confini degli stati otto-novecenteschi, a fronte di un rapporto malato che ha fatto sì che essa diventasse servitù delle aree urbane, nello sfruttamento delle risorse come nel trasformarsi in divertimentificio.
Terre alte, rapporto fra città e campagna, riappropriazione della terra sono altrettanti nodi cruciali di questo tempo. Pensiamo all’abbandono della montagna, alla formazione di megalopoli sempre più insostenibili, alle derive del mito industriale e alla plastificazione dell’immaginario. La montagna come paradigma di un ritorno alla terra, in assenza del quale la forbice fra sostenibilità e qualità del vivere è destinata ad allargarsi.
Un forum. Per disegnare nuove geografie
Nei mesi scorsi ho proposto la nascita di un forum permanente e diffuso che ci aiuti a comprendere le rotte e ad indagare sugli strumenti per interagirvi positivamente, da realizzarsi in maniera itinerante, attraverso territori e città dell’arco alpino, coinvolgendo istituzioni o esperienze associative che queste domande se le stanno ponendo nel loro agire e nel loro riflettere su un mondo che sembra procedere senza bussola alcuna. La proposta di una Comunità del Pane delle Alpi va proprio in questa direzione.
Nel recente itinerario nel cambiamento climatico dentro gli effetti di Vaia3 nell’area dolomitica abbiamo preso coscienza di come, malgrado gli evidenti segnali che ci invia la natura, sia ancora l’emergenza l’approccio prevalente. E, ciò nonostante, di come le domande di fondo comincino ad avere cittadinanza anche in ambiti generalmente restii ad interrogarsi sul futuro, magari mettendo in dialogo – nel cercare risposte – discipline e mondi diversi. Servono relazioni, questo significa cooperare.
Più recentemente, nella riunione del Consiglio Nazionale di Slow Food di fine giugno, il tema delle nuove geografie è emerso come la traccia attorno alla quale immaginare la prossima edizione di Terra Madre nell’ottobre 2020. E’ un segno importante del cambio di sguardo che occorre per essere presenti al proprio tempo.
Occorre dunque mettersi al lavoro rompendo gli steccati, le piccole gelosie, le consuetudini autoreferenziali, creando ambiti di dialogo fra istituzioni, corpi intermedi e realtà di ricerca storica e scientifica, mettendo in rete saperi e competenze, costruendo ad ogni livello delle nostre comunità come sul piano sovranazionale un nuovo mappamondo e, con esso, una nuova grammatica per leggere il presente.
(agosto 2019)
1 Armenia, Azerbajan, Bielorussia, Bosnia Erzegovina, Repubblica Ceca, Croazia, Estonia, Georgia, Lettonia, Lituania, Macedonia del Nord, Moldavia, Montenegro, Russia, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Ukrajna. Ed inoltre Kosovo (riconosciuto da 114 paesi ma non dalle istituzioni internazionali), Abkhazia, Ossezia del sud e Transnistria, Stati di fatto per quanto riconosciuti da un numero molto limitato di paesi.
2 Ilvo Diamanti, In nome delle mappe. L’Espresso, gennaio 2018
3Si tratta del decimo itinerario del “Viaggio nella solitudine della politica” (www.zerosifr.eu)