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Merito e metodo, ragioni per dire che questa riforma non va bene

Perché se è vero che nelle democrazie europee più avanzate la titolarità nel dare o ritirare la fiducia al governo spetta alla sola camera bassa (nel nostro caso la Camera dei deputati), è altrettanto vero che in questi sistemi la camera alta (il Senato) continua a svolgere una funzione essenziale e per nulla cerimoniale: si guardi, per fare un esempio, alla Germania, ove il Bundesrat incide -eccome- sulla legislazione e sulla stessa funzionalità dei governi, soprattutto quando le maggioranze nei due rami del Parlamento sono di diverso colore. E’ tutta una questione di “equilibri”: ebbene, la riforma che andiamo a sanzionare col referendum non prevede né assicura questi equilibri, sia per il depotenziamento del Senato dal punto di vista della sua composizione, sia per il ridursi della “legislazione concorrente” che in tutti i paesi (ed anche in Italia) permette quelle mediazioni e quei compromessi che sono il “sale” di un buon funzionamento della democrazia.

E qui vengo al secondo punto del ragionamento. E’ palese che esista uno stretto collegamento tra riforma costituzionale e sistema elettorale: chi lo nega o è ignaro della cosa o in mala fede. Ebbene: anche da questo punto di vista le prospettive che abbiamo davanti destano viva preoccupazione. L’Italicum, infatti, oltre ad essere un unicum nel panorama europeo, ha il difetto, così com’è disegnato (soprattutto a causa del “premio di maggioranza”), di concentrare e verticalizzare tutto il potere in capo alla lista vincente ed al suo leader, con la possibilità, per nulla remota, che ne traggano beneficio movimenti, forze politiche o personaggi poco attendibili dal punto di vista democratico (peraltro la mozione recentemente presentata in Parlamento dalla maggioranza PD è vaga e poco chiara). Ne consegue che la mancanza di equilibri sopra descritta e lo spostamento del baricentro sulla sola Camera dei deputati possono aggravare questa situazione ed accentuare il pericolo di un sistema “maggioritario” unilaterale e fondato sui soli “rapporti di forza”, quindi poco dialettico e per nulla disposto alla mediazione ed al confronto.

Ma la questione fondamentale, quella che mi indurrà a votare NO al referendum, è proprio l’uso che di quest’ultimo è stato fatto dal gruppo dirigente nazionale del PD. Innanzitutto, agli osservatori più attenti, è apparso subito strano che a raccogliere le firme fosse proprio il partito che a livello politico-parlamentare si era fatto promotore della riforma, e questo perché, nella logica del sistema, dovrebbero essere invece gli “oppositori” (e non i “fautori”) della riforma a mobilitarsi e scendere in campo. Una circostanza, si badi, per nulla banale, perché rende palese quello che -a mio parere- è il dato più eclatante e preoccupante di tutta la vicenda: l’uso palesemente “plebiscitario” che il Presidente del Consiglio, nonché leader del PD, ha fatto (ed in parte fa ancora) del referendum costituzionale.

Infatti quando Renzi attribuisce al referendum una valenza da “fine del mondo”, facendo capire che in caso di esito negativo lui ed il suo staff si sentirebbero nel dovere di dimettersi andando a nuove elezioni, non solo dice una cosa non vera (infatti i sistemi parlamentari, per loro fortuna, hanno la forza e gli strumenti per risolvere le crisi), ma anche demagogica e tale da impedire lo svilupparsi di una discussione aperta e responsabile, come invece una materia delicata come quella costituzionale meriterebbe. Senza dimenticare gli accenti populistici che contraddistinguono la campagna referendaria: infatti quando si dice che la riforma serve soprattutto a “tagliare i costi della politica” (nella fattispecie dei senatori), si dirà una cosa in sé auspicabile, ma si tende anche a strizzare l’occhio a quei populismi che pure in Italia sono presenti e che nascondono seri pericoli per la democrazia.

Insomma: se sono d’accordo sulla necessità della riforma, non lo sono sui contenuti e meno ancora sui modi in cui viene proposta, ed è quindi la forza della ragione a spingermi verso un voto negativo. Naturalmente, alla luce dell’ispirazione riformista che mi ispira, sono sempre fiducioso che le cose possano cambiare. Il cambiamento però non può essere qualcosa che cade dal cielo, ma il frutto di una maggiore consapevolezza di quanto accade e di una conseguente azione collettiva.

1 Comments

  1. Flavio Ceol ha detto:

    Condivido quello che è scritto e che giustifica abbondantemente il voto negativo sulla riforma costituzionale proposta. Condivisibile anche il ragionamento sui due piani, quello del merito e quello del metodo. Non aggiungo niente di significativo sul merito se non che il continuo riferimento alla necessità di semplificare il processo legislativo è contraddetto dallo stesso testo che lo complica con possibili o quasi certi aumenti dei conflitti di competenze. Inoltre è bene sfatare quella tesi non vera per cui il problema italiano sarebbe la lentezza legislativa. La verità è invece che in Italia si producono fin troppe leggi e la maggior parte con due sole letture, semmai varrebbe la pena ragionare sulla qualità del prodotto legislativo e sul fatto che la maggior parte delle leggi sono di iniziativa dell’esecutivo e non parlamentare. L’altro grande tema della riforma si risolve in un ritorno a pratiche centralistiche negatrici di culture di autogoverno responsabile delle comunità locali che non potrà non avere riflessi nel lungo periodo anche per le autonomie speciali che per funzionare hanno bisogno di una cultura autonomistica che in questa proposta di Costituzione non c’è. Sul merito ci sarebbero ancora questioni da affrontare ma, seguendo il ragionamento proposto che analizza particolarmente le questioni di metodo (che nelle riforme costituzionali sono anche di merito) e, quindi, soffermandomi su queste posso dire che le modalità con cui è stata presentata la riforma e con le quali si svolge la campagna elettorale, specialmente da parte del presidente del consiglio, sono l’esempio di come non si dovrebbe comportarsi in tema di riforme costituzionali. La Costituzione non può essere di parte e divisiva; non può essere una bandiera da sventolare di fronte agli avversari (in verità questo vale anche per alcuni sostenitori del no) pena la perdita della sua funzione che è quella di dettare regole condivise e accettate. Inoltre la Costituzione non può essere lo strumento per superare alcune vischiosità che sono politiche e su quel piano devono essere risolte magari con il dialogo se è vero che la democrazia è “il governo per mezzo del dibattito” (A. Sen); dialogo che non esclude ma anzi ingloba il conflitto. La Costituzione ha un senso se limita il potere del “principe” non se si utilizza come il mezzo per governare liberi da “lacci e lacciuoli”. Temo molto che dopo questa campagna elettorale il 4 dicembre ci troveremo in una situazione politica dove ognuna delle forze politiche potrà teorizzare e magari praticare una sua costituzione variabile a seconda della maggioranza pro-tempore rendendo, di fatto, impossibile qualsiasi revisione costituzionale fondata e che duri per il tempo necessario.