
mercoledì, 16 gennaio 2013
16 Gennaio 2013
mercoledì, 23 gennaio 2013
23 Gennaio 2013Nonostante io sia invitato permanente alle riunioni del Coordinamento e dell’Assemblea del PD del Trentino, non facendone parte in genere non vi partecipo. Non per sufficienza, né per mancanza di senso di responsabilità, semplicemente come necessità di darsi delle priorità e il tempo per vivere.
In questi cinque anni ho guardato al PD come un possibile luogo di fluidificazione delle idee, nella speranza di costruire nuove sintesi culturali e politiche. La sua carta etica esprimeva il bisogno di una nuova visione che potesse nascere dal superamento dei paradigmi novecenteschi connessi alle storie politiche che vi confluivano. Ciò non è avvenuto e fatico ad immaginare che almeno a breve possa avvenire. Ciò nonostante si tratta di uno spazio ampio ed aperto, nel quale tenere in protezione – diciamo così – e mettere in gioco il proprio bagaglio politico culturale, almeno fin quando non sapremo costruire nuove scenari.
Non nascondo che spesso mi trovo in disaccordo con le posizioni espresse dal partito a livello nazionale, ma al tempo stesso è necessario riconoscere che in questa nostra terra la nascita del PD è stata il risultato di un significativo lavoro di scomposizione e ricomposizione al quale hanno concorso, accanto al filone storico proveniente dal PCI/PDS/DS, una parte della Margherita, i soggetti locali che hanno reso originale la sinistra trentina e infine tante persone per le quali il PD del Trentino è stata la prima esperienza politica, in un mix dove nessuno poteva vantare egemonie.
Ciò nonostante, continuo ad essere convinto che il percorso avviato nel novembre 1989 e che negli anni successivi ha ridisegnato la politica trentina non debba essere considerato concluso: l’ho detto più volte in questi mesi e l’ho ribadito anche nel mio intervento sulla legge finanziaria 2013.
Ciò detto, quello che era in ballo nello scorso fine settimana nell’accordo sul Senato e nella scelta delle relative candidature non era ininfluente, né rispetto alla necessità di valorizzare il percorso fin qui realizzato, né tanto meno rispetto alla possibilità di proseguire l’esperienza di governo dell’autonomia nella prossima legislatura, magari riuscendo ad affrontare le criticità che nel tempo si sono evidenziate. E dunque ho deciso di partecipare in questo fine settimana alle riunioni del Coordinamento dove si assumevano le decisioni più importanti, per verificare la possibilità di indicare strade nuove di fronte allo stallo in cui c’eravamo cacciati e per condividere comunque le scelte anche più impopolari in un momento non facile.
Le strade nuove (l’azzeramento che con altri avevo auspicato) non si sono potute percorrere per i vincoli che abbiamo incontrato, quelli che sono venuti da Roma come quelli (forse ancora più pesanti) che incautamente ci siamo dati (il voto dell’assemblea di Trento su tutti). Possiamo riparlarne…
Quello su cui ora però voglio insistere è la giustezza dell’esserci fatti carico della situazione che stava per precipitare verso la rottura. Nell’optare infine per il collegio senatoriale di Pergine Valsugana ci sta una scelta che ho condiviso e intendo sostenere fino in fondo, quella di prendere su di noi come soggetto politico maggioritario del centrosinistra autonomista trentino la responsabilità di tenere unita la coalizione, di scegliere di accettare la sfida del collegio forse più difficile, della consapevolezza che agli elettori del PD dei collegi di Trento e di Rovereto è richiesto un atto di maturità nel sostenere le candidature proposte dal PATT e dall’UpT, nell’obiettivo di portare in Senato sei senatori su sette (il settimo va al perdente con il resto più alto).
E, insieme, nel guardare alle elezioni di autunno senza aver introdotto un elemento di rottura che avrebbe messo in discussione un laboratorio come quello trentino a cui si è guardato e si guarda da ogni parte d’Italia. Nella consapevolezza, certo, che si poteva fare di meglio, ma anche che al punto in cui si era quello stesso laboratorio rischiava di trasformarsi nel suo opposto. Altro che calare le braghe!
