Mas del Gnac, 25 ottobre 2018
giovedì, 25 ottobre 2018
25 Ottobre 2018
Riace, paese dell'accoglienza
lunedì, 24 dicembre 2018
24 Dicembre 2018
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martedì, 27 novembre 2018

Sono rientrato a Trento dopo nove giorni intensi di incontri, conversazioni, conferenze pubbliche e da ultimo uno spettacolo che attorno al libro “Sicurezza” ha messo insieme teatro, musica e parola.

Un viaggio in automobile attraverso l’Italia, accompagnato dalla pioggia e dal freddo. Non nascondo di essere un po’ stanco, ma al tempo stesso confortato dal calore e dall’interesse incontrati, quello degli amici con i quali si è costruita nel corso degli anni una fervida comunità di pensiero, quello delle persone incontrate per la prima volta nel loro riconoscere i tratti di una ricerca che prova un racconto non banale del passaggio che stiamo attraversando.

Il primo tratto di questo “viaggio in Italia” ci ha portati a Guardiagrele, ai piedi del massiccio della Maiella ma dalla cui famosa terrazza si vede il mare. Qui si svolge il Consiglio nazionale di Slow Food Italia. Una due giorni che inaugura l’attività di un organismo eletto qualche mese fa a Montecatini e di cui faccio parte. Molte delle persone che sono qui si conoscono da tempo, ma per me non è così. Quindi mi guardo attorno, ascolto, cerco di capire le dinamiche, rivolgo qualche domanda alle poche persone che avevo già avuto modo di incontrare.

In questi quattro mesi, dall’assise di Montecatini ad oggi, il Comitato esecutivo eletto al Congresso si è messo al lavoro, un’attività di ricognizione di un corpo complesso che costituisce il nucleo principale di un’associazione che negli ultimi anni ha assunto una dimensione internazionale con una presenza in oltre sessanta paesi. In mezzo la grande kermesse di Terra Madre a Torino, la cui organizzazione ha richiesto l’impegno di centinaia di persone, forse di più. E ciò nonostante, mi sarei aspettato che a questo primo incontro del Consiglio venisse dato un profilo più alto che non un rapporto sullo stato dell’arte.

E l’obiezione che Chengdu (il Congresso mondiale) prima e Montecatini poi hanno già indicato la strada da seguire non è sufficiente a definire un’agenda in grado di declinare gli orientamenti e le scelte di fondo in azione politica e dunque ad evitare che anche Slow Food non si ritagli uno spazio rituale, incapace di incidere sui processi reali che vanno nella direzione esattamente opposta a quel che ci proponiamo, ahimè sotto ogni latitudine.

Perché l’affermarsi di personaggi come Trump e Bolsonaro in un contesto globale già inguardabile, il riemergere del fascismo in Europa e la deriva nazionalista e populista in Italia (compreso il Trentino) fanno il paio con la riduzione del pianeta ad un immenso mercato finanziario e con gravi processi di degenerazione culturale, sociale ed ambientale di cui i cambiamenti climatici, il cibo scadente, la crisi dell’acqua, le monocolture agricole, la riduzione delle biodiversità – ovvero i nodi cruciali che investono l’impegno di Slow Food – non sono che il risultato.

Se dunque ho accettato di dedicare un po’ del mio tempo a questa associazione è perché ne colgo le potenzialità e la fondamentale intuizione che il cibo può diventare uno straordinario veicolo di inversione di questa tendenza. E così l’amore per la terra madre. Per questa ragione, nei miei quattro minuti in plenaria come nel lavoro di gruppo, provo a portare un mio contributo di pensiero proprio a partire dai segnali che la natura ci invia attorno alla nostra insostenibilità e alla necessità di far nostra la cultura del limite. Avverto sintonie e questo vuol dire che il corpo del Consiglio è reattivo. Al tempo stesso sono consapevole che la crisi dei corpi intermedi non si ferma alle soglie della chiocciolina. Penso altresì che di quel nuovo racconto di cui vado parlando, una grande rete qual è Slow Food potrebbe rappresentare un crocevia di conoscenza, di buone pratiche, di azione politica e di alleanze sui territori davvero importante. Mi congedo da Guardiagrele un po’ più ottimista di come ci sono entrato.

