
mercoledì, 23 gennaio 2013
23 Gennaio 2013
giovedì, 31 gennaio 2013
31 Gennaio 2013Nel viaggio di ritorno da Roma avverto una stanchezza profonda. Eppure gli incontri che ho avuto e la lezione che ho tenuto sono stati positivi ed apprezzati, l’accoglienza calorosa. Ciò nonostante sento quanto sia distante il mio pensiero dal film che si svolge intorno a me.
La libreria "Le Storie" è affollata di gente, con alcune di queste persone si è sviluppato nel tempo un vero e proprio itinerario di pensiero. E’ la quarta volta che mi invitano alla Scuola di formazione politica "Danilo Dolci", qui nei pressi dell’università Roma Tre dedicata a Federico Caffè, l’indimenticabile economista che il 15 aprile 1987 decise di far perdere le proprie tracce, congedandosi lasciando sul suo comodino gli occhiali, l’orologio, le chiavi e nulla di scritto che non fossero i suoi libri, i suoi articoli e le sue lezioni[1].
Silvano Falocco, che della scuola è un po’ l’animatore, è fin troppo attento a quel che dico o scrivo in questo blog e così il tema che mi chiede di affrontare ha un titolo insieme accattivante e provocatorio dopo tanto parlare di rottamazione e in qualche modo connesso con la dura scelta del silenzio di Caffè: "La bellezza del passare la mano". In tempo di elezioni, un argomento possiamo dire piuttosto inusuale.
Quel che provo a dire non lascia nulla alla ricerca del consenso: sulla formazione delle classi dirigenti, sul tormentone delle regole nel ricambio dei partiti, sulla volgarità della rottamazione e sulle primarie come espressione della democrazia nel tempo dell’antipolitica. Ne approfitto anche per misurare la reazione "romana" all’idea di immaginare nuovi scenari – europei e territoriali – della politica, annunciando che in primavera allo zaino delle terre alte si affiancherà una topolino amaranto. La mia relazione è a braccio, il tempo di scriverla e la troverete sul sito. Posso dire che per oltre tre ore di conversazione non si muove nessuno e potremmo anche proseguire se Silvano non fosse così rigoroso nel rispettare i tempi. La scuola è scuola, tanto che quando propongo loro un viaggio di studio nell’"Europa di mezzo" la risposta è entusiastica. Non so quando troverò il tempo…
Dedico la giornata successiva ad una serie di incontri: con il prossimo direttore responsabile di "Terre" Sergio Bellucci, con l’amico Ali Rashid per concordare le tappe del nostro prossimo viaggio in Palestina, con il regista Aldo Zappalà per la "winter school" sulle mafie che avrà luogo agli inizi di marzo in Trentino su iniziativa del Forum e di Libera.
Nel centro di Roma sfrecciano le auto blu, fra i commenti sdegnati della gente. C’è una moltitudine di persone che ad ogni angolo chiede l’elemosina e non sono immigrati, come non lo sono le persone che esibendo un cartello gridano il loro essersi ritrovati poveri. Sono tempi di proteste solitarie. O invisibili, come quei manichini senza volto, ma con occhiali e cappello quasi ad esibire il fantasma delle loro esistenze. Quelle che si vedono fanno paura, come nel caso dei giovani fascisti che manifestano con i loro simboli cupi davanti alla sede del Monte dei Paschi di Siena.
Segno dei tempi è anche la scomparsa di molti dei luoghi storici del Novecento italiano. Rimangono le vie, certo, ma in quei palazzi di via del Corso o di piazza del Gesù… non c’è traccia di quel che rappresentavano. Passo in via Tomacelli, dove un tempo c’era la storica sede del quotidiano "il manifesto": mai come in questo caso un trasloco ha assunto un significato così simbolico, anticipando la crisi di un giornale che oggi non ha più nulla da dire. Anche il vecchio Palazzo delle Botteghe Oscure, che per tutto il secondo dopoguerra ha incarnato il PCI, appare in stato di abbandono (e abbandonato lo è in effetti da anni), come se quella storia fosse troppo ingombrante anche per qualche gruppo finanziario o immobiliare.
Quanto mi appare diversa Roma da quella che ho vissuto a metà degli anni ‘80. Nell’osservare i luoghi, i palazzi del potere come le persone che vi bazzicano attorno e che mi sembrano tutti uguali, ho come la sensazione di toccare con mano il suo declino. Il potere in realtà è da tempo altrove, anche se qui in pochi sembrano accorgersene. Occorrerebbero altri sguardi ed è la ragione per la quale ancora mi ostino a venire di tanto in tanto in questa città.
[1] "Scomparve nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 1987. Uscì di casa in punta di piedi per non svegliare il fratello e in una fuga priva di testimoni, protetta dalle tenebre, si dissolse nel nulla. Aveva sessantatre anni. Si chiamava Federico Caffè. Era professore fuori ruolo di Politica economica e finanziaria alla facoltà di economia e commercio dell’Università di Roma. Godeva di un grande prestigio intellettuale ed esercitava notevole fascino, soprattutto sugli studenti". Ermanno Rea, L’ultima lezione. Einaudi, 1992