Il rapporto Caritas 2016 sulla povertà e l’esclusione sociale
17 Ottobre 2016Fabrizio era così…
20 Ottobre 2016E’ interessante come le cose si tengono l’una con l’altra, il riconoscimento della bellezza e la creatività politica ad esempio, o al contrario il disprezzo per il bene comune e una politica senza qualità. E già a partire dal colloquio che ho in una tarda mattinata di domenica con gli amici di Roseto degli Abruzzi mi rendo conto di come la loro solitudine culturale e politica sia un tutt’uno con l’insostenibilità dei modelli di sviluppo che segnano quel territorio, con le scelte che nel tempo hanno compromesso talvolta irrimediabilmente l’ambiente e con una politica locale che nemmeno sa scorgere tutto questo, quasi che tale ambiente artificiale fosse naturale.
Vedo questi amici provati a forza di essere inascoltati nel progetto di riqualificazione territoriale nel quale sono da tempo impegnati. Parliamo della vendemmia in corso, di quel che potrebbe venire dall’analisi nutraceutica dei prodotti del territorio se solo le istituzioni avessero un po’ di fantasia e amor proprio, della loro volontà di dar vita ad una cooperativa agricola che nel produrre qualità si prefigga anche di educare al gusto e ad un’alimentazione corretta. E di quel luogo che era di proprietà di uno di loro e che per mille vicissitudini per nulla estranee alle forme di banditismo economico le banche si stanno portando via. Che di questo loro progetto avrebbe potuto diventare il motore ma che ben difficilmente riusciranno a recuperare.
Sono persone come queste che la politica dovrebbe aiutare a sentirsi meno sole. Se solo intendesse interrogarsi sul presente e sul futuro.
Siamo all’inizio di ottobre e il sole mantiene gran parte del suo vigore. Ma a Roseto da settimane la stagione turistica è archiviata e tutto sembra lasciato lì, come se ogni attività ruotasse attorno ad un modello turistico pensato sui tre mesi estivi. E’ come se la comunità avesse scelto di evaporare in quel modello di sviluppo plastificato nel quale l’apporto umano, il lavoro come il sapere, e dunque l’agricoltura, la pesca, la pastorizia, l’artigianato tradizionale fossero diventati un corpo estraneo e inessenziale nel mercato globale.
Riprendiamo il nostro viaggio verso sud, direzione Matera. Nella città che nel 2019 sarà la capitale europea della cultura la sensazione è ben diversa, soprattutto nel fervore che si coglie in ogni angolo della città. E non parlo solo dei molti cantieri che si sono aperti per quando i riflettori di tutto il mondo saranno puntati sulla “città dei sassi”. Qui, a differenza del paesaggio trasformato dall’industria del divertimento, si avverte un atteggiamento diverso, come se improvvisamente tutta la città avesse compreso che di cultura si può vivere. Un ravvedimento (o forse un’operazione di facciata?) che pure non riesce a nascondere qualche brutta eredità di un passato anche recente, ma in ogni caso un’opportunità per cambiare.
Quanto tempo è trascorso da quando quei sassi vennero definiti da Palmiro Togliatti una “vergogna nazionale”… era il 1948 e le famiglie vivevano in un’unica stanza con grappoli di figli (nonostante una mortalità infantile del 463 per mille) e la corte degli animali. Ora molte di queste case sono diventate b&b o abitazioni di lusso e i sassi un patrimonio dell’umanità.
Come le nostre Dolomiti, del resto. Nelle nostre conversazioni il parallelo a distanza con la città di Trento che vorrebbe diventare capitale italiana della cultura ci porta ad improbabili raffronti e ad amare considerazioni, perché in fondo non si tratta di negare le potenzialità ma di quanto l’amministrazione pubblica sa investire in futuro. Quando invece spesso non sappiamo nemmeno gestire un presente che vive di rendita per le scelte coraggiose compiute dieci o vent’anni fa. Tanto da insistere in anacronistici progetti stradali e impiantistici, in mediocri mercatini che con la qualità non hanno nulla a che fare o in monocolture destinate prima o poi a rivelarsi insostenibili.