In queste ore ricevo decine di messaggi e di telefonate. Elettori abituati ad essere esigenti e che mal sopportano candidature che poco corrispondono ai valori in cui credono. Emergono, certo, i limiti di una coalizione che non ha curato a sufficienza la crescita di un sentire condiviso e dove lo stare insieme si basava sulla figura di un leader come Lorenzo Dellai quale garante di un equilibrio che ora ci appare in tutta la sua fragilità. Dovremo lavorarci, e non poco. Insieme emerge anche una visione estetica, che non vuole comprendere come il PD in Trentino rappresenta, per bene che vada, un terzo scarso dell’elettorato.
E allora, come non vedere che il patto PD – SVP – Patt a sostegno di Bersani, così come l’accordo politico con l’UpT che garantisce l’orientamento degli eletti in Parlamento in continuità con l’esperienza del centrosinistra autonomista in Trentino, rappresentano un fatto storico che potrebbe rivelarsi decisivo nel conquistare la maggioranza anche al Senato dove, come sappiamo, ce la giocheremo per pochi voti?
Dovremo aver imparato che dalle macerie è più difficile ricostruire… No, non intendo prestarmi al gioco al massacro di chi punta l’indice accusatore su qualcuno. La politica è altra cosa, tanto dal diritto quanto dalla teocrazia. Politica significa imparare ad abitare le contraddizioni, per farle evolvere. Senza per questo rinunciare ad imparare dagli errori.
5 Comments
caro Michele,
va bene che in campagna elettorale la propaganda richiede il massimo di “patriottismo coalizionale”, ma la lettura critica di quanto è avvenuto a livello di candidature in questa ex-provincia autonoma e dei possibili esiti delle scelte (conquista coalizionale di due soli deputati (Nicoletti e Dellai) e di un senatore PATT è ancora possibile?
Ti giro la mia riflessione aggiornata alle novità di ieri.
Vincenzo
Definito il quadro delle candidature per Camera e Senato, emerge chiaramente il dato della sempre più marcata marginalità del Trentino; ancora una volta la questione sudtirolese ha finito per prevalere, sul tavolo dei decisori politici, su ogni altra considerazione. Per il centrosinistra l’accordo strategico fra la SVP e il cartello “Italia bene comune” allargato ai Grune ha dato luogo alle due candidature autorevoli di Francesco Palermo al Senato e di Florian Kronbichler alla Camera, mentre per il centrodestra l’egemonia berlusconiana trova la sua riconferma nella figura di Micaela Biancofiore. Il Trentino si presenta ai blocchi di partenza della campagna elettorale fortemente marginalizzato, e ciò fa pensare ad un futuro molto critico riguardo la sostenibilità di una sua speciale autonomia dentro un quadro regionale ormai profondamente compromesso. Alla vigorosa ripresa di una tendenza bipolare a livello nazionale si assiste così nel Trentino, sempre più piccolo e solo, come avrebbe detto Bruno Kessler, ad una ripresa di un’opzione centrista incardinata sul partito delle due stelle alpine, che rivendica per l’autunno la guida del governo provinciale. La prospettiva è quella di un ritorno alla prima repubblica, al prevalere del voto di scambio, con tanti saluti al bipolarismo maturo e responsabile avviato negli anni novanta del secolo scorso. Mattia Civico invita il popolo di centrosinistra, da sempre fedele all’obbedisco garibaldino, a seguire disciplinatamente le indicazioni di voto per il Senato della Repubblica che vengono dalla inedita coalizione a tre (PATT-PD-UPT) che in Trentino ha preso il posto di “Italia bene comune” per la quale in tanti ci siamo spesi in questi ultimi mesi di primarie. L’accogliere l’invito di Civico non ci impedisce dal dare una lettura critica riguardo all’intera vicenda: della coalizione originaria di centrosinistra autonomista che ai primi di gennaio aveva iniziato ad affrontare il nodo dei collegi senatoriali si sono perse le tracce, e il risultato finale non poteva che risentirne. Il vero vincitore della lunga e tormentata partita a scacchi per i collegi senatoriali del Trentino ha un nome ed un cognome: Franco Panizza. Il segretario del PATT ha dato scacco matto a tutti, trovando a Roma la sponda giusta per raggiungere il risultato che si era prefisso, diventare il senatore di Trento. Conoscendo l’abilità manovriera e la tenacia degli abitanti delle terre da cui il nostro proviene, la cosa non deve sorprendere: la tavola clesiana ci ricorda che la cittadinanza romana fu presto data ai nonesi per sanare una situazione ormai imbarazzante: molti di essi nella Capitale ricoprivano da tempo cariche pubbliche