sabato 4 luglio 2009
6 Giugno 2019venerdì 3 luglio 2009
23 Giugno 2019Lo chiamavamo “il Rosso”. Perché quando arrivò alle Camalghe sette anni fa era già adulto o forse anche di più. Non aveva un nome, non sapevamo da dove venisse, nulla che lo potesse ricondurre ad un suo passato “domestico”. Non era affatto socievole e si avvicinava guardingo, senza alcuna intenzione di barattare la sua libertà con qualcosa da mangiare o la comodità di un casa. Se indugiavi in una carezza di troppo potevi star certo che avresti conosciuto i suoi artigli.
Un gatto vero, insomma, che sapeva il fatto suo. Se ne stava via per giorni e giorni, poi ritornava con i segni sul muso e sul corpo della vita di strada. Riprendeva le forze, mangiava una quantità di cibo che sarebbe bastata per tre o quattro suoi simili (bisognava vederlo con la scodella del latte che beveva senza mai tirare il fiato) e poi via di nuovo, in chissà quali avventure.
Ogni tanto ci capitava di vederlo in lontananza seduto in mezzo all’erba dei campi con la sua aria da baruffa, come a sfidare l’universo animale verso il quale non mostrava alcun timore. Se per caso un cane gli si avvicinava, bastava un colpo d’occhio e faceva subito retromarcia. Nina (il cane da montagna dei Pirenei che ha vissuto con noi fino allo scorso anno) nonostante fosse dieci volte più grossa di lui gli mostrava rispetto e dopo qualche tempo anche affetto, tanto da farlo accovacciare nel suo folto pelo. Ma se solo gli avesse dedicato qualche attenzione indesiderata bastava un soffio e l’ordine delle cose si sarebbe ricomposto. Fra loro c’era un’intesa precisa, lui era parte più o meno consapevole del gregge, lei un pastore amorevole.
Il Rosso non aveva certo problemi di autostima. Bello era bello. Rosso era di nome e di fatto, il pelo medio lungo, un testone che lo faceva sembrare ancora più imponente, gli occhi verdi e i baffi lunghissimi, il portamento fiero e l’incedere elegante.
Malgrado il suo universo andasse oltre le Camalghe, segnava il territorio (casa compresa vista la presenza della gatta che l’abitava da prima di lui), così che ogni tanto noi maschi di casa entravamo in aperto conflitto. Non che s’intimorisse, figuriamoci che effetto gli potevano fare le mie minacce, tanto da indurlo in occasione di un mio sgarbo (l’uso della scopa per dissuaderlo dal segnare il territorio) a fare una spruzzatina sullo schermo del pc di casa. Sapeva che nessuno si sarebbe mai sognato di metterlo in una gabbia per portarlo a sterilizzare: intanto sarebbe stata un’impresa ma soprattutto un’offesa alla sua integrità.
Solo il suo miagolio era andato perdendosi nel tempo, tant’è che dopo una forte bronchite dalla quale era uscito per miracolo (le famose sette vite) e soprattutto grazie alle amorevoli cure di Gabriella, quando voleva farsi sentire emetteva un verso stridulo e un po’ inquietante ma sufficiente per farsi intendere.
Ultimamente il Rosso mostrava gli acciacchi del tempo. Non che venisse meno la sua indole, ma era evidente che le sue vite si andavano esaurendo e anche lo zimox in sedicesimi che più volte l’aveva rianimato non bastava più. Così il Rosso, come si conviene ad un gatto libero, è andato ad imbucarsi nell’erba alta. Ancora apprezzava le coccole di Gabriella, l’unica che potesse prenderlo in braccio e alla quale rivolgeva fusa copiose, ma i suoi occhi si erano fatti sempre più spenti. Fino a chiudersi sotto un nocciolo.
Non sappiamo come tu sia arrivato qui, di certo sappiamo che sei stato il benvenuto e che fra i luoghi che la tua vita randagia ti ha fatto conoscere le Camalghe è stato quello che hai scelto per fermarti.