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Da Matera ci dirigiamo verso Bari dove è previsto un incontro per il progetto “Piazza del Mediterraneo”. Ancora in nuce, la proposta intende sviluppare una rete di relazioni fra le città del Mediterraneo fondata sulla cooperazione di comunità e funzionale alla costruzione di una nuova visione sovranazionale a partire dalla valorizzazione dei beni culturali, delle risorse dei territori, degli stessi fenomeni migratori vissuti sin qui come emergenza ed altro ancora.
Nuove visioni e nuove classi dirigenti, a guardar bene i veri nodi che le primavere arabe e lo stallo del dopoguerra balcanico (ma anche la crisi politica italiana), hanno posto e che non abbiamo saputo vedere. Triangolare le diverse sponde del Mediterraneo può rappresentare una straordinaria opportunità da contrapporre alla degenerazione violenta dei conflitti e all’incapacità di affrontare alla radice problematiche che rischiano di diventare devastanti anche nelle nostre comunità.
L’incontro si svolge in Regione con l’assessore regionale alla cultura Sebastiano Leo e con il responsabile delle politiche internazionali Bernardo Notarangelo. Spiego l’idea di questa triangolazione fra territori come necessità di riattivare canali di relazione fra le regioni e le città del Mediterraneo in un contesto che si sta avvitando pericolosamente e che proietta i suoi effetti ovunque in termini di instabilità, processi migratori, traffici criminali, paura. E quel cambio di paradigma che propone l’idea della cooperazione di comunità, la costruzione di relazioni piuttosto che la logica perversa di aiuti che provocano dipendenza e omologazione. Vedremo se ne uscirà qualcosa di interessante.
Raggiungo i miei compagni di viaggio (che nel frattempo hanno visitato Bari vecchia) davanti al Teatro Petruzzelli. Il 27 marzo di quattro anni fa ero sul palco di questo splendido teatro appena ristrutturato dopo l’incendio doloso che l’aveva devastato, in occasione della presentazione del film per la RAI sulla ”Quarta mafia”, quella Sacra Corona Unita i cui legami con le mafie serba e montenegrina continuano ad essere al centro dei traffici e degli affari criminali ben oltre le tratte adriatiche. Anche su questo piano le interdipendenze richiedono visioni e politiche sovranazionali, in larga misura assenti.
Riprendiamo il nostro itinerario in direzione di Ostuni, la città bianca. Una perla che si inerpica su tre colli circondati da un mare di ulivi centenari che ti mettono in soggezione per quanto sono forti ed austeri. Solo la logica del profitto (e una sorta di delirio possessivo) può immaginare di trapiantarli per ornare i giardini dei nuovi ricchi alle nostre latitudini, fra nanetti e leoni ornamentali. Ed è proprio in una masseria immersa negli ulivi nei dintorni di Ostuni che ci sistemiamo come punto d’appoggio per visitare i borghi della Murgia.
Sta facendo sera. Amo la cucina pugliese e nel cuore di Ostuni troviamo il posto che fa per noi, il ristorate le Monacelle. Davvero delizioso. Qualità elevata e prezzi contenuti. Sarà un tratto niente affatto trascurabile che ci accompagnerà nei giorni del nostro soggiorno in questa terra.
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Con Renata ed Edoardo già due anni fa ci eravamo regalati una settimana autunnale di mare, nella Sardegna vera, un po’ lontana dagli itinerari del turismo di massa, nelle campagne di Oliena e nel mare di Berchida e di Bidde Rose. Luoghi d’incanto che per me e Gabriella sono diventati ormai quasi famigliari.
L’idea di un ultimo mare prima dell’arrivo del freddo ci porta sulla “marina” di Ostuni ma qui l’accesso al mare sembra essere diventato un fatto privato. Dove sta scritto che debba per forza avvenire attraverso gli stabilimenti balneari cui sono stati dati in concessione, senza soluzione di continuità, interi tratti di costa? E visto che anche qui la stagione è già finita, oltretutto sono chiusi. Fatichiamo a trovare una via d’accesso e quando finalmente ci riusciamo (dopo aver pagato comunque un biglietto d’ingresso a quello che dovrebbe essere un bene comune), è con il cemento e l’incuria che ci troviamo a dover fare i conti.
Non oso immaginare quando questi luoghi s’affollano di persone che trasferiscono sulla spiaggia le loro dinamiche famigliari. Ora non c’è quasi nessuno, solo il vento di tramontana, un sole ancora caldo e una forte brezza marina che però ci dissuade dall’entrare in acqua. Ce ne veniamo via con l’amara considerazione che – in nome di un malinteso sviluppo – negli ultimi cinquant’anni abbiamo compromesso per certi versi irrimediabilmente uno straordinario patrimonio naturale che da solo avrebbe potuto garantire benessere e sostenibilità.
