La prima di copertina del testo proposto da Federico
Trento in Comune (?)
17 Giugno 2018
Il ponte di Annibale
Voci e sguardi fuori campo
23 Giugno 2018
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Abbiamo (almeno) un problema e (forse) un’opportunità da cogliere

Problema. La politica oggi vive e prospera – anche se in realtà muore suicidandosi, abdicando – su picchi di emotività, dinamiche comunicative frenetiche e continui processi di scomposizione e ricomposizione del dibattito pubblico, o di quel che ne rimane. Un frullatore impazzito perennemente acceso, che moltiplica l’output comunicativo al netto di una riduzione direttamente proporzionale di quello che dovrebbe essere l’obbligatorio input, ossia il tempo dedicato alla riflessione e all’organizzazione di un pensiero minimamente strutturato. Serve – se si vuole stare dentro questo campo di gioco, per me ogni giorno più impraticabile e pericoloso – essere dannatamente smart, nell’accezione più degenerata e brutale del termine. Svelti di testa e di dito (sullo smartphone), spregiudicati nel non avere remore di fronte alle occasioni che si presentano (compresa una nave di disperati in mezzo al mare, paragonata a “una crociera” nel Mediterraneo), disponibili a rimettere in gioco continuamente l’intera posta in palio, in un flusso costante di provocazioni e di frasi a effetto, usate come grimaldello per conquistare da un lato consensi e dall’altro per spiazzare gli avversari, rendendo tossico il contesto dentro il quale ci si muove.

Un ruolo – quello del Ministro/provocatore, del twittatore compulsivo – che in questi giorni Matteo Salvini ha saputo interpretare in maniera efficace, sfruttando l’ascendente che la politica ha sui cittadini nel momento in cui i linguaggi utilizzati si fanno più aggressivi, le dichiarazioni più assertive e taglienti, gli hashtag strumenti di identificazione del nemico contro il quale si cementata l’identità e si radicalizzano le invettive. Più che la qualità dei risultati dell’azione di governo conta qui la capacità di far sentire la propria voce, quanto più possibile rabbiosa nei confronti di qualcuno. Meglio di me nei giorni scorsi ne ha scritto Giuseppe De Rita.

“Chiudiamo i porti”, “fare la voce grossa paga”, “è finita la pacchia”, “basta con il buonismo”, “stop al business dell’accoglienza”, “non c’è posto per tutti”, “aiutiamoli a casa loro”, “i rom italiani dobbiamo tenerceli” sono gli elementi di un campionario verbale che si fa proposta politica, a presa rapida. “Prima noi” è esemplare nel raccontare un periodo di politiche muscolari e aggressive, per le quali il mercato oggi è florido.

A questa spirale (fuori e dentro il web) ci si può – e ci si deve – opporre. Ma non basta. Perché manca, o è fragilissima, un’alternativa capace di pensare e mettere in pratica una sufficiente radicalità utopica, tanto nei contenuti quanto nelle forme proposte.

Una proposta generatrice di un campo altro dentro il quale confrontarsi e immaginare. Non moralista ed supponente nel suo modo di intendersi migliore rispetto a chi oggi è impegnato a urlare, ma capace di trovare gli strumenti – politici e culturali – per abbassare il volume di quelle urla che in questi giorni si fa insopportabile. Sfortunatamente, infatti, non basterà sottolinearne le sgrammaticature, analizzarne le debolezze nella filiera educativa, denunciarne la mancanza di tatto e la violenza verbale. Servirà far prevalere – facendolo emergere e condividendolo – il lato femminile della politica, ancora troppo marginale e silenzioso. Un modo, empatico e creativo, di guardare al mondo. Un approccio gentile che sfida la maschilizzazione, fatta di uso e abuso della forza e dell’aggressività. Il punto di partenza per ricucire gli strappi, per prendersi cura delle vulnerabilità, per promuovere l’incontro e la mediazione dei conflitti. Un’opposizione che ci porti lontano dallo scontro, disarmandolo.

* da https://pontidivista.wordpress.com/

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