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E dopo? Bisogna che qualcuno fermi questo delirio…

Renzi ha rianimato l’elettorato che ha resistito a lungo prima di appassionarsi ad una incomprensibile riforma per poi decretare con il voto che: No la riforma così non era né condivisa né necessaria e che se Renzi voleva un plebiscito l’avrebbe avuto: ma contro di lui. Renzi ha usato il referendum come arma per la sua vittoria e l’arma le si è rivoltata contro, ha ammesso (almeno per una notte) che è la sua sconfitta perché era pronto ad intestarsi la vittoria. E il Partito Democratico è stato massacrato, per aver lasciato che Renzi inseguisse la propria vanagloria senza nemmeno tentare di correggerne la rotta, non perché ne auspicasse il suicidio politico ma solo perché si era arreso da tempo alla sua leadership. Renzi, nel tempo del gioco d’azzardo, ha puntato tutto e ha perso, ma come tutti i giocatori si prepara a rilanciare pur avendo dissipato gran parte del suo credito.

Si poteva evitare tutto questo? Certo che si poteva e se chi per arroganza era impedito lo doveva fare il PD. Ma come lo poteva fare se il PD si è ritrovato con un gruppo dirigente attratto dal potere di Renzi e una minoranza divisa che dopo aver consegnato il partito a Renzi lo vorrebbe di ritorno! Un PD che ha creduto nel bluff, convinto che il premier avesse un poker in mano, e che, a grande maggioranza, si è speso cancellando i dubbi e ignorando le ragioni del No. Si tranquillizzino i “fuori fuori”, non è stata certamente la minoranza del PD a decidere l’esito.

Ma si doveva fin dall’inizio riconoscere come legittime le ragioni del No, non disprezzarle come parte di una accozzaglia, non costringerle in un campo ostile. E si doveva recuperare un progetto riformista invece di coltivare un populismo poco credibile se esercitato da parte di chi ha il potere, e si doveva proporre un’agenda che permettesse al partito di restare unito. Si poteva perfino assorbire la vittoria dei No se si minimizzava, come era giusto, la portata della riforma, evitando la resa dei conti chiesta da Renzi.

E ora? A quanto pare la resa dei conti non è finita: si cercano i perché dentro il PD, come in Trentino si cercano (e sì che la storia qualcosa insegna) nella coalizione i perché di un voto differente rispetto a Bolzano. Invece di una enorme autocritica e di un bagno di umiltà si prepara il nuovo azzardo: alle urne alle urne e senza cambiare il modo di presentarsi agli elettori.

Invece di ammettere l’errore e chiedersi cosa non va nell’azione del governo Renzi o perché il PD venga identificato come la casta e non rappresenti più il popolo della sinistra, ci si rifugia nel 40% confidando che questo sia comunque il bottino di Renzi da sperperare al tavolo da gioco.

Bisogna che qualcuno fermi questo delirio, che il PD provi a ripartire, non riconsegnandosi a storie già consumate ma nemmeno riconfermando un gruppo dirigente inadeguato. Distinguendo il piano istituzionale da quello politico e non intrecciandoli in modo perverso per inseguire le ambizioni personali. Riconoscendo le buone ragioni del Sì e quelle buone del No e portandole ad una nuova sintesi. Valorizzando chi ha messo in guardia rispetto all’uso fatto del referendum.

In questi mesi il PD si è dimostrato incapace di un pensiero critico, capace di esaltare o demolire il capo ma non di esprimere l’autonomia politica che un soggetto collettivo dovrebbe avere, sempre. E anche in Trentino ci si è adeguati a quanto richiesto dal nazionale senza riuscire ad interpretare un Sì che fosse convincente.

E’ un compito enorme quello che spetta alla sinistra, perché è molto difficile recuperare capacità di rappresentanza di chi non ha il lavoro o una vera cittadinanza e che ha perso la speranza, e perché non è detto che lo si voglia fare veramente vista la difficoltà di abbandonare un campo coltivato di tante illusioni e comunque protetto e privilegiato.

Il PD dovrebbe fermare chi vuole il voto subito e chi applaude per la caduta del governo, non ascoltare il rancore di chi ha perso o la baldanza di chi non ha vinto. Dovrebbe fare quello per cui è nato, scegliendo cosa vuole essere rispetto ai troppi volti che mostra, costruendo identità e unità, e coltivando un progetto radicale nei suoi valori di riferimento e riformatore nell’agenda di governo. Un PD che parli prima di tutto di lavoro, di uguaglianza e redistribuzione della ricchezza, di cittadinanza, di lotta alla corruzione e all’evasione, di una buona amministrazione e di qualità del territorio.

Troppo? No, è il minimo necessario. Impossibile? Può darsi ma bisognerà pur provarci.

 

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