che per consuetudine andavano assegnate a cittadini romani. Una sanatoria dunque, che oggi vale anche per gli aderenti al PATT, per i servigi resi al centrosinistra in questi anni, consistiti nell’aver fatto argine in Trentino al dilagare leghista. Gli altri attori escono piuttosto acciaccati dalla tenzone: come nello scontro fra Orazi e Curiazi ad uno ad uno gli altri pretendenti sono stati costretti a soccombere: il PD, che ha dovuto rinunciare all’ambito seggio (si tratta pur sempre di Trento capitale regionale) per il pluridesignato Giorgio Tonini, l’UPT che per il proprio capogruppo provinciale Giorgio Lunelli ci aveva fatto più di un pensiero. Pensando agli scenari futuri, con la Provincia autonoma destinata ad un severo ridimensionamento e al conseguente riproporsi dell’autonomia municipale come uno degli ambiti strategici del buongoverno (il recupero della città come presidio civile di tipo premoderno!) la figura del senatore di Trento diventa cruciale. Nel cinquecento fu il noneso Bernardo Clesio a dare un’impronta rinascimentale italiana alla città destinata ad ospitare il Concilio e a confrontarsi con il Nord protestante, negli anni sessanta del secolo scorso fu il solandro Bruno Kessler a fare di Trento la stazione di posta italiana ai confini con il mondo germanico. La sfida per Trento, mortificata nella sua municipalità dall’incombere di istituzioni locali sovraordinate, torna ad essere della portata di quelle appena indicate. L’augurio è che il futuro senatore, forte del consenso che potrà derivargli anche dai territori delle valli del Noce e dalla ripresa di una centralità statuale da cui è derivata a Roma anche la sua personale investitura, si dimostri all’altezza del compito: la caratteristica del collegio uninominale è quella di stabilire uno stretto contatto fra l’eletto e il suo territorio, ed in particolare con l’autorità municipale di Trento, il cui ruolo come si è detto andrebbe urgentemente potenziato. Si tratta ora, ma il futuro senatore ne è ben consapevole, di armonizzare le pur legittime identità trentino tirolesi di parte degli elettori del suo collegio con una millenaria tradizione, quella schiettamente italiana di una città ai confini del mondo germanico, aperta al dialogo e insieme gelosa custode delle proprie tradizioni. Nella malaugurata ipotesi che tutto ciò non dovesse realizzarsi, e ci si dovesse ritrovare in una sorta di terra di nessuno, abitata, per dirla con Musil, da uomini senza qualità, l’anima di Trento, quella narrata da Dante Sartori, non tarderebbe certo ad esprimere il suo severo giudizio.
E’ facile criticare l’accordo per le elezioni al Senato della Repubblica trovato tra le tre forze politiche che governano la provincia di Trento.
Per farlo basta, per esempio, osservare quanto avvenuto nella vicina provincia di Bolzano e confrontarlo con quanto successo in provincia di Trento. In quella provincia il PD è riuscito a fare un accordo politico con la SVP che ha determinato una presa di posizione politica di sostegno al centrosinistra e questa intesa ha determinato che per la prima volta la SVP ha abbandonato la tradizionale politica “blockfrei”. Quell’accordo politico è frutto della capacità delle forze politiche del Sudtirolo di fare un passo indietro, per farne di più in avanti, e ha avuto la conseguenza di riuscire a trovare una candidatura condivisa (anche se non da tutti, basta pensare alle riserve del presidente della provincia di Bolzano) nella persona del costituzionalista Francesco Palermo. Candidatura che. Oltre tutto, ha trovato consensi anche fuori dai contraenti il patto. In Alto Adige è successo anche altro: i verdi locali hanno ragionato non per schemi identitari da nicchia e si sono schierati per il centrosinistra aderendo con un loro candidato (anche questo fuori dai rigidi schemi di formazione politica) alla lista di SEL, alleata stretta del PD. Tutto questo è stato anche favorito dalle rinunce del personale politico coinvolto (per un verso Bruegger e Frena, per un altro Margheri). L’accordo politico trovato in Sudtirolo ha influenze anche sul Trentino, considerato che i contenuti parlano dell’autonomia e di argomenti non estranei al territorio del Trentino, uno per tutti la questione dell’energia che nell’agenda Monti (alla faccia di Dellai) verrebbe sottratta dalla gestione delle autonomie speciali di Trento e Bolzano. Altra conseguenza è stata l’adesione anche del locale partito autonomista alla coalizione di centrosinistra anche per le elezioni nazionali, fatto non scontato.
