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Perdonare, per «accordarci al presente»

Questo siamo stati noi europei per le popolazioni indigene e fin quando non chiederemo esplicitamente perdono e non cambieremo il nostro rapporto di dominio, diretto o per interposta persona, ben difficilmente si potrà avviare un percorso nuovo.

Non si torna indietro, non vi saranno risarcimenti materiali. Ma riconoscere come sono andate le cose (e come vanno le cose) è la condizione di partenza per una riconciliazione vera. E’ immaginabile che, via papa Francesco, se non tutto almeno molto rimanga come prima. Ma questa parola, “perdono”, rimarrà nella storia, aprendo una strada possibile.

Difficile, certo, perché la cultura dello scarto (come la chiama papa Francesco) o dell’esclusione, si manifesta quotidianamente nel dominio del mercato e della forza. Andare a San Cristobal de las Casas (il luogo dell’insurrezione zapatista del 1 gennaio 1994, moderna a tal punto da non chiedere nuovi confini ma dignità e autogoverno) è stato un gesto importante ma in quella splendida cittadina coloniale ancora non si può comprendere a pieno come vivono le popolazioni indigene. Sarebbero bastati pochi chilometri, in direzione di Ocosingo… .

Quando ci andai nel 2004 (c’ero stato una prima volta proprio nel 1994 a San Cristobal, ma senza inoltrarmi nella foresta) di fronte alla fragilità di queste popolazioni, provai un senso così profondo di colpa che l’unica cosa che avevo voglia di fare in quel momento era quella di fuggire via. Un senso di colpa che non ho provato altrove e che ancora oggi mi porto dentro.

Come scrive Jacques Derrida

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