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martedì, 19 febbraio 2013

Regione d’Europa

Non vorrei che il motivo fosse che ne ero coinvolto in prima persona, ma credo che una delle iniziative più interessanti svoltesi nel corso di questa strana e insidiosa campagna elettorale in Trentino è stato l’incontro di lunedì scorso per la presentazione del documento sul futuro della Regione.

Si è trattato di uno dei pochi sforzi di elaborazione collettiva che abbiamo saputo realizzare nel corso di questa legislatura (e che abbiamo deciso di presentare forzando un po’ la mano rispetto alle timidezze e alle ritrosie che pure percorrevano il gruppo consiliare come il partito), attorno ad un tema certamente delicato ma che richiedeva e richiede di rompere gli indugi ed indicare una possibile strada da seguire nella riforma del nostro assetto istituzionale.

Ed il messaggio che ne è venuto è sembrato forte e chiaro: togliere di mezzo l’equivoco delle competenze quand’anche residuali che svolge la Regione, concentrarsi su un ruolo di coordinamento e di indirizzo politico attorno ai temi che segnano le nostre interdipendenze, collocare il terzo statuto nella cornice europea ed infine indicare le modalità partecipate (l’istituto della Convenzione) attraverso le quali giungere alla riforma, sottraendo la discussione alla sfera dei soli addetti ai lavori e al tempo salvaguardando la sovranità istituzionale (l’ultima parola) tanto alle Province come al Parlamento.

Tante persone, qualche distinguo ed un generale apprezzamento alla proposta che abbiamo elaborato con Francesco Palermo, Mauro Cereghini e Paolo Pasi. Ci tenevo ad evitare che la legislatura regionale si chiudesse senza nemmeno lasciare una testimonianza di come pensare la Regione del futuro e di quel che si potrebbe fare in questa direzione anche a statuto invariato. Staremo a vedere se la carovana che abbiamo messo in moto saprà attraversare il deserto. Ma intanto anche su questo argomento tutt’altro che trascurabile (e che faceva parte degli impegni che mi ero assunto nella campagna elettorale) abbiamo battuto un colpo.

L’immigrazione nella campagna elettorale

Nella sede storica (politicamente parlando) di via Tartarotti di Rovereto l’incontro è dedicato ai nuovi trentini, quelli che la cittadinanza l’hanno presa dopo anni di lavoro e quelli per i quali è ancora un miraggio. La sala è piccola ma affollata, molte le persone di origine mediterranea o balcanica. Dopo la bella introduzione del segretario del circolo Fabiano Lorandi, inizio con il dire che non dovremmo avere timore di affrontare questi temi in campagna elettorale, anzi avremmo dovuto rispondere a tono in maniera più forte a chi fa della paura e del rancore il cuore della propria campagna elettorale.

A cominciare da quei volgari cartelli dei 2.000 euro che il Trentino darebbe agli extracomunitari che non lavorano. Perché la normativa che ci siamo dati con le manovre anticrisi, il reddito di garanzia e le forme di tutela dei minori e del loro diritto allo studio, valgono per ogni persona residente da almeno tre anni a prescindere dal colore della pelle, dalla sua religione o dalla lingua parlata. Ne ho già parlato in questo diario e non mi ripeto.

Nel mio intervento cerco piuttosto di affrontare i nodi culturali che sono alla radice delle paure, della fatica di mettersi in relazione con chi è diverso da noi, di come si sono formate le identità nazionali fra popoli che nemmeno parlavano la stessa lingua, di come i saperi e le tradizioni si sono incrociati lungo le sponde del Mediterraneo o nelle migrazioni europee… della necessità di recuperare la memoria del nostro stesso passato, di una comunità che tende a dimenticarsi troppo in fretta quella stessa condizione di migrante che è scritta nella storia di ogni famiglia trentina.

Interrogo i presenti sul significato di quella parola, interculturalità, di cui spesso ci riempiamo la bocca quando nemmeno conosciamo le storie e le geografie, o quasi fosse l’antidoto verso conflitti assolutamente normali e fisiologici quando diversi modi di vivere e di relazionarsi si incontrano. E infine parlo della necessità di passare dall’accoglienza alla cittadinanza e di come tale passaggio richieda politiche adeguate ed attente a come stanno cambiando i fenomeni sociali, non ultimo quello delle seconde generazioni, ovvero dei ragazzi trentini figli di immigrati, senza dimenticare cha la rivolta delle banlieue (le periferie delle grandi città) in Francia aveva esattamente a che fare con le contraddizioni espresse da ragazzi nati in un paese che per effetto di una cittadinanza mutilata li disconosceva.

La riflessione prosegue con l’intervento di Piergiorgio Sester, candidato per il PD alla Camera dei Deputati, e poi dei presenti. Ci sono persone che per la prima volta prendono la parola pubblicamente per descrivere la loro condizione o anche semplicemente il loro riconoscimento verso questa terra che li ha accolti. Anche solo per questo valeva la pena promuovere questo incontro. Perché prendere la parola è già un atto di cittadinanza.

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