Se confrontiamo quanto descritto con quello che è successo a Trento è evidente la differenza. Qui si è parlato principalmente di nomi, a partire dalle primarie per i parlamentari dove non è mai emersa la differenza programmatica o di contenuti delle diverse proposte e non è mai stato fatto un bilancio dell’attività dei parlamentari uscenti ma si sono privilegiate altre caratteristiche che potevano andare dall’età alla collocazione territoriale nelle regione o provincia, fatti legittimi e degni di attenzione ma non per sé dirimenti.
Sembra mancata quindi quella capacità di guardare oltre l’immediato e di legare le candidature ad un progetto più vasto.
Però anche i commenti negativi all’accordo sembrano avere lo stesso difetto. Si è sentito fare una contrapposizione tra le candidature di Trento e Bolzano come se le elezioni non fossero per il parlamento nazionale e per lo stesso collegio. Come se Gnecchi o Palermo non potessero rappresentare anche gli elettori del Trentino. Si è parlato di Nicoletti e Gnecchi come se fossero candidati imposti quando uno è il vincitore delle primarie di Trento e l’altra la vincitrice di quello di Bolzano. Questo senza nulla togliere ai dubbi sulla designazione a capolista di Bressa, non tanto perché non possa essere designato un capolista da un partito che ha anche necessità e visioni nazionali che superano le singole realtà territoriali in elezioni del parlamento nazionale ma in quanto già derogato avrebbe potuto sottoporsi al vaglio delle primarie come sui colleghi anche più conosciuti come, per esempio, la senatrice Finocchiaro. C’è stata una strana gara tra i diversi collegi a scaricare i candidati di altri partiti, come se la candidatura di Panizza, per esempio, fosse più accettabile se a votarlo dovessero essere quelli della zona di Rovereto o della Valsugana rispetto a quelli di Trento (il ragionamento può essere fatto a parti invertite). Dimenticando che qualsiasi candidatura di partiti diversi dovrà avere i voti degli elettori degli altri raggruppamenti politici, per cui la sofferenza degli elettori del PD avrà una pari sofferenza negli elettori del PATT e dell’UPT (a meno di pensare che solo gli elettori del PD abbiano una coscienza politica forte mentre a tutti gli altri qualsiasi offerta è indifferente)
In realtà si era di fronte a due esigenze di fatto contraddittorie che avrebbero dovuto essere governate con attenzione proprio perché entrambe necessarie: la prima era trovare i modi migliori per far vincere una proposta di governo del centrosinistra, ossia la coalizione “Italia bene comune”, la seconda di non mettere in crisi anzi, se possibile, rafforzare la proposta politica al governo della Provincia di Trento che, pur con tutte le critiche possibili, è stata comunque un argine alla destra trionfante in tutto il nord e in buona parte d’Italia con i guasti specie sul piano sociale che è possibile facilmente riscontrare. Due obiettivi che sono entrati in contraddizione con la scelta di Dellai di candidare con uno schieramento diverso e, ma questa è una questione dell’UPT, che si pone in maniera contraria alle politiche attuate in provincia (del resto tutti i contrasti e contenziosi della provincia con lo stato di questo ultimo anno ne sono la dimostrazione come ne è una dimostrazione il fatto che l’unico dello schieramento che sostiene Monti che parla di eventuale accordo col centrosinistra sia proprio Dellai che non ha nessun peso nazionale).
In questo quadro difficile e contraddittorio era possibile conciliare queste due esigenze con una forte presenza della politica che è mancata. L’accordo tra PD, SVP e PATT ha visto l’assenza proprio del PD provinciale. Tale accordo ha vincolato positivamente il PATT al centrosinistra ma ha anche vincolato le candidature al Senato, nel senso che tutte le parti avendo pari dignità (salvo pensare che in un accordo uno ha solo vincoli) hanno avuto il diritto a vedersi riconosciuta una presenza fisica nelle candidature.
