Michele con Nina
martedì, 15 gennaio 2013
15 Gennaio 2013
Farsi carico
lunedì, 21 gennaio 2013
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mercoledì, 16 gennaio 2013

In queste ore la trattativa per i collegi senatoriali nell’ambito del centrosinistra autonomista sembra in un vicolo cieco. A monte, diverse visioni politiche del passato e del presente. Ed un lavoro di fluidificazione dei pensieri per trovare un senso comune sul quale purtroppo non si è investito. Sullo sfondo, il modo con cui arriveremo alle elezioni per il rinnovo del Consiglio della Provincia Autonoma di Trento (e la scelta della candidatura alla presidenza).

Questa diversità non rappresenta la normale dialettica fra forze politiche che fanno parte di una coalizione trentina difforme dal quadro proposto dalle coalizioni nelle elezioni politiche di febbraio. Essendo trasversale agli stessi partiti, indica come il processo di scomposizione e ricomposizione della politica italiana e trentina sia ben lungi dall’essere compiuto. Un processo che non è affatto estraneo alle categorie del pensiero, perché se la movimentazione politica non manca, le idee sulle quali ancora si delineano gli schieramenti hanno a che fare con un passato che non passa.

Poi ci sono anche le miserie della politica, i posizionamenti personali, le furbizie, i rancori. Ma non volendo sporcarsi le mani con tali miserie, non possiamo non vedere come il confronto politico ancora fatica a darsi nuove chiavi di lettura e nuovi discrimini. "Mai con Vendola" dice Mario Monti. "Mai con Casini" dice Niki Vendola. E poi ancora: "Al Senato ce la giochiamo per pochi seggi, non possiamo fare alleanze con chi non dichiara da che parte sta" dice qualcuno del PD del Trentino a proposito della collocazione dell’UpT con Monti. Come se la storia politica del Trentino degli ultimi quindici anni non garantisse nulla e facendo finta di non vedere che una parte non trascurabile del PD, fra Monti e Vendola, sceglierebbe Monti, a prescindere dall’alleanza che lega il PD con Sinistra Ecologia e Libertà.

Se i nodi non vengono affrontati con uno sguardo diverso, non ne verremo a capo. E non è un problema di schieramenti. Nei mesi scorsi la crisi dell’Ilva di Taranto o, per altri versi, dell’assetto industriale della Sardegna sono apparsi come altrettanti nodi paradigmatici che investono il modello che pensiamo per il futuro di questo paese. O cambia lo sguardo, oppure le contraddizioni si ripresenteranno sempre uguali a se stesse, come accadde per il governo Prodi. E devo dire che il programma "Italia. Bene comune" appare un richiamo piuttosto generico e non rappresenta ancora quel cambio di paradigma di cui avremmo bisogno anche per ridisegnare schieramenti e alleanze.

Vale per Bruxelles, vale per Roma e vale anche qui, nel nostro Trentino, dove pure in questi anni abbiamo rappresentato una positiva alterità. Il non aver coltivato la cultura coalizionale, e non solo sul piano formale o dei buoni rapporti ma sul piano delle idee, nello sguardo verso i processi di cambiamento come nella ricerca di risposte adeguate, ci espone allo sfilacciamento o a prove muscolari che non ci aiutano, né in questa prossima scadenza elettorale, né guardando a novembre.

Che puntualmente si manifestano nelle trattative. Il raggiungimento di un accordo politico per i collegi senatoriali sconta queste difficoltà, oltre alla melina di chi vorrebbe farlo saltare. Per regolare conti antichi fra i rampolli della vecchia DC (non a caso ho parlato in questo diario di "rivolta dei chierici"), per una malcelata logica di autosufficienza maggioritaria, per creare discontinuità con l’era Dellai. E mentre la coalizione fatica a stare insieme, piegata dai riti di una politica che non piace certo all’opinione pubblica, prende il via a Tione l’annunciato tour di Donata Borgonovo Re che un giornale locale descrive come la Giovanna d’Arco della società civile, la piccola e coraggiosa donna che ebbe il coraggio di parlare di mafia in Trentino.

Una descrizione manichea, questa, che non aiuta di certo il Trentino ad affrontare con rigore e serenità le proprie criticità. L’ho detto e lo ripeto: descrivere il Trentino come terra di mafia, sovietizzata dall’invadenza del pubblico, dove il volontariato sarebbe il retroterra del potere dellaiano e la cooperazione come la "magnadora"… non solo è volgare ma non aiuta nemmeno a mettersi in discussione e a cambiare laddove è necessario (ed è necessario). Una narrazione del Trentino che ho dovuto ascoltare anche in occasione del dibattito sulla Finanziaria, provenienti dai banchi della parte più becera dell’opposizione. Assonanze che fanno male al Trentino.