Quando con Gabriella ripartiamo da questo antico borgo orgoglioso di aver ospitato con il Consiglio Nazionale le espressioni regionali di Slow Food ancora piove. E sarà così fino alla successiva destinazione, San Salvatore Telesino, nel Sannio, dove ci aspetta Guido Lavorgna.

Con Guido nei mesi scorsi abbiamo condiviso il “Viaggio nella solitudine della politica”, in alcuni dei suoi itinerari come nella gestione del blog che tale viaggio racconta. Insieme a Raffaella avevano provato a trasferirsi in Trentino, molte idee e progetti, ma non ne è venuto niente, questa nostra terra negli anni si è andata inaridendo e i risultati li abbiamo visti nell’ottobre scorso.

Allora ha deciso di rientrare nelle aree interne del Mezzogiorno, trovando nella sua terra natia lo spazio cercato altrove. Guido mi racconta i progetti che intende realizzare, mi porta a vedere a Cerreto Sannita un convento che nel passato remoto era di clausura e che ora vorrebbe trasformare in un incubatore sociale. Una sfida che fa leva soprattutto sull’intelligenza e sulla fantasia, anche in considerazione che le risorse finanziarie non bastano.

Pranziamo nella casa dei genitori di Guido, fra l’altro più o meno nostri coetanei. Abitano in campagna e quello che ci offrono è il prodotto del loro lavoro, tutte cose buonissime. La loro gentilezza è un tratto di irriducibile civiltà. Noi abbiamo portato un po’ di vino, ce ne andiamo carichi di ogni ben di Dio.

Proprio a Cerreto il giorno successivo si svolge l’incontro per la presentazione di “Sicurezza”. Fuori un tempo da lupi e le strade sembrano torrenti scoscesi, considerato che l’ultima volta che hanno visto asfalto nuovo era il secolo scorso. Ciò nonostante una decina di persone ci accompagnano nella conversazione e, malgrado l’informalità dell’incontro, alla fine della mia introduzione scatta un applauso inaspettato. Fra loro anche Bruno Tomasiello, storico di San Lupo che nell’itinerario “Nelle terre dell’osso” (http://www.michelenardelli.it/commenti.php?id=4126) ci aveva accompagnati alla scoperta del Matese e dell’insurrezione anarchica del 1877. Una giornata che ricordo ancora con emozione.

Ne viene una tavola rotonda a trecentosessanta gradi che spazia sui grandi temi del nostro tempo e che mi parla di quanto bisogno pensiero pulito vi sia, laddove la politica si svolge altrimenti, fra piazze mediatiche e feudi di consenso. Gianluca prende questa occasione per parlare delle cose più scabrose, dell’oggettività della paura e del fatto che l’esito della sconfitta in queste terre ha avuto effetti ancora più pesanti, giovani in fuga tanto per cominciare, il degrado ambientale, ma anche un aumento dei furti che qui non ti saresti aspettato. Un fallimento nel fallimento. L’esperienza culturale ed artistica che ci racconta Giovanni, indica invece che anche nella difficoltà è importante investire nelle persone e nella creatività. Mentre parla mi viene in mente quando, nell’immediato dopoguerra bosniaco, insistevo sul fatto che la bellezza potesse giocare un ruolo importante nella ricostruzione sociale. Alla fine della presentazione Boris, un altro dei partecipanti, mi ringrazia per l’occasione e mi dice che quella discussione era così nelle sue corde che avrebbe potuto durare ben più delle due ore che ci siamo dati. Così decidiamo di proseguirla con chi è disponibile davanti ad una pizza.

Scendendo da Cerreto Sannita verso San Salvatore si fa fatica a decifrare il perimetro della carreggiata, come a confermare che i cambiamenti climatici di cui abbiamo parlato nell’incontro avvengono del nostro presente e che il limite l’abbiamo ormai oltrepassato.

Il mattino seguente il maltempo ci dà tregua per un paio d’ore e, salutati Guido e Raffaella, ne approfittiamo per rimetterci in viaggio. Vorremmo regalarci una serata a Napoli, mia città prediletta, ma nella capitale partenopea c’è allarme arancione e allora ci dirigiamo in altra direzione, la Ciociaria e Roma. Ci fermiamo a Isola del Liri per una breve passeggiata e per vedere le sue famose cascate, una massa d’acqua imponente i cui vapori disegnano un grande arcobaleno nel cuore del borgo. Neanche un paio d’ore di sole e torna a diluviare. E allora non ci resta che raggiungere Roma e il B&B Mammarampa (