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mercoledì, 06 aprile 2022

In un tempo di grande deragliamento come quello che stiamo attraversando, avere l’opportunità di parlarne con un folto gruppo di ragazze e ragazzi di tre classi di un Istituto superiore di Trento è stato davvero un bel regalo. Non un incontro sporadico e nemmeno un’assemblea, ma qualcosa di diverso: l’incontro con l’autore (in questo caso gli autori) che diviene conversazione a tutto campo sul nostro presente…

In un tempo di grande deragliamento come quello che stiamo attraversando, avere l’opportunità di parlarne con un folto gruppo di ragazze e ragazzi di tre classi di un Istituto superiore di Trento è stato davvero un bel regalo. Non un incontro sporadico e nemmeno un’assemblea, ma qualcosa di diverso: l’incontro con l’autore (in questo caso gli autori) che diviene conversazione a tutto campo sul nostro presente.

Ma facciamo un passo indietro. L’estate scorsa in Val Visdende, in occasione dell’inaugurazione del primo lotto del progetto di costruzione con il legno di risonanza schiantato da Vaia della “Casa Armonica”, cominciammo a parlarne con Angela, docente al Tambosi di Trento: l’idea che mi buttò lì era quella di realizzare attorno al grande tema della crisi climatica un percorso formativo a partire dal libro “Il monito della ninfea”, rivolto agli studenti delle “sue” classi.

Nelle settimane successive abbiamo preparato una proposta di itinerario: cos’era accaduto in quella notte fra il 29 e il 30 di ottobre 2018 e nei giorni successivi; Vaia come un messaggero del nostro tempo; il dopo Vaia, come un’opportunità per ripensare il nostro rapporto con la montagna. Un programma di incontro con gli autori (nel dettaglio https://michelenardelli.it/commenti.php?id=4747) che avveniva in parallelo alla lettura del libro.

Nell’ipotesi originaria avevamo anche previsto, a conclusione del percorso, un viaggio di studio proprio in Val Visdende, in quel luogo magico di natura nell’alto Cadore dove Karol Wojtyla amava passeggiare nelle sue giornate di riposo estivo e devastato dal ciclone tropicale che tre anni fa ha fatto irruzione nelle foreste dolomitiche. La mancanza di risorse ha impedito che alle parole si associassero i luoghi, la fatica di chi sta ricomponendo l’infranto e il confronto con le persone impegnate nell’immaginare il futuro di quell’area. Perché di questo avrebbero bisogno i nostri ragazzi, non di veder oltremodo aumentate le spese militari.

Credo che in ogni caso il percorso abbia funzionato. Giovedì 7 aprile ci sarà l’ultimo degli incontri previsti, ma possiamo dire da sin d’ora che, almeno a giudicare dall’attenzione prestata, dalle domande (e dagli scambi di opinione avute con Angela durante lo svolgersi del programma), le reazioni siano state positive. Per i ragazzi – ed era questo l’obiettivo che c’eravamo dati – ma anche per noi autori di quel lavoro da cui ha preso il via la proposta.

Possiamo dire che non c’è stato incontro in cui non siano emerse le connessioni con quanto è accaduto di inquietante negli anni successivi a Vaia, o non sia stato toccato il tema, cruciale, del nostro rapporto con la natura.

Ne parlavamo nei giorni scorsi con Diego Cason – che ha partecipato in presenza e da remoto agli incontri – e la sensazione comune è stata di aver realizzato un’occasione di dialogo intergenerazionale tutt’altro che banale e arricchente anche per noi adulti, proprio a partire dalla responsabilità che ci portiamo appresso di aver portato questo nostro pianeta sull’orlo del baratro. Con l’attenuante che siamo stati pensiero critico e che non ci siamo di certo risparmiati nel cercare di impedire la deriva che stiamo conoscendo, ma anche con la consapevolezza della nostra personale impronta ecologica.

Sarebbe naturale da parte di questi ragazzi che si affacciano alla maturità il chiedere conto alle generazioni (le nostre) che, nell’arco di un breve passaggio di tempo, hanno iniziato a consumare molto di più di quanto gli ecosistemi erano in grado di rigenerare, a dotarsi di arsenali militari in grado di spazzare via il genere umano dal pianeta, a determinare una crescita delle emissioni di CO2 tanto da provocare un surriscaldamento del pianeta con effetti devastanti per gli ecosistemi.

E che invece si rendono conto che con queste persone dai capelli ormai bianchi è necessario un dialogo, che semmai è utile ripartire da questo ancora indomito spirito critico (che poi è merce piuttosto rara) per cercare di andare oltre, che riflettere sull’intreccio delle crisi che investono anche le loro giovani vite in forma così cruda come lo sono l’innalzamento della temperatura del pianeta, la pandemia e ora la guerra, non è materia da cui ci si può chiamare fuori.

Domani è prevista l’ultima delle conversazioni con la 5ª SC e già avverto che l’opportunità di incrociare gli sguardi con questa generazione mi mancherà. Non nascondo che nell’agosto dello scorso anno in Val Visdende avevo detto ad Angela che avrei forse preferito realizzare questo percorso con gli insegnanti, perché dovrebbero essere loro a rendere permanente il confronto fra passato e presente, loro a non smettere di studiare e di infondere spirito critico nei loro allievi.

Per certi versi lo credo ancora, ma devo riconoscere che questa esperienza mi ha dato molto, tanto da portarmi ad immaginare di poterla replicare anche in altre scuole. Quindi non mi resta che ringraziare Angela e i ragazzi della 4ªSB, della 5ªSB e della 5ªSC dell’Istituto Tambosi di Trento. Cercherò di far tesoro delle loro domande e della loro inquietudine.

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