Giovedì prossimo alla sala degli Affreschi della biblioteca comunale di Trento verrà presentato "Libertà di coscienza e religione" di Martha Nussbaum (il Mulino, 2009). Un paio di mesi fa mi è arrivata dall’associazione "Altrimenti Liberi" l’invito a tenere la presentazione di questo libro, del quale avevo sentito parlare ma che non conoscevo.
Di semplice e veloce lettura, il libro di Martha Nussbaum è folgorante. Non mi risulta abituale riconoscermi in un testo, ma in questo caso… Quello della Nussbaum è un pensiero di mezzo, di quelli per i quali prendi schiaffoni a destra e a manca, che non si rassegna alle risposte accomodanti e che ti costringe ad una ricerca mai doma. Lo spazio è quello fra ortodossia e antireligiosità: una risposta laica ma ricca di genuina curiosità verso una visione morale della dignità umana.
Di un’attualità stringente, nel tempo dello scontro di civiltà, tanto che ad ogni pagina puoi trovare chiavi di lettura di questo tempo.
Mi piace pensare di essere stato associato alla presentazione di questo saggio. Vuol dire, forse, che i messaggi talvolta arrivano a destinazione. Che non è tutto inutile, insomma. Butto giù un po’ di appunti per la presentazione, chissà se serviranno…
Metto su carta anche qualche appunto per un’intervista per il Trentino sulle politiche della Provincia in materia di cooperazione internazionale: il direttore Alberto Faustini vi ha dedicato l’editoriale di domenica e vorrei interloquire perché effettivamente si è persa l’occasione per un confronto serio su quel che oggi può voler dire solidarietà globale (e di cui abbiamo già ampiamente parlato su questo blog).
Anche in questo caso mi rendo conto di come il mio modo di pensare sia del tutto eccentrico rispetto ai luoghi comuni di una sinistra che ha smesso da tempo di interrogarsi. Che confonde la cooperazione con l’emergenza, che rincorre le prime pagine dei giornali, che piega al proprio schema interpretativo ogni cambiamento senza mai chiedersi se gli occhiali che ha a disposizione riescano ancora a mettere a fuoco la realtà.
So bene che il vasto pubblico non ama i pensieri di mezzo, né le sfumature del grigio. Preferisce l’anatema e la scomunica, piuttosto che la fatica di far tornare la gente sui propri passi o di cambiare.
All’incontro del pomeriggio del comitato promotore dei referendum per l’acqua bene comune ne ho la riprova. Come si fa a non capire che se vogliamo vincere questa prova è necessario che la metà degli italiani si rechi alle urne? E che per questo è necessario far leva sulle cose che uniscono piuttosto che misurare le coerenze? Qualcuno se la prende con Di Pietro, qualche altro con Vendola, figuriamoci con il centrosinistra che, nel fervore del mercato quale strumento di regolazione di qualche anno fa, delle privatizzazioni è stato il battistrada…
Così però non si va da nessuna parte. Certo, nel referendum sull’acqua bene comune si gioca una partita di tutto rilievo, dai forti connotati culturali e politici. Per vincerlo, occorre costruire uno schieramento il più largo e trasversale possibile, che abbia come denominatore comune l’idea che l’acqua è di tutti e non è assoggettabile alle logiche del mercato. Insomma, sottratta alla speculazione privata.
Portare al voto venti milioni di persone non sarà facile, specie se l’invito di andare al mare verrà dalle istituzioni stesse e se non avremo saputo dar vita ad un’alleanza di tutti coloro che hanno un po’ d’amore per l’ambiente che ci accompagna.
Speriamo almeno che le contromisure che abbiamo messo in campo in Trentino grazie alle prerogative dell’autonomia (e al nostro impegno) risultino efficaci e siano perseguite con convinzione. Quel che potevamo mettere in campo sul piano istituzionale l’abbiamo fatto. Ma in un paese dove l’acqua finisce nelle mani delle multinazionali non saremo certo al sicuro. Per questo la partita referendaria, il prossimo 12 giugno, va vinta. E sarà così se, ad esempio, avremo come alleati i vigili del fuoco volontari il cui presidente Alberto Flaim incontriamo in serata alla sede del PD del Trentino. L’argomento non è l’acqua, bensì la nuova legge sulla protezione civile, ma a guardar bene non c’è molta differenza. Anche in questo caso è in gioco una storia di dignità e responsabilità verso il futuro.