
sabato, 23 marzo 2013
15 Maggio 2010
lunedì, 17 maggio 2010
17 Maggio 2010Spero di sbagliarmi, ma non credo affatto che le piazze di Grillo siano piene di curiosi. Certo, ci saranno anche quelli, ma il dato va colto come un segnale politico che – come del resto ci dicono i sondaggi – tende a coinvolgere un numero crescente e non trascurabile di persone.
Non nascondo la preoccupazione per l’involuzione, ancora una volta all’insegna del populismo di stampo qualunquista e autoritario, a cui sembra andare incontro questo nostro paese senza memoria. Ma sarebbe sbagliato se liquidassimo il "grillismo" (come già facemmo con il leghismo vent’anni fa) senza provare a capire la natura del danno sociale da cui trae origine.
Ho continuato ad insistere in questi mesi sul fatto che l’uscita dal berlusconismo non potesse avvenire semplicemente con un voto (peraltro incerto) che rilevasse la delusione degli italiani per le promesse mancate. Sarebbe come prendersela con il fascismo perché ha perso la guerra… Come la fine di quel ventennio avvenne solo in parte attraverso l’elaborazione collettiva di quel che aveva rappresentato il fascismo, così oggi la fine della cosiddetta seconda repubblica avviene senza un diffuso esame di coscienza dei guasti – culturali prima ancora che sociali – prodotti dal neoliberismo nella sua variante berlusconiana.
La natura del danno, dicevo. Come sia cambiato questo nostro paese negli ultimi vent’anni dovrebbe essere materia di studio prima ancora di indagine politica. Lo spaesamento, la perdita di identità sociale e l’individualismo diffuso, non svaniranno con la pure auspicabile uscita di scena del Cavaliere o con la crisi della Lega. Lo spaesamento rimane e continuerà a regalarci i suoi
frutti velenosi, come stiamo vedendo.
Nelle scorse settimane ho parlato di "diciannovismo" – quel particolare contesto di sconfitta sociale e di rancore post bellico che diede il là al fascismo – per descrivere questo nostro tempo. Quella stessa opacità di sguardo e quegli stessi umori mi sembra di coglierli in questo clima dove la politica è sinonimo di malaffare, il lavoro e la cultura sono disprezzati, la volgarità motivo di sorriso.
Un tempo polveroso, nel quale Beppe Grillo riempie ovunque le piazze. Il suo è uno sproloquio dove sotto accusa sono tutti, la politica, i sindacati, la magistratura, l’euro, lo stesso presidente della Repubblica … la nostra stessa autonomia. Nessuno gli chiede spiegazione di un movimento di cui è padre-padrone e, laddove c’è il rischio che questo accada, come poteva capitargli sabato scorso su Sky, nemmeno si presenta.
Più ci si avvicina al voto, più questa polvere sembra crescere. Per questo vale la pena, nel corso di quest’ultima settimana di campagna elettorale, non lasciare nulla di intentato. Non perché possano svanire i guasti, ma perché l’affermarsi del centrosinistra è forse l’unica condizione per cercare di ricostruire quel tessuto sociale e culturale che rappresenta la condizione prima per uscire dal buio.
1 Comment
Che si debba fare ogni sforzo affinché “Italia bene comune” si affermi è fuori discussione. Ciò non toglie che, come nella miglior tradizione letteraria, la voce del criticone di turno mantenga la sua utilità. La satira di Crozza è utile, ma non basta; anche la comicità tragica di Grillo, come giustamente osserva Michele, deve farci riflettere. In diretta streaming dall’auto che da Bolzano lo portava a Trento per la tappa dello tsunami tour traggo a memoria dal colloquio fra Beppe Grillo e l’informatico che lo accompagna. Chiede Grillo: “dove ci dirigiamo per il comizio? “ risposta : “ci dirigiamo verso il monumento a Dante, quello che fu girato più volte verso l’Italia o l’Austria”. L’affermazione deve essere apparsa anche a Grillo alquanto stravagante se l’ex comico, oggi capo popolo, così si espresse durante il comizio (cito sempre a memoria): “Il monumento a Dante, con la mano rivolta verso nord, indica la strada per le piccole e medie imprese in difficoltà in cerca di finanziamenti, ed è la strada che porta alle banche tedesche”. Potremmo dire, pescando dal repertorio di un altro politico barricadiero, che Grillo ci ha azzeccato: anche il mondo della cooperazione trentina sta guardando a nord nell’ansiosa ricerca di capitali che possano coprire le future spese di investimento, strada intrapresa in passato da Bruno Kessler, ma con scarsi risultati. Di questa campagna elettorale, la più impolitica della storia repubblicana, rimarranno poche tracce nei futuri annali trentini: un unico comizio ben riuscito di Grillo in condizioni climatiche non proprio favorevoli, il dilagare della propaganda pattina nella città di Trento grazie all’attivismo di Franco Panizza, qualche eco della brillante campagna sudtirolese della coppia Palermo-Krombichler. Per il resto, malinconici dibattiti condotti da un notabilato al tramonto. Per rispondere all’estremo bisogno di buona politica di cui parla Alberto Faustini bisognerà attendere un’altra occasione. La più vicina, e per noi decisiva, è quella delle elezioni regionali d’autunno, dove ci troveremo di fronte ad un quadro terremotato a dir poco. Approfittando del voto in libera uscita, perché tale è considerato alle nostre latitudini quello relativo a Camera e Senato, i cittadini daranno il 24 febbraio libero sfogo alle frustrazioni accumulate: tracollo della SVP, punizione dell’ondivago movimento dellaiano, confluito in un centrismo montiano anacronistico, crescita della destra tedesca e ridimensionamento del Partito Democratico. A proposito del maggior partito italiano, confluito nell’alleanza “Italia bene comune” e reduce dalla brillante prova partecipativa delle primarie, viene il sospetto che da leader consapevole di portare sulle spalle la responsabilità del governo del Paese, Bersani si sia effettivamente dimesso da segretario del Partito a nostra insaputa, ma che l’apparato, timoroso di perdere rendite di posizione, l’abbia sostituito con un sosia come nel bel film di Roberto Andò “Viva la libertà”. Del populismo berlusconiano, fenomeno residuale, insieme a quello del non più fido scudiero leghista, conta poco parlarne: l’essere sopravvissuto per mezzo della compravendita di parlamentari non porterà fortuna all’uomo di Arcore, perché a differenza di Lincon, come ci ricorda il film di Spielberg, non è ricorso a questi mezzi per una giusta causa. L’autunno quindi, di fronte al fallimento di un intero ceto politico e alle improbabili ricette offerteci da nuovi santoni della legalità che sanno molto d’antico, avrà, almeno qui da noi, il sapore comunitario delle passate stagioni, quelle raccontate dal poeta Borgogno, dove la solidarietà e l’amore per la propria terra tornerà ad essere l’imperativo categorico, a fronte di una crisi economica senza precedenti. Non mancheranno donne ed uomini di buona volontà capaci di rimboccarsi le maniche e, quale silenzioso moto di popolo, tornare ad essere protagonisti del proprio destino.