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La democrazia deliberativa, strumento di riconoscimento reciproco fra diversi

Ma cosa significa «democrazia deliberativa»? Da dove nasce? Quali sono le sue ricadute sulla realtà politica e istituzionale e quali i suoi collegamenti con il problema della democrazia e del suo «futuro» (per usare una famosa espressione di Norberto Bobbio)? Seguendo la traccia del libro di Floridia è possibile trovare alcune risposte soddisfacenti, a dimostrazione del fatto che non siamo di fronte ad un pur lodevole «esercizio accademico», ma ad un’analisi che affonda le proprie radici nella realtà e cerca di far interagire teoria e prassi.

Innanzitutto va detto (e su questo punto Floridia è molto chiaro) che la «democrazia deliberativa» esprime un concetto originale di «partecipazione», da non confondersi con altre accezioni più diffuse e tradizionali. Essa infatti assegna un ruolo fondamentale, in vista della formazione delle idee e delle volontà dei cittadini e della stessa costruzione delle decisioni, al momento del confronto e del dialogo costruttivo, e ciò la distingue sia dal concetto di partecipazione che emerge dai movimenti politici degli anni Sessanta e Settanta, sia dalla democrazia «diretta» e referendaria, sia dalle pratiche di tipo assembleare e da quelle di tipo plebiscitario, che spesso caratterizzano l’uso del web.

 Si tratta di un passaggio fondamentale, un filo rosso che percorre tutto il volume. Lo si ritrova ad esempio laddove, affrontando il tema (di derivazione habermasiana) della «politica deliberativa», il nostro autore osserva come, ai fini di una sua legittimazione, non sia sufficiente che una decisione sia assunta nel pieno rispetto del diritto e delle procedure che contraddistinguono uno stato democratico di diritto, ma è necessario che essa sia riconosciuta e condivisa da coloro che da quella decisione sono toccati. E qui -per l’appunto- entra in gioco il concetto di «politica deliberativa», vale a dire quell’insieme di opinioni, idee, preferenze, modelli ideali e culturali, norme sociali che si formano e trasformano nella sfera pubblica attraverso lo scambio degli argomenti ed il discorso pubblico, e che sole possono rendere credibile e giustificare una decisione di fronte agli occhi dei cittadini.

Peraltro la grande attenzione prestata da Floridia ad Habermas (insieme a Rawls uno dei «padri ispiratori» della democrazia deliberativa) ed in particolare ad un’opera fondamentale come «Fatti e norme», non è per nulla casuale. Infatti l’approccio del grande filosofo e sociologo tedesco permette a Floridia di gettare uno sguardo d’insieme allo stato della democrazia contemporanea, alla sua crisi ed al ruolo che in tale contesto può svolgere la «democrazia deliberativa».

E’ un aspetto che l’autore affronta soprattutto nelle Conclusioni: la «democrazia deliberativa», che non va considerata alla stregua di un «mero ideale» da costruire ex novo, ma come un modello ben radicato nei fatti e ben presente nei processi reali, può agire positivamente su due fronti: da un lato costituire un freno all’emergere di un’«ideologia decisionista», che si sta pericolosamente consolidando nelle due varianti «populistico/plebiscitaria» e «tecnocratica» e che presume di poter affrontare la complessità sociale semplicemente «tagliandola»; e dall’altro offrire una risposta convincente alla necessità di una composizione, rispettosa del pluralismo, dei sempre più dirompenti conflitti che attraversano la società. Ciò significa -come precisa Floridia (pag. 337)- che la legittimità democratica delle decisioni pubbliche non è affidata alla mera logica dei rapporti di forza e di potere, ma alla «possibilità stessa di un dialogo razionale, di un riconoscimento reciproco tra diversi».

Del resto il diffondersi di nuovi modelli deliberativi di partecipazione è il segno della vitalità di una proposta che non intende né penalizzare né disconoscere la democrazia rappresentativa, ma innovarla e renderla più inclusiva. Ed il bisogno di partecipazione che si sta percependo anche in Trentino, a seguito dell’applicazione della legge sui processi partecipativi nelle Comunità di valle, ne costituisce un’ulteriore conferma.

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