17 novembre 1957, verso Castelfirmiano
martedì, 19 febbraio 2013
19 Febbraio 2013
Magnete
giovedì, 21 febbraio 2013
21 Febbraio 2013
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mercoledì, 20 febbraio 2013

A Cavareno, nella terza sponda della Val di Non, nevica copiosamente. Forse anche per questo o per la concomitanza con la diretta televisiva della partita Milan – Barcellona, nella sala della Cassa rurale non c’è tanta gente alla serata promossa dal PD e dedicata al tema dell’Europa. O forse è perché proprio questo tema non è nelle corde degli elettori e la cittadinanza europea rappresenta ancora un’utopia…

Ciò nonostante, bene ha fatto il circolo del PD a porre questo tema fra gli argomenti di una campagna elettorale dove al contrario di Europa si è discusso poco o niente. O, al massimo, l’Europa è stata un punto del programma di cui peraltro poco si è parlato. E nonostante il numero dei presenti decidiamo che vale la pena parlarne, come se la serata diventasse un momento di formazione piuttosto che di campagna elettorale. Perché anche di questo c’è bisogno.

E così gli altri relatori che con me condividono la serata, i candidati Laura Froner e Piergiorgio Sester, mi lasciano lo spazio per introdurre la serata alzando lo sguardo anche oltre la scadenza elettorale. E quindi parto proprio da qui, dal fatto che l’Europa deve diventare una visione, un nostro normale punto di osservazione, lo sguardo di chi crede che l’Europa debba diventare un modo di essere.

E qui dobbiamo prendere atto di quanto siamo ancora lontani da questo obiettivo. Allora cerco di sviscerare i caratteri di una cittadinanza europea, a partire dall’autoconsapevolezza di cos’è l’Europa, delle sue istituzioni e prima ancora delle geografie ai più sconosciute. E’ davvero incredibile come anche l’approccio in fondo più elementare, i contorni geografici dell’Europa, sia un’immagine piuttosto confusa nella coscienza degli stessi cittadini europei. Non pretendo che lo sia fra gli statunitensi, se
penso che l’ex presidente Bush aveva scambiato la Slovenia con la Slovacchia, ma qui sarebbe auspicabile che sin dalle scuole elementari (come nelle forme dell’apprendimento permanente) si raccontasse che cos’è l’Europa, da dove viene questo nome così da cominciare a scoprire che l’Europa nasce fuori di sé (nella mitologia Europa è la principessa figlia di Agenore, re di Tiro, capitale della Fenicia). Un’immagine paradigmatica che ci parla di un popolo mediterraneo stanziale a fronte di un continente attraversato da grandi migrazioni.

Di come si è formata l’Europa moderna, le sue lingue, i suoi costumi, le sue tradizioni. Di un’identità in continuo divenire, dove ognuno è minoranza fra tante minoranze. Così parlo di quel che ci racconta l’ultimo censimento (1910) dell’impero austroungarico, delle lingue della koiné danubiana, dei pogrom che hanno segnato la storia europea, di quel che rappresentava il Mediterraneo nell’incontro di civiltà. E racconto di come l’Europa politica nasca dallo straordinario disegno di pace del manifesto di Ventotene, scritto nel 1941 da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni nel mezzo della seconda guerra mondiale come antidoto alla guerra nell’immaginare un federalismo europeo senza intenzioni egemoniche da parte delle maggiori potenze. E nel quale, con grande lungimiranza, scrivevano: "Il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell’Europa in stati nazionali sovrani". Parole che dovrebbero essere scolpite nel sentire degli europei e che invece continuano a rappresentare – nonostante a Spinelli sia dedicato il palazzo del Parlamento Europeo – una sorta di moderna eresia.

Parlo del bisogno che abbiamo di Europa a fronte della cifra, insieme sovranazionale e locale, di ogni questione del nostro tempo. Ci si può non sentire cittadini europei, ma nell’interdipendenza gli stati nazionali sono troppo piccoli per affrontare i problemi indotti dalla globalizzazione e troppo grandi per mettersi in sintonia con i territori, ovvero i luoghi nei quali le tendenze si materializzano.  E dove è possibile immaginare risposte dettate dall’unicità dei luoghi, richiedendo una capacità progettuale e politica non delegabile a forme ed istanze come i partiti nazionali ormai fuori scala.

