
giovedì, 2 giugno 2011
2 Giugno 2011
martedì, 7 giugno 2011
7 Giugno 2011Giovedì è iniziata la sesta edizione del Festival dell’economia, quest’anno dedicata al tema "I confini della libertà economica". Un tema certamente importante, ma che avremmo potuto trattare lo scorso anno come l’anno che viene. Perché se vedo un limite in questo evento, di cui peraltro il Trentino può andare orgoglioso, è quello di una certa astrattezza rispetto al proprio tempo. Capiamoci. Provare a leggere il presente è questione tutt’altro che banale, decisiva invece. Specie per la politica che altro non sa fare se non inseguire gli avvenimenti o, peggio ancora, la cronaca che se ne fa. Ma al Festival dell’economia vorrei chiedere qualcosa di più, ovvero buttare uno sguardo sul futuro, proporre visioni. Magari dialogarci con il futuro e magari modificarne gli esiti. O è chiedere troppo?
Decido di dedicare qualche ora al festival. Mi aggiro fra le vie del centro e vedo tanta gente, forse un po’ meno degli anni scorsi. I visitatori vedono una bella città, in armonia con il suo festival, ma i negozi sono uguali a quelli di qualsiasi altra città e mi appunto che questa è un’occasione perduta per valorizzare i prodotti di qualità del nostro territorio. Non una bancarella, non una degustazione di vino o formaggio, prodotti che pure sono in sofferenza.
Anche i temi che le conferenze affrontano, sembrano svolgersi malgrado il Trentino, terra di sperimentazione su temi decisivi anche nel rapporto con i confini della libertà economica, dal ruolo dell’autonomia alla partecipazione diffusa, dal modello cooperativo al credito legato al territorio, dalla pace intesa come percorso di elaborazione dei conflitti alla cooperazione internazionale. Non è solo questione di "buone pratiche", parlo dei pensieri che fanno diversa questa terra che non a caso ospita un festival così importante ed oggi replicato in altre latitudini. O pensiamo che le cose avvengano per caso?
Mi fa un po’ incazzare l’idea che il Trentino sia la bomboniera del Festival in virtù dei denari della nostra autonomia. Lo dico perché la California non ha nulla da insegnarci, malgrado tutti abbiamo sempre qualcosa da imparare. O ci siamo già dimenticati che dagli Stati Uniti in questi anni sono venute le peggiori nefandezze per questo pianeta, dalla guerra del petrolio alla deriva finanziaria?
Pazienza. Importante è che la gente faccia la coda per ascoltare pensieri e parole, piuttosto che per entrare in un centro commerciale. Che ne venga la percezione di una città ed un territorio ben governati e che dunque questa che fino a ieri rappresentava l’anomalia politica dell’arco alpino possa essere vista come un’alternativa possibile al berlusconismo e al leghismo, culture ancora consolidate in buona parte di questo paese.
Nel tardo pomeriggio vedo Vittorio Agnoletto, un pezzo di storia in comune anche se oggi ho l’impressione di stare su un pianeta diverso dal suo. Mi chiede di presentare a Trento il suo libro (scritto a quattro mani con Lorenzo Guadagnucci) dal titolo "L’eclisse della democrazia" (Feltrinelli), attorno alle verità nascoste sul G8 di Genova del 2001. Sono passati dieci anni da quella vicenda triste e vergognosa e ricostruire pagine di verità è sempre utile. Ma non riesco proprio a capire quale possa essere il significato di ritornare oggi su un passaggio – non vorrei scandalizzare nessuno – che non ha lasciato traccia se non la morte assurda di un ragazzo di nome Carlo Giuliani. I social forum sono passati come una meteora, vittime della loro autoreferenzialità. A Porto Alegre governa la destra, ma anche a Pieve Emanuele e ad Assisi. Un incubo, quello di Genova, dal quale occorre uscire. Forse mi sbaglio, e invece parlarne serve proprio a questo.
Fuori dal festival, ci sono comunque sale affollate. E’ quel che accade venerdì sera a Sardagna, frazione della città con poco più di mille abitanti. All’incontro sui referendum del 12 e 13 giugno, dove sono relatore, una cinquantina i presenti e non ci sono più posti a sedere. Giovani e meno giovani, donne e uomini, tutti attentissimi ad un incontro che assomiglia più ad conferenza che ad una serata elettorale. Ed è quello che intendo fare, perché immagino che le persone intervenute abbiano già un loro orientamento e che dunque la cosa più interessante sia quella di cercare di portare una visione d’insieme che faccia da cornice ai quesiti referendari.
Temo di volare troppo alto, ma vedo che la gente ascolta con interesse quel che dico a proposito della necessità di cambiare rotta, nelle scelte strategiche come nei comportamenti individuali. Nel mettere in discussione il "paradigma dello sviluppo" e nel declinare ogni giorno il concetto di sobrietà. Ed anche nell’interrogarsi sui limiti della politica, compresa quella del centrosinistra. Ho l’impressione che la gente apprezzi questo parlare in libertà, anche su quel che non va nelle nostre parole e nei nostri comportamenti. Alla fine le strette di mano mi dicono molto di più dell’applauso.