La soluzione trovata da una risposta al necessario equilibrio di candidature tra le tre forze principali ma come si è arrivati denota una attenzione quasi esclusiva al nominalismo e all’occupazione di spazio politico fra le diverse forze più che alle ragioni politiche. Proprio la delicatezza della situazione e uno sguardo meno superficiale agli elettori dei tre schieramenti avrebbe dovuto far sottolineare l’esigenza di candidature riconoscibili al di là della provenienza e avrebbe dovuto imporre alcune attenzioni.
La prima si riferisce alla necessità che si dovesse coinvolgere in tutte le fasi i protagonisti dell’accordo politico nazionale di proposta di governo, ossia il partito socialista e SEL che avrebbero dovuto partecipare in prima persona a tutte le fasi della discussione. Oltretutto questo coinvolgimento era necessario proprio per il legame che si è voluto giustamente cercare tra l’accordo elettorale e le proposte di governo in questo caso provinciale per le prossime elezioni di novembre. La seconda fa riferimento a quanto successo nel collegio di Bolzano dove una candidatura condivisa ma non nettamente definita ha trovato un’intesa tra tutte le forze politiche andando addirittura oltre i proponenti. Fermarsi sempre e solo a candidati di forte connotazione (un presidente di partito, un segretario di un altro, un ex segretario del terzo) non poteva che diventare una prova di forza che coinvolgeva troppo le forze politiche interessate; si è preferito ragionare in termini di singolo partito più che di coalizione, insomma si è preferito guardare ad una parte, la propria, che al tutto. Questo fatto si riverbera nei commenti negativi di elettori, in questo caso del PD (ma si possono vedere anche nelle altre forze politiche) a cui lo sforzo elettorale sembra diventato un’adesione non ad un’idea che va oltre le appartenenze ma ad un’altra forza politica vista come estranea. Viene in qualche modo esaltata più la differenza di linea su singole questione che l’impegno collettivo che pure è stata firmato e che, sicuramente per l’UPT, è in parte in positiva (positiva per la proposta di governo di centrosinistra) contraddizione con altri atteggiamenti politici, tipo tentativi neocentristi mai del tutto sopiti.
Ne consegue che un accordo politico che poteva avere conseguenze positive sia nell’immediato, elezioni politiche e garanzia del raggiungimento di una maggioranza all’alleanza “Italia bene comune”, che nel periodo successivo delle elezioni di novembre, a garanzia della continuità della maggioranza di governo di centrosinistra magari allargata anche a SEL, è vissuto male da coloro che dovrebbe sostenerlo col voto.
La mancanza di attenzione a tutti questi aspetti e la carenza di governo della fase politica mette fortemente in dubbio (spero immotivato) l’esito positivo delle elezioni per cui sia nel caso di un esito positivo che in uno negativo (con tutte le varianti interne) sarà necessario un forte esame sul funzionamento del partito, della sua organizzazione e della sua dirigenza, peraltro scelta con primarie partecipate.
Un’ultima cosa: se un elemento positivo è venuto in evidenza in questa convulsa fase, questo è sicuramente la passione e la partecipazione che molte persone del PD hanno messo in campo. In questo momento è stato ridicolo, e su questo è difficile non essere d’accordo col direttore dell’Adige (per il resto è invece facile essere in disaccordo), assistere, in questa situazione che potrebbe determinare anche un deterioramento del quadro politico, ad un’autopromozione come futuro presidente della provincia senza avere un’idea con quale maggioranza e con quale politica; è l’emblema di una politica delle apparenze e dei nominalismi che ci ha portato a questa situazione ma che evidentemente non è servita a molto.
Aggiungo due citazioni recenti che mi sembrano attuali e concrete, una si riferisce alla situazione attuale e forse futura della provincia, l’altra alle prospettive elettorali immediate che non sono variabili neutre nell’analisi.
Nardelli
Se in Trentino non abbiamo a che fare con gli stessi cumuli di macerie è perché abbiamo compiuto un percorso diverso. Lo vogliamo capire o no che se il Trentino in questi quindici anni non è stato omologato al resto dell’arco alpino è perché qualcuno ha impedito che lo sgretolarsi della DC avesse come sbocco la Lega e Forza Italia? E grazie a vent’anni di sperimentazione politica originale che hanno portato alla nascita della Margherita (e in segito dell’UpT) e all’ancoraggio del PATT nel centrosinistra. E infine grazie anche ad una sinistra che a partire dal 1989 ha saputo rimescolare idee e appartenenze?