Che ancora resiste all’interno, seppur fra mille contraddizioni. Lo spettacolo degli ulivi, un vero patrimonio dell’umanità, è grandioso quand’anche insidiato, così come lo sono le cittadine che visitiamo (Martina Franca, Ceglie…), in genere curate e ricche di cultura, ma anche divise fra antico splendore e abbandono. Gli uni e le altre richiederebbero un’attenzione particolare, politiche agricole a sostegno della qualità (non è accettabile che l’olio extravergine di oliva sia venduto a tre euro al litro!), recupero del patrimonio architettonico di primaria importanza non sempre valorizzato come meriterebbe.
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Il giorno seguente ci alziamo col cipiglio di non darla vinta ai privatizzatori del mare e qualche pertugio lo troviamo, ma c’è ancora vento forte e allora preferiamo far visita ai borghi della Murgia (bella Mesagne ed ottima l’Osteria del Vicoletto) per poi dirigerci verso il Salento.
Arriviamo a Galatina dove ci sistemiamo a Palazzo Baldi, una dimora storica fra le poche ristrutturate di un borgo nel quale la vita scorre si potrebbe dire malgrado il suo centro storico. I suoi palazzi signorili, antica eredità di baronie e latifondi, grandi portoni e scuri sbarrati, raccontano di un tempo in fondo non troppo lontano nel quale le vite della povera gente erano al totale servizio dei signori e del notabilato. Oggi non ci vive più nessuno, palazzi del vento per usare una metafora cara a Paolo Rumiz. Anche qui alla politica servirebbe un po’ di fantasia…
Il prossimo appuntamento è a Capo Otranto con un luogo e una persona speciali. Il luogo è il Faro di Palascia, il punto più orientale d’Italia, la persona è Elio Paiano, giornalista e referente locale di Legambiente, che del faro è l’animatore. Qui il mare è mare e l’unica concessione è quella di una piccola postazione militare nel luogo che un tempo (e ancora oggi, per la verità) controllava l’ingresso nel mare Adriatico. E’, come ci spiega Elio, l’unico faro in Italia di proprietà comunale diventato Centro di educazione ambientale e stazione per l’osservazione dei rapaci, luogo di passo per tonni, ricciole, palamite, delfini e capodogli. Ora anche “Laboratorio del buon cibo”. E infatti la sua mamma ci ha preparato un ottimo pranzo con alcune specialità locali: pettole, orecchiette e frittura di triglie.
Siamo qui per discutere con Elio di come un luogo speciale come il Faro di Palascia potrebbe entrare nel progetto di relazione fra territori del Mediterraneo e immediatamente mettiamo a fuoco l’idea di mettere in rete luoghi speciali come questi che racchiudono in sé storia e ambiente, cultura e saperi, per farne altrettanti nodi formativi e promozionali.
Qui si ha la percezione del Mediterraneo come un grande mare interno che unisce sponde e mondi diversi tanto che, scrutando l’orizzonte marino, si scorgono le montagne albanesi. Meno di sessanta chilometri e la metà di questa distanza la copriva il faro realizzato nel 1864. Riuscire a farne un luogo d’incontro mediterraneo oltre i confini nazionali: anche solo questo piccolo obiettivo basterebbe a giustificare il progetto di cui abbiamo discusso a Bari nei giorni precedenti.
Il faro alle spalle, l’ultimo sole ci accompagna nel ritorno a Galatina.
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Lungo il tragitto che il mattino seguente ci porta a Melpignano, ci imbattiamo in un mercato di prodotti agricoli a Martano, cittadina grecanica che meriterebbe una maggiore attenzione. Amo queste bancarelle ricolme dei prodotti della terra e nel confronto dei prezzi emerge uno degli spaccati di questo paese, economie parallele dove il valore delle cose dipende dalla latitudine. E’ incredibile vedere l’uva da tavola a 0,30 euro al chilo e le mele della Val di Non a metà prezzo rispetto al Trentino. Così le castagne e i pomodori secchi… Si mette a piovere a dirotto, così riprendiamo il nostro cammino pensando che ne incontreremo altri di mercati dove fare un po’ di provviste per il nostro lungo inverno trentino.
