Voci e sguardi fuori campo
23 Giugno 2018Nelle terre dell’osso. Immagini.
24 Giugno 2018La politica di oggi è l’istante, il tweet, il post, il selfie, la battuta oscena, la proposta abietta, l’invasione di campo (come sui vaccini), il momento di vita privata. Il «salvinismo» ha un profilo popolare — un aspetto che la sinistra si ostina a sottovalutare — che non può essere derubricato. Ma si fonda su una serie di elementi contraddittori. Da un lato, cavalca l’«illegalismo», cioè la divisione binaria della società tra chi dimora nelle maglie della legge e chi si muove ai margini, per devianza o necessità. E allora migranti e rom diventano il simbolo di questa polarizzazione perché nulla possono opporre. Dall’altro propone una sanatoria fiscale per gli evasori.
Così vengono riportati nella legalità perché sono la piccola borghesia, il ceto medio, potenziali elettori. E perché le risorse recuperate potranno in parte finanziare la flat tax. Una tassa che si muove in direzione contraria rispetto al riequilibrio sociale auspicato perché chi ha pagato il prezzo della crisi economica — gonfiando le vele dei vari Salvini, Lepen, Orban, Strache — non sono i primi (le élite contestate), ma i penultimi. La legalità è come un circuito a intermittenza che talvolta ha come bersaglio il diverso e in altre occasioni le istituzioni di insofferenza collettiva (Agenzia delle entrate, Inps). Non si può omettere che il discorso di Salvini dilaga nella mediocrità delle leadership europee coeve. Come quella di Macron che ha confermato la sospensione dell’accordo di Schengen alla frontiera di Ventimiglia — voluta da Hollande nel 2015 — per sbarrare il passo ai richiedenti asilo e che ora rinfaccia decisioni che lui per primo ha compiuto.
Il riallocamento del consenso, in questa fase storica di rottura, può avere una proiezione locale in vista delle elezioni provinciali di ottobre. Il progetto di Autonomia rischia di non essere più il discrimine del voto, di non orientare la scelta degli elettori che giungeranno ai seggi osservando anche il nuovo assetto nazionale. La Lega vanta un po’ di credito sulla questione del regionalismo — e verrà reclamato per esigere il voto e tranquillizzare —, il resto lo metterà l’impalcatura emozionale di Salvini. Per il vicepremier, con radici tra Caderzone e Pinzolo, espugnare l’ultimo lembo non leghista del nord — con Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia allineate — diventa più di una questione simbolica. È una questione politica essenziale, la torsione decisiva al sistema politico convenzionale e alle sue articolazioni. L’argine può arrivare solo da un disegno politico connotato e radicale che sappia costruire una connessione politica sentimentale con il popolo. Fidarsi solo della responsabilità dell’elettore può rivelarsi insufficiente.
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E così, lo sfondamento a rovescio della linea Gotica rispetto agli eventi del ’44/’45, ha comportato il definitivo smantellamento delle “Regioni rosse” (le virgolette sono d’obbligo, per chi avendo radici da quelle parti conosce un poco del carattere degli abitanti). Il prossimo turno spetta ai retici alpini, che come osserva anche Michele, non possiedono gli anticorpi necessari per far fronte all’epidemia nazional-leghista. Un altro mito cadrà, quello dell’anomalia trentino-tirolese, di una comunità territoriale immune dal mitico richiamo di Alberto da Giussano. Contraddizione in termini, quella dei lanzichenecchi sul Carroccio, all’attacco del Barbarossa. Gioco facile per il salvinismo, far leva sulle contraddizioni in atto: rivendicazioni austrobavaresi a braccetto di ipernazionalismi italici. La notte è appena cominciata, e non sappiamo quanto sarà lunga…
E se il progetto di secessione del nord leghista fosse ancora vivo anche se non più dichiarato ?