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Con alcune differenze essenziali: il progetto di Mattarei è rivolto al rilancio di un sistema che, dal 2010 in poi, si è consumato nelle maglie delle crisi economiche e degli scandali (la débâcle della Cantina Lavis, il crac Btd, i guai giudiziari di Sft, i licenziamenti al Sait) e nella travisata questione di come si organizza e si esplicita il potere. In tal senso, nel 2012 il quarto mandato di Diego Schelfi aprì una frattura profonda nella classe dirigente e nel sistema che poi ha condotto ad una balcanizzazione del popolo e del ceto.

Mattarei ha riproposto un messaggio di solidarietà e di condivisione, una retorica tesa a riaggiornare gli ideali di don Guetti senza sottrarsi alle intemperie del presente. Un fattore unisce, però, l’ascesa di Matterei e il risiko nazionale: la tensione antiestablishment. L’idea che una classe dirigente e alcune sue parole siano state archiviate dalla grammatica coeva.

La nuova presidente entra nel tempio di via Segantini dove si sono succeduti sacerdoti intoccabili, crocevia dei più complessi equilibri del territorio. Un misto di conformismo e appeasement ha regolato le liturgie degli ultimi anni e di un mondo che si era ricavato un posto nella storia come modello economico solidale, che, per certi versi, sfidava le logiche del capitalismo. Forse sarà questo il primo compito di Mattarei, cioè rendere intellegibile il palazzo, ridare spazio e voce alla base, rianimare i circuiti della democrazia interna. Non è secondario nemmeno l’impatto che il cambio di timone alla cooperazione avrà sui rapporti politici. Il movimento è stato sempre un collettore di consenso, di sistema più che di voto spicciolo. Il trait-d’union tra Schelfi e l’ex governatore Dellai ha caratterizzato una lunga stagione di relazioni politiche e sociali. Ora questo legame è sciolto, o comunque affievolito, e il consenso meno blindato. Una nuova libertà a cui in molti guardano in vista del 21 ottobre.

*editoriale del Corriere del Trentino del 9 giugno 2018

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