martedì, 8 febbraio 2011

In terza commissione si discute del DDL 168 della Giunta provinciale sugli appalti. Rispetto al testo presentato in Commissione qualche giorno fa, arrivano una quarantina di emendamenti, il che ti racconta della complessità della materia e della difficoltà di coniugare le prerogative (e le competenze) dell’autonomia con la legislazione nazionale (ed europea). Tanto che se oggi si è dovuti ritornare su una legge licenziata nel 2008 questo è proprio l’effetto dell’impugnativa da parte del Governo di una parte importante delle disposizioni approvate solo due anni fa.

Questo accade sempre più frequentemente, nel senso che è in atto una conflittualità permanente di attribuzioni nella quale si insinua e nasconde una burocrazia centralista che mal sopporta che aree regionali imbocchino strade diverse da quelle stabilite a Roma o Bruxelles. Se poi si va a vedere nel merito, salta fuori che non è esattamente come si vuol far credere. E’ caso della privatizzazione dell’acqua, dove per qualche anno si è sostenuto (in maniera bi-partisan per la verità) che si doveva procedere nella direzione di dare in mano ai privati la gestione del servizio idrico perché lo voleva l’Europa. Balla colossale, tant’è vero che due dei tre referendum (diciamo pure quelli più ragionevoli) sono stati dichiarati ammissibili dalla Corte Costituzionale. E’ il caso anche della nostra legge sulle filiere corte, tenuta bloccata per un anno a Bruxelles per le norme sulla concorrenza. La soluzione che si è trovata alla fine è stata quella di sostituire le parole "prodotti di prossimità" con la dizione "prodotti a basso impatto ambientale". Ma voi ditemi se l’Europa deve ridursi a questo… Si capisce così anche perché non scalda i cuori.

Tornando ai lavori della Commissione, mi affido alla filosofia di fondo, ovvero quella di superare il criterio del "massimo ribasso" negli appalti (che tanti danni ha provocato) nella direzione del criterio di "proposta economicamente più vantaggiosa", nella quale si prende in considerazione un ampio spettro di vantaggi fondati sulla qualità in una ponderazione dove l’elemento qualitativo ha un peso superiore al 70%. Per il resto devi basarti su un rapporto di fiducia verso la tua amministrazione. E passare il testo approvato in Commissione a qualcuno che ne sappia più di te per un vaglio ulteriore prima che arrivi in aula. Perché – apro qui una veloce parentesi – il potere della tecnica (potremmo tranquillamente dire lo strapotere della tecnica) vale anche qui, laddove la risposta alle tue domande è molto spesso "questo non si può fare". Riservandomi eventualmente di proporre modifiche in fase di discussione in aula.

Finita la Commissione mi vedo con Mauro Cereghini, mi aggiorna sulle cose che sta facendo e parliamo della proposta di Giulio Marcon di aprire una sorta di osservatorio sulla cooperazione internazionale. Ne ho già parlato su questo diario qualche giorno fa, e non ci ritorno. Mi preme solo dire che con Mauro c’è una forte affinità di pensiero e approccio su questi temi che vorrei potessimo coltivare anche in questi anni di impegno istituzionale. Tant’è che parliamo di un riordino della legge provinciale sulla cooperazione internazionale, a proposito, anche questa fatta a pezzi dal Ministero degli Esteri che avoca a sé ogni prerogativa di "politica estera" (lo sapranno che questo concetto non esiste più?). Parlo della Legge provinciale n.4/2005. La proposta iniziale rappresentava un testo molto avanzato, prodotto di un gruppo di lavoro che si era messo in piedi in Provincia quando assessore alla solidarietà internazionale era ancora Remo Andreolli. Facevo parte di questo gruppo ristretto ed elaborammo una proposta di legge del tutto innovativa che però non fece in tempo ad arrivare in aula. Ripresa in mano nella legislatura successiva venne prima triturata dall’assessore Berasi e poi dimezzata da Roma. L’esito è che abbiamo una legge disorganica, alla quale si compensa con regolamenti che cercano di forzare la mano nella direzione che avremmo voluto, ma sempre con la spada di Damocle della Farnesina, uno dei luoghi più irriformabili del mondo.

Ci lavoreremo, anche perché dopo essermi incontrato con Mauro ho appuntamento con Mattia Civico, mio compagno di gruppo, che ha buttato giù un canovaccio per un DDL sui Corpi civili di pace. Cerchiamo insieme di capire dove incardinare una proposta di questa natura, se sulla legge sulla cultura della pace (la LP 11 del 1991 con la quale si è istituito il Forum), se sulla cooperazione internazionale o se, ancora, su quella relativa alla Protezione Civile. Certo è che i Corpi civili di pace investono la questione dell’elaborazione del conflitto, che nelle mie intenzioni dovrebbe rappresentare un elemento interessante di novità in un DDL sulla cooperazione internazionale.

Di seguito incontro Marcella Orrù, rappresentante in Trentino della Comunità Baha’i. Mi racconta dei livelli di repressione che questa comunità sconta in Iran, dove pure un tempo aveva più di un milione di fedeli. Si tratta di una comunità diffusa a livello mondiale che fa della nonviolenza uno dei tratti del loro credo. E discutiamo insieme come collocare un loro racconto nel programma della Cittadinanza Euromediterranea che ogni giorno si arricchisce di nuovi contributi e iniziative.

La giornata si chiude con una sorta di intervista sulla "politica". A rivolgermi le domande Debora Vichi, che sta lavorando ad un progetto di monitoraggio sulle forme della politica di cui abbiamo già fatto cenno in questo "blog". Per rispondere comincio dall’inizio ma diventa una storia lunga, spero non noiosa. Gli risulta difficile capire come dal fervore degli anni ’70, di un mondo che cambiava con noi, ci si possa poi accontentare delle cose che oggi ti possono venire dall’impegno politico. Per descrivere tutto questo provo a raccontare dei passaggi cruciali e di come, oggi come in passato, si possano vivere le trasformazioni sull’onda di un pensiero che non rincorre gli avvenimenti. Ma forse siamo solo alla prima puntata.

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