Allora perché, Roberto, liquidare questa diversità come “la stessa cantilena”? Sempre si può fare meglio e queste pagine non sono certo appiattite su quel che c’è come il migliore dei mondi possibile. Ma andate in qualsiasi altra regione italiana è guardatevi attorno.
Certo, salvaguardare la coalizione era la cosa più importante da fare e per questo è stato giusto che il partito maggiore se ne facesse carico. Non per mantenere le cose come stanno, ma affinché le contraddizioni possano evolvere in maniera positiva. Per questo servono idee e buone prassi, non turarsi il naso
Civico.
Il risultato è noto: i tre candidati al Senato della coalizione di centro sinistra sono proposti in collegi dove il rispettivo partito non è il più forte: non è così a Trento, dove il primo partito è il PD, e neppure in Vallagarina e in Valsugana.
Possiamo leggere questa scelta come poco avveduta e pensare che l’accordo sia frutto di una dinamica perversa. Oppure possiamo cogliere la sfida di essere uno nelle mani degli altri. Panizza e Fravezzi principalmente nelle mani del PD, Tonini nelle mani di UPT e Patt.
E se ce la faremo consegneremo al nostro Paese sei senatori su sette e alla nostra Comunità una coalizione più solida perché più capace di farsi carico delle ragioni, e delle candidature, degli altri.
un elemento di rottura lo vedo, in effetti: una cesura nettissima non solo tra società civile e politici, ma specialmente tra politici (detentori del potere politico) e politica, la politica alta, quella che scalda i cuori dei cittadini, quella fatta da leader con una prospettiva ampia, lungimirante e responsabile.
Nulla a che vedere con:
(1) un paladino dei localismi;
(2) un adepto del montismo proprio quando: il debito pubblico esplode a causa della recessione e del dazio europeo per salvare le banche francesi, spagnole, tedesche e greche (oltre al MPS); Monti viene scaricato persino dal Financial Times; i sondaggi danno la sua lista al 10% (solo 3 punti percentuali sopra la Lega Nord!)
(3) ?
Questa è la strategia vincente per portare a Roma sei senatori?
E l’appello che hai firmato con Ferrandi e altri dopo la scelta di Francesco Palermo?
Vincenzo è davvero molto generoso nel definire “patriottismo coalizionale” la difesa d’ufficio di un suicidio politico.
Scrivi: “il PD in Trentino rappresenta, per bene che vada, un terzo scarso dell’elettorato”. Già e le ragioni di questa vocazione minoritaria (decrescita infelice?) non sono davvero difficili da discernere, adesso.
Caro Michele,
condivido molto la chiusura del tuo pezzo riferito alle “contraddizioni”. Metodologicamente ed anche da un punto di vista socio-politologico credo che la strada del vivere i conflitti per risolverli sia quella giusta. Ed ho sempre apprezzato in te questa profonda aspirazione. Molto semplicemente però e senza addentrarmi in troppo articolate analisi (data l’ora e richiamando del resto cose da me scritte a Nicoletti) vorrei dirti con grande amicizia e stima: le tue parole cadono su un terreno arido e la tua strategia (condivisibile in astratto) nel caso concreto della coalizione di cui parli, è malposta. Perchè -credimelo- fra il sottoscritto (e tanti come me) e l’arrivismo di certi personaggi, che fanno della politica clientelare la loro bandiera, non c’è ne vi può essere alcun rapporto. La tua idea di coalizione non corrisponde alla realtà, nel senso che fra il “popolo” del Pd (quello per intenderci che ha permesso l’effettuazione delle primarie e che lavora quotidianamente con passione per mantenere vivo il partito nelle valli) e molti esponenti di Patt e UpT (perlomeno quelli che conosco io) esiste una differenza profonda, di natura “antropologica”. Per cui si potranno anche concludere accordi con costoro, dar vita a coalizioni, ma non parliamo di cultura “comune” perché non ce ne sono i presupposti. Non solo: personalmente percepisco uno scollamento fra le trattative di questi giorni e la realtà quotidiana della politica trentina, la vita politica di tutti i giorni. Quasi due mondi diversi, due modi di vedere le cose. Con un’amara sensazione così riassumibile, molto crudamente: ma il conseguire 6 senatori a favore di Bersani (cosa tutta da verificare non solo alla luce del risultato, ma anche dell’attendibilità dei nostri contraenti), nonchè il nostro farci garanti di una coalizione la cui solidità è tutta da verificare, valgono la candela della nostra coerenza valoriale e dei nostri principi?
