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Far depositare la polvere. Aggiustare la bussola. Politicizzare la società.

Le dinamiche sociali e politiche degli ultimi anni ci dicono che a questa volatilità è corrisposta una generale incapacità delle forze politiche di aiutarne il deposito, preferendo farsi esse stesse correnti che trasportano il pulviscolo tentando di intercettarne volta per volta – per il consenso qui e ora – l’ultimo svolazzo. Un atteggiamento dal respiro corto.

Non è tempo di mappe rigide dice Joi Ito, direttore dell’MIT di Boston. Meglio dotarsi di una buona bussola e mettersi in cammino. Per farlo serve però ridarsi il Nord, dentro il rarefarsi delle ideologie e a valle della presunta dissoluzione della dicotomia tra destra e sinistra.

Serve una rivoluzione ecologica che proponga, dagli stili di vita agli schemi di produzione e consumo su scala globale, una relazione diversa con il pianeta Terra. Un progetto articolato che si faccia carico delle conseguenze dei cambiamenti climatici mettendo sotto stress il modello economico e culturale capitalista. Quel modello che ha dominato il Novecento e che ancora, pur tra mille scrichiolii, è l’insostenibile status quo di questo opaco e contraddittorio presente.

Serve un piano per aggredire le diseguaglianze sociali fatto di un inedito rapporto tra reddito (universale e incondizionato?) e lavoro che sarà, rivoluzionato nelle quantità richieste e nelle forme assunte. Una relazione virtuosa tra welfare istituzionale e comunità di cura, esperienze puntiformi del tener insieme. Una strategia che coniughi redistribuzione della ricchezza, oggi privilegio di una minuscola minoranza, con l’emersione di metriche di valutazione del benessere individuale e collettivo da fissare con indicatori altri rispetto al PIL e alla crescita.

Serve infine un approccio alla cittadinanza fatto di modelli democratici – autonomie territoriali e città in connessione con le istituzioni europee – che guidino al superamento della centralità dello Stato-Nazione. Attivazione multiforme della partecipazione e del farsi comunità politica frutto di rinnovato sincretismo tra diversità, di nuovo assemblearismo che si opponga a ritmi di vita sempre più frenetici, di un incedere collettivo conflittuale e generativo.

Detto del cosa fare (ecologismo radicale vs Antropocene, giustizia sociale e mutualismo vs capitalismo, cittadinanza cosmopolita vs identità nazionalista) uno spunto sul come dargli forma.

Massimo Cacciari richiama al concetto filosofico di amicizia come base del riconoscimento dell’altro e propensione all’incontro. Ezio Manzini consiglia di ripartire dalla politica del quotidiano, dal progettare e fare che si attiva. Mauro Magatti invita alla messa in rete dei campi dell’innovazione sociale che cambiano i paradigmi consunti dal secolo scorso per un patto sociale coinvolgente e ambizioso, sostenibile e radicalmente democratico.

Nessuno risolve da solo la situazione. Questo è chiaro. Nessuno si può bastare e va cercato un terreno di riconoscimento ampio, di dialoghi profondi, di complicità e alleanze inedite. Le manifestazioni che si oppongono all’imbarbarimento del reale e gli scioperi – quello femminista dell’8 marzo e per il clima del 15 marzo – sono laboratori interessanti perché offrono contesti valoriali e di immaginario larghi e porosi. Nel bene e nel male, ancora pre-politici. Rallentano il ritmo (a questo serve lo sciopero), mettono in gioco la fisicità dei corpi nel tempo della virtualità, rivendicano l’impossibile perché a fare la differenza sarà lo stare insieme desiderando il futuro e non facendosi investire da esso.

In queste piazze aperte la polvere trova una sua forma più definita ed emergono le condizioni minime per la necessaria ri-politicizzazione del sociale che rivoluzioni – sovvertendoli e sostituendoli – linguaggi, pratiche e organizzazioni del politico.

Ne abbiamo bisogno, per ridarci un ordine che sembra smarrito ma che è dentro di noi.

* http://pontidivista.wordpress.com

 

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