Nella bella piazza di Melpignano abbiamo appuntamento con Sergio Blasi, consigliere regionale e già segretario regionale del PD, ma prima ancora inventore della “Notte della Taranta” che ha portato quel luogo nel mondo. Con Alessandra Caragiuli, che del progetto “Piazza del Mediterraneo” è l’animatrice e che ha fortemente voluto questa nostra conversazione, parliamo di quel che avremmo potuto mettere in campo verso le Primavere, di questo progetto che io vorrei in primo luogo come ambito per formare nuove classi dirigenti e delle relazioni che ne potrebbero nascere fra le sponde del mare nostrum.
Avverto con Sergio Blasi una forte sintonia per la verità non solo sulla proposta specifica per la quale ci incontriamo, tanto che il confronto scivola sul tema della solitudine politica dei territori rispetto ad una sinistra incapace di pensarli come laboratori originali e dunque portatori di una visione fra il locale ed il globale. Insomma di questo nostro sentirci europei, mediterranei, adriatici, alpini, danubiani e così via.
Nella scoperta di assonanze e nell’incrocio degli sguardi ritrovo “il piacere del pensare pulito e l’ebbrezza della creazione politica” di cui parlava Altiero Spinelli nel ritorno da Ventotene. Ed è proprio con questo spirito che ci salutiamo, con l’intento di stabilire fra noi – se ci riusciremo – qualcosa di più che una semplice collaborazione progettuale.
Lecce è davvero una bella città. L’ultima volta che sono stato nel capoluogo salentino fu una decina d’anni fa, in occasione di un convegno sui Balcani cui partecipai insieme a Predrag Matvejevi. Ci conoscevamo, ma lì diventammo amici. E insieme andammo una sera a cena in una piccola trattoria dove per entrare bisognava suonare il campanello. Era la Cucina Casareccia “Le Zie”, oggi unica proposta gastronomica della città ad essere segnalata nella guida delle Osterie d’Italia. Non so se per effetto della compagnia o per i sapori della cucina salentina ma quel luogo mi è rimasto nel cuore, e mentre il mio pensiero va a Predrag che sta vivendo in una casa di cura di Zagabria un passaggio difficile della propria vita, alla sera ci ritorniamo. Facevo bene a portarmelo nel cuore.
Il centro storico e la piazza del Duomo in particolare, nel silenzio della notte, sono uno spettacolo. Meriterebbe qualche giorno di permanenza, che però non abbiamo e che mettiamo in conto per il futuro.
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Vediamo città splendide e ricche di storia e di cultura, una campagna ricca e (almeno apparentemente) ben coltivata, una collocazione geografica che favorisce le biodiversità e gli intrecci mediterranei… Non voglio sentir più parlare della povertà del Mezzogiorno. Qui se c’è qualcosa che non va, ha a che fare con la responsabilità (e la qualità) delle classi dirigenti e con modelli di sviluppo importati che non centravano niente con le caratteristiche e la coscienza dei luoghi.
Il contrasto fra la bellezza del mare di Porto Cesareo – siamo ora sulla costa ionica – e quello che si è costruito là dove un tempo c’erano le dune ci parla di questo, della ricerca del profitto che ha devastato e omologato i luoghi come l’immaginario collettivo. Riempiendo le tasche degli speculatori e impoverendo i territori. Non è facile tornare sui propri passi, come non lo è smantellare l’idea che l’Italia (in questo caso Taranto) abbia bisogno del suo siderurgico. Quando cominceremo a pensare da europei? E’ un cambio di paradigma che s’impone, come quello che fonda lo sviluppo locale a partire dalle vocazioni del territorio.
Che non possono essere banalizzate come avviene per Alberobello dove i trulli sono diventati altrettante bancarelle di cineserie. Come si può trasformare un luogo unico in un bazar dal quale scappar via? Così, mentre risaliamo verso nord, troviamo molto più interessanti e veri come Oria, Manduria, Francavilla Fontana, Putignano e persino Giovinazzo dove trascorriamo l’ultima notte del nostro viaggio in questa parte del Mezzogiorno europeo e mediterraneo che ancora fatica a scrollarsi di dosso i rituali di uno stato invasivo e di una politica lontana.
Arrivederci, antiche Terre d’Otranto.