Scusa la franchezza ed un abbraccio ad uno dei politici che stimo di più.
Intanto voglio ringraziare Vincenzo, Flavio, Stefano ed Alessandro per questi interventi, ciascuno dei quali pone questioni vere che non possiamo eludere.
Provo quindi ad entrarvi nel merito, toccando un punto di ognuno dei commenti.
Inizio con Alessandro. Beh, intanto grazie per la stima che mi manifesti. La questione che tu poni, il terreno arido della coalizione e l’astrattezza io la vedo così. L’aridità della politica non riguarda solo il campo dei nostri alleati, io la vedo piuttosto trasversale ed anche nel nostro partito. Ho la sensazione che non siano in pochi a vedere nel PD lo strumento per la propria affermazione e carriera personale. E che a partire da questo obiettivo si orientino sul piano della propria collocazione interna. Vedo questo dinamiche ad ogni livello (anche nei circoli, per capirci) e non è per nulla facile sradicarle, anzi sono io a sentirmi talvolta naif. Credo quindi che sia necessario far incontrare la politica e le idee, attraverso la bellezza del pensiero e delle buone pratiche. Astrattezza? Io lo chiamo corpo a corpo, non avendo affatto abbandonato l’idea di quel partito territoriale (ed europeo) che immagino come l’unica strada per far uscire i corpi intermedi (e i partiti nazionali in primo luogo) dallo stato di crisi profonda in cui versano.
Stefano rivela la contraddizione fra l’appello di cui ero firmatario per azzerare le candidature e l’esito che poi ne è venuto. Certo che le due cose sono diverse. Ma non pensare che a Bolzano la candidatura di Palermo sia uscita grazie ad una qualche strategia, ci sono arrivati per caso. E quasi ci arrivavamo anche qui, c’è davvero mancato un pelo, bastava un po’ più di coraggio in più e un’assemblea in meno (quella di Trento) che ha messo un vincolo pesante su Giorgio Tonini. Ciò detto, rimane il dato di un’impostazione politica che non ha saputo investire a dovere sulla coalizione e di questo la responsabilità è un po’ di tutti (e di Lorenzo Dellai più di altri che ne avrebbe dovuto essere il garante). Quando parlo di investire sulla coalizione penso alla necessità piuttosto urgente di cambio di sguardo sui problemi, quel “cambio di paradigma” che vado invocando da tempo e che riguarda tutti e che richiede studio, ricerca sociale e politica, analisi e conoscenza dei processi di trasformazione. Solo se sapremo leggere la realtà, saremo in grado di scaldare i cuori…
A Flavio dico solo che sono in buona sostanza d’accordo con lui. Una sola cosa mi viene da dire leggendo la sua analisi: la candidatura di Francesco Palermo ci racconta che una sintesi politica più alta non è proprio fuori dal mondo, che c’è un terreno di ricerca politica da coltivare oltre le attuali appartenenze. E che per questo è interessante lavorare, mettendosi in gioco oltre i pregiudizi.
Infine a Vincenzo vorrei dire che non considero la candidatura di Panizza come una sconfitta per la città e nemmeno per il PD. Se complessivamente l’esito non mi piace avendo io immaginato (come ho proposto pubblicamente insieme ad altri) una soluzione diversa, devo dire che ho invece considerato positivo (visto il rischio di rottura della coalizione sul senato) l’essersi fatti carico accettando il collegio della Valsugana come una sorta di sfida territoriale per il soggetto politico più rappresentativo. E vorrei mettere alla prova Franco Panizza nel farsi altrettanto carico di istanze non sue. Per questa ragione l’ho chiamato in queste ore dandogli la mia disposnibilità ad andare insieme sul territorio. Mi fermo qui, perché altrimenti Alessandro mi bacchetta dicendomi che vivo sulla luna. Non ti preoccupare, a volte lo penso anch’io.