
lunedì, 31 gennaio 2011
31 Gennaio 2011
giovedì, 3 febbraio 2011
3 Febbraio 2011Mi trovo con Giulio Marcon, responsabile di "Sbilanciamoci", la campagna nazionale che cura l’indagine sulla qualità della vita nelle regioni italiane attraverso indicatori diversi da quelli tradizionali. Un lavoro iniziato otto anni fa fra l’indifferenza di molti e che oggi è diventato un punto di riferimento importante anche per istituzioni come l’Istat.
Con Giulio ci conosciamo da molti anni, da quando era portavoce dell’Associazione Nazionale per la Pace e poi presidente di ICS, il Consorzio Italiano di Solidarietà. E insieme abbiamo condiviso impegno, analisi, uno sguardo critico verso la cooperazione internazionale e l’"industria dell’umanitario".
E’ un po’ che non ci vediamo e quindi è l’occasione per un confronto su quel che accade in questo disgraziato paese. Più nello specifico, parliamo della presentazione del rapporto Quars 2010 in Trentino e dell’attenzione che la PAT dovrebbe mettere nella ricerca di nuovi indicatori di benessere sociale (come del resto indicato nella relazione del presidente Dellai). Marcon mi dice che con l’Istat e il suo nuovo presidente Giovannini si è avviata a questo proposito una nuova stagione di aggiornamento concettuale, nella direzione di superare definitivamente l’impostazione economicista che fino ad oggi ha caratterizzato l’indagine statistica.
Quello degli indicatori del benessere non è questione di poco conto: riguarda in primis il tema della sostenibilità e quindi della responsabilità. Investe il concetto di limite e di sobrietà, come abbiamo detto "fare meglio con meno". Un vero e proprio programma.
Parliamo di una proposta sulla quale sta lavorando: un osservatorio sulla cooperazione internazionale, una sede permanente di valutazione, ricerca e formazione su questo tema, allo scopo di introdurre anche sul piano valutativo nuovi criteri di sostenibilità e di monitoraggio della cooperazione. E’ una proposta interessante, che ha molti punti in comune con l’idea che avevamo avanzato a Bagnacavallo durante la scorsa estate nell’incontro che con Mauro Cereghini avevano organizzato a chiusura del ciclo di incontri di presentazione di "Darsi il tempo".
Era l’idea di uno spazio virtuale, che abbiamo proposto di inserire nel portale di Unimondo, per sviluppare il confronto a tutto campo su una cooperazione che – per ammissione di tutti – è alla frutta e non solo perché i governi tagliano i finanziamenti. Con Giulio condividiamo che qui come altrove occorre un "cambio di paradigma" e dunque ben venga una proposta come questa se potrà servire a sviluppare un dibattito che invece appare stagnante, ognuno preso a sopravvivere nella ricerca disperata di finanziamenti per mantenere strutture diventate insostenibili. Indico a Giulio la mia disponibilità alla collaborazione per il progetto.
Propongo di dedicare l’attenzione della campagna "Sbilanciamoci" del 2012 al tema delle filiere corte, partita sulla quale avverto una sua particolare attenzione. Parliamo così della Legge provinciale approvata un anno fa in Trentino e riveduta durante l’ultima finanziaria per renderla compatibile alle direttive europee. Potrebbe diventare un punto di riferimento anche per le altre regioni italiane, oltre ovviamente per l’impatto che potrebbe avere nelle economie dei territori.
La nostra conversazione s’intreccia con le informazioni che arrivano dal Cairo, dove è in corso la più grande manifestazione mai vista in quella città, due milioni di persone che rivendicano le dimissioni del presidente Mubarak. C’è una qualche affinità fra quel che avviene nelle diverse sponde del Mediterraneo, ma questo non può che preoccuparci, e non poco. Perché l’assenza di un terreno comune di tipo costituzionale fa sì che in Italia si stia aprendo un solco profondissimo e in Egitto si spari. Quando Berlusconi tirò in ballo lo zio Mubarak a proposito del caso Ruby, non avrebbe mai pensato che di lì a poco tempo sarebbe stato accomunato al destino del tiranno.
Situazioni diverse, chiaro. Ma nel sostegno che malgrado tutto Francia e Italia hanno continuato a riversare verso i regimi dell’altra sponda c’è qualcosa di affine, fatto di affari e di delirio di onnipotenza. Il fatto è che la fine di Berlusconi non può essere disgiunta dalla fine del berlusconismo, i cui effetti dureranno ben oltre la sua caduta.