Qualche tempo fa, quando qualcuno mi chiedeva come avrei potuto descrivere la situazione italiana la mia risposta è stata spesso (ne ho già fatto cenno in questo diario) il richiamo al "diciannovismo". Intendevo quella fase seguita alla prima guerra mondiale, segnata dal rancore per le frustrazioni della guerra e di una piccola borghesia belligerante, dalla sconfitta della classe operaia, da quel mix di radicalismo e di "sovversivismo delle classi dirigenti" (come lo definiva acutamente Antonio Gramsci) che ararono il terreno al fascismo.

Di tutto questo vedo tracce anche qui, in questa terra che sembra aver smarrito il senso di un percorso originale e della propria autonomia. Un’autonomia che richiede cura, non strappi.

5 Comments

  1. stefano fait ha detto:

    Temo che tu abbia frainteso il grido d’allarme della Borgonovo Re (temo anche tu abbia frainteso la gravità dell’allineamento del PD con Monti, che rappresenta l’antitesi di tutto ciò per cui ti sei battuto, ma questo è un altro problema – nel PD c’è troppo “groupthink”).

    Cosa ha detto Borgonovo Re sulla “mafia”?
    “Mafia è un termine sicuramente esagerato: giovedì l’ho usato nella mia relazione semplicemente perché lo sentiamo ripetere spesso dai cittadini che vengono da noi a chiedere aiuto. Non posso negare che io e i miei collaboratori siamo rimasti colpiti dalla frequenza con la quale ci dicono ‘la mafia esiste anche in Trentino’ e questo vuol dire che c’è un problema. Se qualcuno indica con il dito la luna non bisogna guardare il dito, ma la luna”. “Non credo che ci sia una cupola e se dovessi definire io stessa il fenomeno non userei il termine ‘mafia’. Credo però che in Trentino sia diffusa una cattiva cultura dell’amministrare, per la quale il sindaco considera il Comune come ‘cosa sua’. E non si tratta di casi sporadici”.

    E’ un discorso completamente diverso da quello della destra che tu giustamente denunci.

    Dovresti invece chiederti come mai centinaia di cittadini (tra i quali il sottoscritto) abbiano praticamente supplicato la Borgonovo Re di candidarsi e domandarti anche se non sia proprio lei l’unica figura realisticamente disposta a mettere in atto il tuo tanto invocato “cambio di paradigma di cui avremmo bisogno”.
    A quante delusioni dovrai andare incontro prima di aprire gli occhi sull’inerzia dell’establishment del PD locale e nazionale?

  2. Michele ha detto:

    Certo, non si finisce mai di imparare. E lo sguardo di ieri non sempre ti può essere d’aiuto per comprendere il presente. Ma su una cosa però non credo proprio di sbagliarmi, ovvero sui poteri forti in Trentino. Molti muri sono caduti, altri sono ancora lì, più spessi che mai. Sono i potentati economici, le gerarchie e le loro famiglie. Sono le stesse che quarant’anni fa creavano il vuoto intorno a chi la pensava diversamente e ahimè non sono cambiate. Questo è il vero establishment.

  3. stefano fait ha detto:

    Io vedo una cosa. Vedo che il PD locale è fin troppo allineato sulle posizioni di quello nazionale e quello nazionale:
    1. è a favore di altra austerità sebbene l’FMI abbia detto che è la strada sbagliata (smentendo la sua stessa dirigente, Christine Lagarde, sponsorizzata da Monti);
    2. si riempie la bocca di federalismo e decentramento ma, nei fatti, non li promuove. Anzi, al contrario, Bersani ha già annunciato che gli scandali di Lazio e Lombardia rendono necessaria una legislatura costituente che rafforzi il controllo dello Stato sugli enti locali e ridimensioni le loro prerogative (e si farà anche il premierato forte o il presidenzialismo o che so io)
    3. non fa mancare l’appoggio a nessuna guerra, tantomeno a quella nel Mali, che pure è osteggiata da Amnesty International, ambienti missionari locali e di Medici senza Frontiere, dall’ex primo ministro francese Dominique de Villepin, da vari esperti di geopolitica internazionale [in Italia, Lucio Caracciolo, per fare un esempio, ma anche V.E. Parsi, che ha condannato l’iniziativa sul Sole 24 Ore – “Le guerre inutili dell’Occidente”, 18 gennaio 2013] e da Mauritania, Algeria, Ghana e Burkina Faso.

    In questo momento mi pare che sia il PD (con l’assistenza di Monti) a “creare il vuoto intorno a chi la pensa diversamente”.
    La cosa mi preoccupa seriamente perché i dati economici stanno peggiorando ulteriormente (pure in Germania e Paesi Bassi), la pressione e la rabbia continuano a salire e tutte quelle forze che potrebbero fare opposizione civilmente e costruttivamente da sinistra (e possibilmente in Parlamento, visto che fuori non si conta nulla) sono assediate o stigmatizzate e bollate come anti-sistemiche, anti-moderne, anti-patriottiche, ecc.
    Sembra che tutto cospiri per arrivare ad un’esplosione di emozioni distruttive e sanguinose.
    Siamo in una fase altamente critica, come avvertiva una nota del Viminale, ma il PD rischia di scoperchiare il vaso di Pandora, invece di fungere da valvola di sfogo con politiche intelligenti e lungimiranti.

