Gerusalemme
sabato, 30 aprile 2011
30 Aprile 2011
L’antica chiesa di Santa Barbara ad Aboud
lunedì, 2 maggio 2011
2 Maggio 2011
Gerusalemme
sabato, 30 aprile 2011
30 Aprile 2011
L’antica chiesa di Santa Barbara ad Aboud
lunedì, 2 maggio 2011
2 Maggio 2011

domenica,1 maggio 2011

Aboud è un piccolo centro non lontano da Ramallah. Un’area molto bella, fors’anche per questo contesa dagli israeliani che ne stanno facendo una zona di insediamenti, illegali sul piano del diritto internazionale e degli stessi accorsi di Oslo, ma qui la legge la fanno loro. Tutta l’area intorno al paesino di Aboud è zona C, il che significa che è parte integrante di quel 22% di territorio della Palestina storica che costituisce i territori dell’Autorità Nazionale Palestinese, sul quale però tanto sul piano amministrativo che militare il controllo è dello Stato di Israele. Che fa valere questo potere nell’accompagnare l’insorgere tutt’altro che spontaneo dei nuovi insediamenti dei coloni, con una tecnica prima di sterilizzazione dell’area e poi di occupazione.

Che cosa significa sterilizzazione è presto detto. Quello di Aboud è un territorio in cui l’insediamento umano è antichissimo, zona di grande valore archeologico, di storia e di straordinario valore naturalistico. Estirpare questi segni diventa tecnica di occupazione, come la profanazione delle tombe risalenti all’epoca pre-romana, la distruzione di antiche chiese come quella dedicata a Santa Barbara o il taglio degli ulivi millenari. Tutt’intorno ce ne sono moltissimi, a testimonianza di una civiltà anch’essa millenaria, che non ha nulla a che fare con i pini e i cipressi con cui i coloni cercano di abbellire i loro insediamenti, veri e propri bunker circondati da più file di filo spinato e recinzioni ad alta tensione.

E’ davvero incomprensibile come si possa concepire un’esistenza blindata fra mura e filo spinato, in ostilità verso la gente del posto, se non nella prospettiva di una progressiva "pulizia etnica" dei palestinesi. Non è uno spazio vitale, è un incubo invece.

Qui ad Aboud incontriamo i nostri referenti del progetto sulla coltivazione della vite e del vino di Cana e, fra questi, il parroco perché è la chiesa locale l’unico soggetto che può farsi garante tanto della sicurezza quanto della continuità dell’iniziativa. L’accoglienza della piccola comunità è davvero molto cordiale, fra le varie cose con il vino che hanno incominciato a produrre e sul quale c’è ancora per la verità molto da lavorare per farne un prodotto significativo. Qui si sta realizzando una piccola cantina che dovrebbe poi mettersi in rete con il sistema che fa capo a Cremisan, la Cantina dei Salesiani che abbiamo visitato a Beit Jalla.

La tradizione, testimoniata dalle figure ornamentarie dei siti archeologici dedicate al sole, alla luna e alla vite, va piano piano ricostruita, accompagnandola con un progetto di sviluppo rurale che rientra nel quadro dei colloqui avuti con le autorità palestinesi in queste intense giornate. Perché qui, oltre agli antichi ulivi e i primi vigneti, ci sono intere zone dove il melograno sorge spontaneo, erbe officinali dai profumi intensi, mandorli e quant’altro.

Rientriamo verso Gerusalemme, dove finalmente troviamo uno spazio per far mente locale sugli impegni,  sulle cose da fare e su quanto dovremmo concordare negli incontri di lavoro che abbiamo programmato presso il Ministero dell’agricoltura per l’indomani. Non sarà forse il modo più ortodosso di celebrare il primo maggio, ma la festa dei lavoratori assume qui un ben diverso profilo.

Ceniamo a Gerusalemme in casa di amici e fra questi Wajeech Nuseibeh, il custode del Santo Sepolcro. Ci racconta delle proprietà che la sua famiglia aveva in questa città, di quante ne è stata espropriata. Ali sorride amaramente. Del patrimonio che la sua famiglia (una delle più benestanti della città) aveva a Lifta non è rimasto più nulla. Di quelle case per la verità c’è ancora traccia, e quando passiamo di lì, in una delle zone più belle di Gerusalemme, i suoi occhi si velano di tristezza.

Comments are closed.