So bene che quando parlo di questo, anche nell’ambito di partito nazionale come il PD, il mio stesso pensiero diventa eresia. Ma non è certo questo che mi preoccupa. Mi preoccupa piuttosto vedere come la politica su questi temi nemmeno s’interroghi, di come sia al carro degli avvenimenti anziché produrre visione, pensiero, ruolo pedagogico. Di come ancora oggi, a settant’anni da quel manifesto, siamo lontani dall’idea di mettere in discussione la sovranità degli stati nazionali. Il che lo si evince anche dallo stesso confronto che abbiamo fra i relatori e le persone presenti in questa fredda serata di febbraio.

Alla cessione di sovranità da parte degli stati nazionali verso l’Europa dovrebbe corrispondere una altretanto significativa cessione di competenze alle autonomie locali e per questo Fabrizio Paternoster mi chiede di illustrare il progetto di nuova Regione che abbiamo presentato nei giorni scorsi a Trento. In realtà il tema è lo stesso, perché se un terzo statuto di autonomia prima o poi prenderà forma, questo o sarà all’insegna dell’Europa delle regioni o semplicemente non sarà. L’Europa, per l’appunto, è una visione.    

Speriamo che l’esito elettorale di domenica e lunedì prossimi segni una svolta rispetto al buio degli anni passati, ma sono persuaso che questa sarà solo la condizione preliminare per poter ricostruire non solo questo paese e un’Europa che fatica ad imporsi nell’immaginario collettivo prima ancora che sul piano politico, ma anche una nuova narrazione politica. Leggo negli occhi di Alessandro, Fabrizio e Rolando, amministratori locali e animatori del circolo, la consapevolezza di quanto vi sia da lavorare ma anche la fascinazione verso un disegno politico ancora solo tratteggiato.

PS. In primo piano potete trovare il testo di un mio intervento in Consiglio Provinciale dedicato proprio al sogno europeo.

1 Comment

  1. stefano fait ha detto:

    Nessun progetto europeista può decollare finché si mette di traverso un governo tedesco (anche se vince la SPD non cambierà nulla) che ha inciso come su una tavola delle leggi i principi unici ed inaggirabili del retto pensare e del retto agire.

    Il modello economico tedesco
    1. Mantenere il tenore di vita dei cittadini tedeschi nel loro complesso in sostanziale e costante declino (i redditi medi reali sono scesi del 4,5% tra il 2000 ed il 2010, mentre l’economia è cresciuta);
    2. Far crollare quello delle fasce povere (redditi reali per il 20% più povero in diminuzione del 16% tra il 2000 ed il 2010);
    3. Far aumentare la disuguaglianza (record tedesco tra il 1990 ed il 2010, con un aumento di ben 4 punti nel coefficiente di Gini);
    4. Avere un boom di “mini” posti di lavoro a tempo determinato che offrono pochi diritti, nessuna sicurezza e nessun potere contrattuale;
    5. Avere un boom del numero di lavoratori la cui sopravvivenza, a causa dei loro bassi redditi, dipende dal welfare finanziato dai contribuenti;
    6. Ridurre sensibilmente i consumi interni attraverso queste misure;
    7. Aumentare le esportazioni attraverso le suddette misure (costo del lavoro in caduta in conseguenza del fatto i salari non hanno tenuto il passo con la produttività o l’inflazione);
    8. Avere una moneta il cui valore non riflette la forza competitiva del paese (dal momento che è svalutata come risultato della depressione economica degli altri membri dell’unione);
    9. Insistere sul dimagrimento dello stato, i tagli ai servizi pubblici ed al welfare, la privatizzazione e ‘liberalizzazione’ del mercato del lavoro in altri stati membri. Insistere su tutto questo a prescindere dalle circostanze in cui si trova ad operare il governo sotto pressione (che sia la Grecia in deficit disastroso o l’Irlanda che aveva un bilancio in attivo fino al collasso bancario: pari sono);
    10. Cercate di bandire per sempre qualunque politica economica che non sia neoliberista, indipendentemente dalla volontà popolare o degli stessi governi e parlamenti, insistendo sulla verifica ed approvazione dei bilanci da parte delle autorità europee e sull’austerità,a prescindere dalle conseguenze per le popolazioni (es. disoccupazione giovanile sopra il 50%);

    P.S. Non mi è chiaro perché ti ostini a voler eliminare gli stati nazionali invece di limitarti a parlare di un loro ridimensionamento, come facciamo io e Mario Raffaelli (e tanti altri).
    Ti aspettavano sotto casa quand’eri ragazzino per picchiarti e te la sei legata al dito? ;oD
    I nazionalismi non hanno certo bisogno di una cornice statale per uccidere.