  4. Michele ha detto:

    Caro Stefano, dovresti fare lo sforzo di leggere (e poi cercare di abitare) le contraddizioni. Il PD del Trentino è troppo allineato su quello nazionale? E’ per certi versi vero, per altri no. Quando si è trattato di far esprimere le istituzioni trentine contro le guerre, quando si è agito per investire sulla cultura della pace e della mondialità (penso ad esempio al CFSI), quando abbiamo realizzato una realtà internazionale di grande spessore come OBC perché la conoscenza è condizione di prevenzione della degenerazione violenta dei conflitti, quando si è proposto di sostenere percorsi originali di cooperazione fra comunità, il PD del Trentino e più in generale la coalizione del centrosinistra autonomista hanno seguito le mie/nostre proposte. Quando si colloca una realtà istituzionale come il Forum trentino per la Pasce e i Diritti Umani non solo contro ogni guerra ma nel (spero prezioso) lavoro di demolizione dei concetti di “scontro di civiltà” o nella prevenzione culturale della logica della guerra come ad esempio sui temi del limite, tutto questo è il risultato del lavoro di qualcuno che ha deciso di sporcarsi le mani e di aprire le contraddizioni, invece di chiuderle. Vorrei affermare in punta di piedi che il Trentino anche su questo terreno è stato in questi anni ed è tutt’oggi luogo di sperimentazione culturale e politica di prim’ordine. E questo grazie al fatto che in molti abbiamo scelto di abitare i conflitti (e non di contemplarli). Vale per i temi della pace come per molti altri terreni e potrei fare un lungo elenco di questioni sulle quali io ed altre persone hanno orientato con il PD del Trentino (o altrove) anche il governo della nostra autonomia.
    Quanto al PD nazionale, so bene quali sono le contraddizioni e quanto spesso le posizioni di questo partito siano distanti dalle mie, dal federalismo alle questioni della collocazioone internazionale dell’Italia (e alla conseguente partecipazione alle avventure militari della Nato). Ma, anche qui, credo sia necessario lavorare per far evolvere le cose, senza per questo fare sconti a nessuno. Un paio d’anni fa sono andato a Cortona alla scuola di formazione del PD e le mie parole rispetto alla responsabilità del governo D’Alema sul Kosovo sono state tanto sferzanti quanto condivise. Nelle scorse settimane da dove credi sia venuta la proposta di riconoscere lo Stato di Palestina all’ONU? (Vatti a vedere l’appello Rashid Ovadia e prova a capire chi l’ha scritto…).
    Al tempo stesso credo di conoscere altrettanto bene le posizioni ideologiche e conservatrici delle formazioni politiche della sinistra radicale o di quel che ne rimane. Sui temi della pace come su quello dei modelli di sviluppo i loro paradigmi sono inchiodati al Novecento. Senza dimenticare che i piccoli ambiti possono avere gli stessi difetti (amplificati) di quelli più grandi. Lo so per avervi fatto i conti per tanto, troppo, tempo.
    Lo so, è difficile e costoso. Ma per il momento non vedo altre strade. Una, ad essere sinceri, la vedo ma ha a che vedere con le scelte personali piuttosto che con con quelle collettive.

  5. vincenzo calì ha detto:

    caro Michele,
    immagino che “l’altra strada” a cui accenni nell’ultima replica a Stefano, sia quella del tuo disimpegno dalla politica a livello istituzionale (alla politica attiva intesa come partecipazione alla vita collettiva non potrai mai rinunciare, in quanto negheresti te stesso). Che il peso di quel “novecento” da cui provieni e che oggi continua a manifestarsi nelle sue forme più deteriori ti stia diventando insopportabile credo di comprenderlo,venendo anch’io da quella storia. Sul pericolo di un ritorno al “diciannovismo” non hai tutti i torti: avendo io affrontato quel periodo storico per la Tesi di laurea, non fatico a trovare analogie fra lo sradicamento di allora e quello di oggi. Il Paese è smarrito ed anche traumatizzato dal sempre presente berlusconismo e dalla debolezza della sinistra, nazionale e locale. Debolezza che sul locale, con la vicenda delle candidature senatoriali e delle primarie per la Camera, gestita con l’imperativo della salvaguardia assoluta della coalizione che oggi guida la PAT, è apparsa in tutta la sua ampiezza. Il finale di partita è già scritto: comunque vada, la misura degli errori della sinistra è colma, e non ci può consolare il fatto che siamo in buona compagnia, visti gli sbocchi deteriori che sta avendo il popolarismo che si autodefinisce di ispirazione degasperiana. “il cambio di paradigma” a cui vorresti che tutti ci appellassimo necessita di “energie nuove”, in senso gobettiano, che non si vedono all’orizzonte e che noi non saremmo comunque in grado di guidare, per il peso di quel passato che non passa che ci portiamo sulle spalle. Facciamoci una ragione di tutto ciò, senza drammi.
    con affetto e stima
    Vincenzo